7 febbraio 2023

LA CITTÀ DEI DUE TERZI

Il caso Meazza


Progetto senza titolo (3) (1)

 Rileggevo ultimamente, attratta dal titolo, una raccolta di pensieri pubblicati in un libretto di Mino Martinazzoli, La politica possibile, e mi ha colpito in particolare un’ osservazione  (n.11,pp.14-15):

“Siamo in una società che chiamiamo dei due terzi[i];. la maggioranza dei cittadini ha condizioni di vita accettabili, ma purtroppo il terzo escluso è sempre più escluso, sempre più debole… In società come queste la regola della maggioranza rischia di perdere per strada la sua capacità di riscatto. Perché le democrazie sociali ci hanno portato a questo risultato agendo in società nelle quali la maggioranza era fatta da quelli che stavano peggio e la minoranza da quelli che stavano meglio. Se l’equazione si capovolge, la regola democratica, cioè la regola di maggioranza, minaccia di diventare niente più che la tutela di chi è dentro e l’esclusione di chi è fuori…( le sottolineature sono mie)”.

E’ vero, mi sono detta, è questa la ragione per cui ci sentiamo sempre più acquiescenti a politiche che sembrano accontentarci, favorirci, farci sentire più appagati nel nostro benessere; anche  se poi ci lasciano un bel po’ di amaro in bocca…

Un recente, evidentissimo esempio mi sembra la vicenda (non comica, ma tragica) dello Stadio Meazza e della sua prospettata demolizione. Che mostra nel modo più lampante come il progetto apparentemente insensato perseguita dalle società e, ad oggi, accettata dal Comune, sia dovuto soprattutto alla scelta indiscussa e del tutto sottaciuta dai media, di costruire sull’area adiacente dell’ex-Trotto (che  l’assessora all’urbanistica della precedente giunta Pisapia aveva già trasformata da verde in edificabile), un nuovo pezzo di città per ricchi, che avrebbe nello stadio una incombente vicinanza.

Scelta ovviamente opposta a quella possibile di utilizzare l’area divenuta libera del Trotto per mitigare la povertà di città e di servizi del vicino quartiere popolare San Siro-Selinunte creando con questo una diretta connessione (che del resto un recente “studio d’area” del Comune stesso suggerisce[ii]) che farebbe dell’intera zona un insieme organico al quale l’enorme patrimonio verde preesistente potrebbe contribuire; fornendo anche a tutta la città una boccata di ossigeno.

In definitiva, però, l’obiettivo dell’abbattimento, insieme alle potenti ragioni finanziarie che lo sostengono, ha trovato nella  maggioranza un sostanziale consenso: vedasi la votazione quasi unanime nel Municipi 7 ( con la sola opposizione dei verdi , assolutamente minoritari); vedasi  le successive votazioni in Consiglio Comunale  ( con l’opposizione di soli 7/8 consiglieri) e in Giunta con l’opposizione della sola  assessora alla Mobilità; e vedasi anche l’incertezza  che si percepisce tra la gente nell’intorno del quartiere Selinunte, per il disagio di una convivenza con situazioni spesso critiche di disagio e di esclusione sociale con le quali riesce difficile la convivenza, ma che sembra impossibile affrontare se non…

E ancora vedasi, anche se apparentemente stupefacente, la riluttanza a intervenire sul progetto di tanti tecnici milanesi, anche professori di urbanistica, per i quali una presa di posizione che si discostasse dalle scelte istituzionali sarebbe “un’inaccettabile ingerenza politica”.[iii]

E certo, del resto, da sempre gli urbanisti (anche se non si chiamavano così) sono stati di necessità al servizio dei potenti: ma i committenti erano papi, imperatori e re e fecero bellissime le città, nelle quali ciascuno stava al suo posto, ma la città era di tutti.[iv]

E la regola, “la regola di maggioranza”( come scrive Martinazzoli) vale anche dal punto di vista opposto perché, come ho già avuto modo di ricordare [v],giusto 100 anni fa la municipalità milanese trovando la possibilità di utilizzare un terreno abbandonato da una fallita Società del Trotto, vi realizzò, per i bambini poveri dei propri operai una Scuola all’aperto, secondo i più avanzati sistemi didattici allora proposti in Europa;  salvaguardando insieme così per la zona, uno splendido Parco. Ma allora, appunto, la MAGGIORANZA ERA UN’ALTRA.

Bianca Bottero

[i] Il testo è stato stampato in proprio nel 2.000, e fa riferimento a dati di anni anche precedenti:  i dati sono quindi certamente da allora cambiati, non so se in bene o in male. Ma il discorso regge.

[ii] Si veda lo studio d’area dell’assessore Tancredi “Mosaico San Siro”, in particolare pp.78-79

[iii] Anche se singolarmente molte dichiarazioni e firme ci sono state. Ma quella che è vistosamente mancata è stata una presa di posizione forte, una argomentazione competente da parte delle forme organizzate della categoria: il Politecnico, l’INU, che sole avrebbero potuto interloquire autorevolmente col Comune.

[iv] Col capitalismo le cose ( e le città) cambiano e tra le prime Parigi, reinventata da Haussmann per la necessità non solo, come ci insegnavano a scuola, di impedire le rivolte del popolino nelle strette stradine medievali, ma soprattutto per riqualificare attraverso l’edilizia ingenti capitali  giacenti e superare le continue crisi finanziarie connesse. Il diritto alla città è ora solo di chi possiede la terra e può guidare la crescita urbana secondo l propri interessi e in ragione del profitto. Si determina così la divisione dello spazio della città per classi sociali ( quelli che prima abitavano gli ultimi piani delle case, ora abitano le zone più periferiche e mal fornite).

 (Si veda su questo l’interessante intervento del prof. Sandro Rinauro, all’incontro “Milano una città per ricchi?”, presso La Casa della cultura per il ciclo Citta Bene Comune.)

[v][v] Si veda il mio intervento su Arcipelago, maggio 2020



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  1. XavierGrazie per l'articolo pieno di spunti
    8 febbraio 2023 • 07:55Rispondi
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