20 febbraio 2024

UNA CASA PER TUTTI?

Per gli ultimi né ora né mai?


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«L’ora è venuta, dovete lasciare questo luogo. Mi dispiace per voi, eccovi del denaro, ma dovete andare». «Preferirei di no» rispose, volgendomi ancora le spalle. Restò in silenzio.” (Bartleby lo scrivano – H. Melville, (1853).

A Milano la distruzione del welfare abitativo pubblico potrebbe a breve arrivare al gran finale: l’11 gennaio la giunta di Milano ha approvato la delibera con oggetto “Linee di indirizzo per la sottoscrizione di lettera di intenti (e successive attività) tra il Comune di Milano e Invimit Sgr (Investimenti Immobiliari Italiani Sgr S.p.A di proprietà dello Stato – finalizzata alla valutazione della possibilità per il Comune di partecipare alla strutturazione di operazioni funzionali alla istituzione di fondi di investimento alternativi italiani immobiliari riservati o di comparti di fondi di investimento alternativi italiani immobiliari riservati esistenti per la valorizzazione, la gestione e l’implementazione del patrimonio abitativo comunale presente e futuro (ERP e ERS)”.

Il processo è avviato e Invimit è ora incaricata di stendere lo studio di fattibilità, che dovrà essere consegnato al Comune entro tre mesi. Un percorso che porterebbe a chiudere definitivamente l’esperienza delle case popolari e a privatizzare e finanziarizzare un altro pezzo di sistema sociale, cioè abdicare ai principi costituzionali e accettare che la casa sia solo una merce.

Le contraddizioni che questa proposta porta con sé richiedono e impongono un approfondimento puntuale e articolato: non si tratta di valutare solo l’efficacia di una nuova specifica politica abitativa, ma l’opportunità di assegnare all’attore finanziario un compito di direzione nella definizione delle politiche di welfare state, in capo all’istituzione pubblica.  Il tema è quindi davvero di grande portata e oggi mi limito a condividere con i lettori di Arcipelago la notizia della delibera e alcune prime riflessioni a caldo, ripercorrendo il documento.

Il conferimento del patrimonio abitativo pubblico a un fondo immobiliare è giustificato riprendendo i ragionamenti già espressi un anno fa dall’Assessore Maran al Forum dell’Abitare, ripresentati in forma sintetica.

1) “Incrementare il numero dei servizi abitativi pubblici (SAP) al 2030, passando da circa 22.000 unità abitative realmente fruite a 25.000”.

Anche in questa delibera i numeri non tornano e si fa il gioco delle tre carte, utilizzando volutamente espressioni ambigue. Secondo quanto scritto nell’ultimo piano dell’offerta abitativa 2023, il Comune di Milano possiede 27959 case popolari, di cui solo 20182 assegnate come sap, 262 come SAT e 373 come SAS. La restante parte del patrimonio è sfitta (5231 alloggi) e rendicontata come “unità destinate ad altri usi” (2071 alloggi). Non è specificato in questo conteggio dove siano inseriti gli alloggi occupati da famiglie senza un regolare contratto.

Questo significa che l’obiettivo del Fondo non è incrementare davvero la quantità di case popolari della città di Milano, ma più semplicemente aumentare le assegnazioni, recuperando un po’ dello sfitto che colpevolmente è stato lasciato crescere negli ultimi anni. Un obiettivo poi non così diverso da quello che ogni anno viene proclamato da Comune e Regione all’inizio dell’anno.

Tra le varie analisi prodotte e rese pubbliche, manca invece un rapporto sullo stato delle case sfitte. Chi vive nei quartieri popolari sa bene che molte case vuote, anche da anni, sono alloggi che potrebbero essere subito riassegnati. In molti casi si tratta di alloggi abitati da anziani, che avevano autonomamente provveduto a sistemare impianti, pavimenti e serramenti. Case abitate dignitosamente per tanti anni, chiuse e mai più riaperte.

Molte case inoltre vengono lasciate vuote, perché inserite nei piani di valorizzazione e vendita, alloggi che potrebbero essere subito assegnati, ma che rimangono in attesa di un nuovo e diverso utilizzo più redditizio, per fare cassa.  Ad oggi non è ancora stato deliberato il piano dell’offerta abitativa 2024 e non sono pertanto noti i numeri delle assegnazioni effettuate nell’anno passato.  Possiamo ricordare che nel 2022 sono stati assegnati solamente 437 alloggi comunali e 635 alloggi ALER a fronte di più di 15000 domande presentate e di 1200 alloggi dichiarati assegnabili. Davvero per ogni alloggio è necessario spendere 26000 euro, come indicato sommariamente nel documento “una nuova strategia per la casa”?

Lo sfitto però non è solo l’esito della mancanza di fondi, ma anche della lentezza delle procedure di assegnazione, la cui burocratizzazione ha raggiunto livelli incredibili, determinando quindi continui contenziosi, ricorsi amministrativi e al TAR. L’impressione è che si cerchi di rendere il percorso complicato e oneroso a tal punto da scoraggiare le famiglie bisognose, ridurre il numero di domande e utilizzare in altro modo un patrimonio nato con una funzione sociale chiara, dare una casa alle famiglie a basso a reddito.

2) “Ampliare e potenziare l’offerta, attivando 10.000 nuovi alloggi di edilizia residenziale sociale, anche utilizzando aree conferite dal Comune stesso e il patrimonio abitativo inutilizzato e da ristrutturare”;

Dal 2010 al 2023 sono stati costruiti circa 7000 alloggi di edilizia residenziale sociale (sas), di cui però solo il 30% in affitto, a canoni compresi tra gli 80 e i 150 euro/mq, con valori crescenti, trainati dal mercato e dalle possibilità di rendita per gli investitori, immobili realizzati per famiglie con redditi certi e con un ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) che può raggiungere 40000 euro[1]. La legge regionale permette di valorizzare il 15% del patrimonio e il Comune intende quindi proseguire quanto avviato con il progetto “casa ai lavoratori”, di cui abbiamo già informato[2].

Gli interventi di housing finora realizzati ci dimostrano chiaramente come siano incompatibili rendita e politiche sociali: il bisogno di rendimento orienta gli interventi verso gli investimenti più sicuri e facili (vendita e privatizzazione), subordinando le finalità sociali di promozione dei diritti universali in capo all’istituzione pubblica.  La creazione della Società Casa porterebbe quindi all’esclusione e alla marginalizzazione delle fasce di popolazione più povere, in maniera ancora più massiva e violenta di quanto già avvenga in questo modello di welfare abitativo, già in crisi, inadeguato e senza finanziamenti.

3) “La creazione della società permette inoltre di ottimizzare da un lato le manutenzioni ordinarie, dall’altro di migliorare la gestione sociale del patrimonio e affrontare un tema che ha un impatto importante sul bilancio dell’amministrazione comunale, cioè la gestione dei pagamenti e delle conseguenti morosità”.

Il documento non entra nel merito di quali ricadute sociali potrebbe avere questo processo sull’inquilinato. La maggior parte degli inquilini delle case comunali ha un Isee inferiore a 15000 euro e moltissime famiglie vivono sotto la soglia di povertà. L’ultimo accordo sulla morosità sottoscritto con il Comune dalle Organizzazioni Sindacali risale al 2018 e riguardava le morosità accumulate fino al 2016. Ad oggi non sono pochi gli inquilini che, pur avendo aderito ai piani di rientro, ancora devono ricevere i bollettini.

L’accordo inoltre prevedeva la costituzione di una commissione per il riconoscimento delle morosità incolpevoli, che non è stata mai attivata. Invimit è stata creata per dismettere e valorizzare patrimonio pubblico, le case popolari per dare case dignitose a famiglie con redditi bassi. Di nuovo, queste due differenti finalità possono convergere?

Mentre si prospetta un nuovo modello di gestione che riuscirebbe a tenere insieme l’inconciliabile, rendita, mercato e welfare state, in un sistema dove non perde nessuno, le politiche per il diritto alla casa di questa città sprofondano sempre più in basso. Penso alle decine di famiglie con l’ufficiale giudiziario e la polizia alla porta: un reddito che non è più sufficiente a stare sul mercato anche quando si lavora dalla mattina alla sera, una domanda di casa popolare che non verrà accolta, l’attesa per l’esito di una domanda d’emergenza che supera persino i tempi dello sfratto, il dormitorio pubblico di viale Ortles, la famiglia divisa, nei casi più fortunati un albergo per qualche giorno, le assenze da scuola, la sofferenza.

Veronica Puija

* Per approfondire i contenuti della delibera la campagna Chiediamo Casa promuove un incontro pubblico martedì 27 febbraio ore 18:30 nello spazio sociale di via Mosso3 dal titolo “Società per la casa: cosa succede se l’edilizia pubblica diventa un prodotto finanziario”. Intervengono Marco Bersani, Sara Poli del Comune di San Giuliano e le organizzazioni sindacali degli inquilini.

[1]Dati elaborati da Nomisma, inseriti nel Piano dell’offerta abitativa triennale del Comune di Milano

[2]https://www.arcipelagomilano.org/archives/61388



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  1. Andrea VitaliCondiviso ahimè quanto scritto da Veronica Puja. Lo slogan dell'assessore Maran addirittura è "meno case popolari, più case pubbliche". Mentre dovrebbe essere esattamente il contrario (più case popolari, magari cooperative a proprietà indivisa che un tempo funzionavano benissimo; e meno proprietà pubbliche da svendere al momento giusti tipo Ina Casa sotto il governo Prodi, vero?...)
    21 febbraio 2024 • 14:52Rispondi
    • Cesare MocchiMaran ne dice anche di peggio: il sostegno pubblico all' affitto ad esempio non è altro che una maniera di trasferire soldi pubblici ai redditieri per mantenere alti gli affitti. E il diritto di prelazione (a prezzi di mercato) degli alloggi realizzati da privati è ancora una volta un sostegno a tenere alti i prezzi con soldi pubblici. A questo punto la domanda vera è: ci è o ci fa? È davvero tanto idiota e ignorante da pensare che siano interventi illuminati e progressisti o è solo un furbo che sa benissimo che sono delle porcate, e spera solo che nessuno se ne accorga?
      21 febbraio 2024 • 20:59
    • Cesare MocchiDimenticavo: pare che adesso il nostro (Maran) si presenterà alle elezioni europee. Meglio votare questa cozza pelosa nella speranza che si tolga definitivamente dai piedi, o meglio votare altrove per fare capire cosa ne pensiamo? Se va da un notaio e firma un impegno che se eletto non si fa più vedere, lo voto. A Bruxelles con biglietto di sola andata, please.
      21 febbraio 2024 • 21:05
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