9 aprile 2024

BANDIERE ROSSE A PALAZZO MARINO

Storia delle elezioni comunali del 1914


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Il 14 giugno 1914 si tengono le elezioni comunali, quattro liste: i socialisti che vinsero con il 45,6% dei voti ed elessero 64 consiglieri (c’era il premio di maggioranza, quarantasette di prima nomina), i costituzionali (liberali che elessero la minoranza di 16 consiglieri) con il 41,4%, fatto clamoroso per il tempo il sindaco uscente Emanuele Greppi fu trombato così come il suo predecessore Bassano Gabba, i radicali assieme ai bissolatiani e alla lista civica Federazione degli esercenti con l’11,7% e buoni ultimi i repubblicani con l’1,3%.

Screenshot 2024-04-08 103129L’Avanti titola Bandiere rosse a Palazzo Marino un articolo che riassume il senso della battaglia elettorale: “Il PSI si presenta riaffermando i suoi postulati fondamentali di partito di classe che si presenta col suo bagaglio di idealità rivoluzionarie e con un programma di realizzazioni immediate. Moltissimi problemi che stanno da parecchi anni o decenni sul tappeto della vita amministrativa milanese, saranno risolti dal Partito Socialista, con sollecitudine e audacia: il problema ospedaliero (oggi si direbbe sanità pubblica ndr) ad esempio, prima degli altri. Non è vero come si assevera dagli imbecilli o dai furbi, che i rivoluzionari non siano capaci di agire sulla realtà attuale… voi proletari milanesi… andrete alle urne ancora una volta… ricacciando nelle loro sacrestie e nelle loro logge gli uomini della reazione moderata e quello della mistificazione democratica… Oggi nessuno di voi diserti il campo, recatevi tutti a votare, e la temuta bandiera rossa del Socialismo sventolerà dal balcone di Palazzo Marino. Proletari alle urne”.

A scrivere è il direttore del giornale (che era passato da 10000 a 60000 copie) e uno dei protagonisti della campagna elettorale: Benito Mussolini, che era anche candidato e fu eletto con 34253 voti di preferenza al 58° posto ma a soli 253 voti di distanza dal primo degli eletti Luigi Majno.

Il giorno dopo sotto il titolo Viva Milano Socialista, Scalarini (che anni dopo il duce fece bastonare e manderà al confino e in galera) pubblicava una vignetta, che riassumeva in pochi tratti la linea politica;  in risposta al Corriere della Sera che aveva paventato la vittoria socialista come un ritorno del Barbarossa distruttore Scalarini annunciava trionfalmente con grande ironia Barbarossa è entrato a Milano e ai piedi del vincitore si vedevano i rottami degli sconfitti dove si leggeva: Edison, Monopoli privati, Appaltatori, Catechismo, Parassitismo, Invadenza dello stato, Associazione proprietari di case, etc

i socialisti eletti barbarossa scalariniL’articolo di fondo spiega che: “La vittoria socialista di Milano ha una significazione locale e una nazionale… nazionalmente la vittoria dei socialisti milanesi suona come un monito al governo che sembra voglia incamminarsi sul cammino della reazione… Il Barbarossa evocato dai fogli della borghesia, ha sgominato la coalizione multicolore dei suoi nemici. La città si è arresa, i disperati allarmi sono caduti nel vuoto e nel ridicolo, il Barbarossa socialista ha già issato il suo gonfalone vermiglio a Palazzo Marino, e sulla tomba dei nemici profligati che mordono la polvere egli lancia il frenetico hurrà. Non si depreca l’ineluttabile! Viva il socialismo!”.

Mussolini era molto attento alle vicende elettorali già nel febbraio del 1913 aveva scritto un articolo su come comporre le liste: “Il suffragio allargato ha resuscitato una moltitudine di socialisti. Da qualche tempo, da molti anni si erano ritirati a vita privata. Esercitavano la loro professione o il loro commercio. Nessuno li ricordava più. Forse erano dimissionari dal Partito, certo appartenevano alla milizia elettorale. Adesso ve li trovate candidati di colpo. C’è di peggio. Si minacciano candidature di uomini i cui atteggiamenti pagliacceschi sono sempre stati in antagonismo con quelli del partito. Vediamo sulla piattaforma dei tripolini matricolati, dei massoni identificati, degli autonomi o regolari a seconda della località”; la polemica sui cacicchi è antica. L’obiettivo di Mussolini è sempre quello di scalzare i riformisti che spesso minoranza nel partito avevano una netta maggioranza tra gli eletti: “ricordiamo che tutti i candidati devono essere da almeno cinque anni regolarmente iscritti al partito…Bisogna mozzare le mani all’arrivismo politicantista… si delineano compromessi clandestini.” Parlando delle elezioni politiche sostiene: “si pensava che l’indennità parlamentare avrebbe proletarizzato la Camera, ma non è così…avvocati, ancora avvocati, sempre avvocati.”

La campagna elettorale amministrativa era cominciata a  gennaio quando si trattò eleggere il deputato del collegio di Milano 6° a seguito delle dimissioni di Treves che era stato eletto a Bologna; contro il parere dei riformisti ma anche di Mussolini che ci aspirava viene proposto come candidato di protesta Amilcare Cipriani il garibaldino che aveva combattuto per la Comune di Parigi, condannato a morte e deportato in Nuova Guinea amnistiato e poi di nuovo condannato a 25 anni, eroe della lotta contro i turchi, insomma il Che Guevara dell’epoca che firmerà il manifesto degli anarchici pro-Intesa insieme a Piotr Kropotkin. Cipriani che era stato fortemente voluto da un altro outsider Paolo Valera vincerà le elezioni ma non entrerà in parlamento perché si rifiutò di prestare giuramento.

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Era proseguita con il congresso con il XIV congresso del partito ad Ancona che oltre ad officiare la vittoria dei massimalisti e l’uso del garofano come simbolo del partito aveva deliberato l’espulsione dei massoni dopo un dibattito che vide il primo scontro tra Mussolini (fautore dell’espulsione) e Matteotti (fautore dell’incompatibilità), si narra che Matteotti abbia gridato al direttore dell’Avanti! “Dovunque tu andrai, porterai rovina”. L’espulsione dei massoni rendeva impraticabile il dialogo con le forze repubblicane e radicali.

3Di lì a poco a Milano l’assemblea finale sul programma elettorale approvava un odg sempre di Mussolini: “L’amministrazione socialista del Comune di Milano, richiamandosi allo spirito della dottrina socialista che vuole con l’abolizione del privilegio economico della classe borghese anche l’abolizione di ogni privilegio politico di mestiere o di casta afferma e proclama, nei riguardi delle istituzioni politiche attualmente vigenti in Italia il suo carattere decisamente antimonarchico e conseguentemente si asterrà da qualsiasi cerimonia o manifestazione che si trovi comunque in antitesi colle premesse dell’ordine del giorno”. L’argomentazione del futuro duce aveva un forte connotato di orgogliosa milanesità: “Se v’è città in Italia che sia stata ostacolata e fastidiata nel suo sviluppo dalle istituzioni vigenti è Milano, per ragioni storiche ed etniche e per virtù sue proprie, perché si trova al centro di una valle ubertosa, perché siede al crocicchio di grandi strade, perché sta ai piedi di valichi alpini che la mettono in rapida comunicazione con i popoli dell’Europa Centrale non già per la monarchia che ha detestato sempre Milano e per Milano ha fatto solo una legge speciale. Lo stato d’assedio del 1898…” e si concludeva con un coup de theatre da consumato spin doctor: “Se sua maestà avesse l’idea di venire a Milano troverà il portone di Palazzo Marino solidamente sprangato”.

E si era conclusa con la settimana rossa, quando dopo l’assassinio di tre militanti che partecipavano ad una manifestazione antimilitarista ad Ancona il 7 giugno, il paese fu attraversato da un’ondata spontanea ma con una leadership anarchica e di Malatesta in particolare, di scioperi insurrezionali. La proclamazione dello sciopero generale e la successiva dichiarazione di conclusione dopo 48 ore porteranno ad una rottura tra la CGIL e i rivoluzionari che non si sanerà più.

Milano, il 10 giugno, cioè a quattro giorni dal voto, dopo una manifestazione con 60000 partecipanti all’Arena, è sconvolta da incidenti di piazza con la polizia che arresta Corridoni, e manganella Mussolini mentre incidenti si generalizzano in tutto il paese con morti a Bari, Napoli, Torino, Firenze, ma senza una guida. Scrive Guido Dorso: “La folla… impone ai commercianti di cedere le merci a sottocosto e stabilisce calmieri esosi. Senza capi, senza programmi, senza organizzazione la rivolta stagna nella sua inutilità, finché si esaurisce spontaneamente”. Mussolini il giorno dopo accusa la Confederazione del lavoro di fellonia (ma poi farà parziale marcia indietro) esponendosi al contrattacco dei riformisti e di Turati in particolare che arriverà subito dopo il voto sia in direzione del partito il 20 giugno, sia dalle pagine di Critica sociale che gli dà dell’anarcoide. Tra gli arrestati e poi processati Pietro Nenni.

Il 13 giugno il Corriere premettendo che “siamo stati accusati di esagerazione per aver chiamato i cittadini milanesi alla riscossa contro Barbarossa… ma nemmeno noi prevedevamo che Barbarossa sarebbe davvero calato a porre a soqquadro tutta la penisola… che il numero dei morti si è quintuplicato, mentre a centinaia si contano i feriti della forza pubblica e incalcolabili sono le conseguenze, i dolori, gli strascichi della incivile protesta.

71sI39MxtuL._SL1500_Invano gli spacciatori di oppio della democrazia radicale cercano attenuanti e scuse all’opera rivoluzionaria” e citando a conferma e ampiamente Mussolini perché “il suo linguaggio è di una chiarezza meravigliosa”, fa un appello perché la borghesia si riunisca e critica i radicali che non vedono il pericolo e non considerano il carattere rivoluzionario dei socialisti, “vogliamo solo che ognuno tragga da quanto avvenuto l’insegnamento che se ne deve trarre, che ognuno comprenda che cosa vogliono, dove mirano i socialisti guidati dai nuovi capi che si sono scelti…non c’è altro modo di salvare il Comune di Milano dalla conquista dei rivoluzionari che votare concordi e compatti la sola lista che ha probabilità di riuscire…”, insomma una specie di “votiamo turandoci il naso”.

Scrive Punzo: “Per il direttore del Corriere vigeva ormai tra i socialisti milanesi la dittatura incontrastata di Mussolini cui, si doveva un programma di enorme intransigenza formulato per le elezioni, al quale parteciparono e portarono contributi di intransigenza anche gli amici di Turati che dovevano costituire l’intelligenza della nuova amministrazione”.

In questo clima la vittoria dei socialisti, divisi su tutto, ha dello stupefacente. Caldara sarà eletto sindaco, dopo che Majno ha declinato l’offerta fattagli dalla sezione socialista, il 30 giugno, due giorni dopo l’assassinio di Sarajevo.

La questione della guerra cambierà completamente il quadro ed in particolare il ruolo di Mussolini, ma questa è un’altra storia, che interverrà ancora una volta sulle questioni di Palazzo Marino il 4 settembre quando la appena nominata giunta rischia una crisi per le minacciate dimissioni di due assessori coinvolti nelle polemiche interne alla Camera del Lavoro tra riformisti e rivoluzionari, un suo odg condiviso anche da Turati rinvierà la questione evitando la crisi.

In pratica Mussolini parteciperà ad un solo consiglio comunale l’11 settembre 1914 perché il 23 settembre sarà eletto con Luigi Majno e Lazzaro Donati rappresentante del Comune nella commissione di beneficenza della Cassa di Risparmio e il 27 novembre invia una sarcastica lettera di dimissioni a Caldara: “Come ella, forse, sa, io ho avuto l’onore di essere espulso dal partito socialista per indegnità politica e morale. Rassegno con la presente, le mie dimissioni dalla carica di consigliere comunale e da quella di consigliere d’amministrazione della cassa di risparmio delle provincie lombarde. Ossequi.”

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Vi ritornerà da Presidente del Consiglio nel marzo del 1923 dopo che nell’agosto del 1922 gli squadristi avevano occupato il comune con la compiacenza della forza pubblica e il 27 agosto un decreto reale giustificò e legittimò il colpo di mano contro la giunta democraticamente eletta, con lo scioglimento del Consiglio comunale.

Walter Marossi

Riferimento bibliografico obbligatorio:

Maurizio Punzo, Un Barbarossa a Palazzo Marino, L’ornitorinco edizioni, Milano 2014
Franco Nasi, Storia dell’amministrazione comunale, pubblicazione edita dall’Ufficio stampa del Comune di Milano, 1969

 



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