3 ottobre 2023

IL PIANO CASA DEL COMUNE

Ma la realtà è un'altra cosa


Copia di Copia di rification (3)

Giovedì 28 settembre il Consiglio Comunale ha approvato il Piano triennale sulla casa proposto dalla giunta, un documento di oltre 200 pagine in cui sono esposti sommariamente gli interventi di politica abitativa in corso e i nuovi indirizzi politici da intraprendere.

I punti di partenza dei ragionamenti esposti nel documento sono sostanzialmente due.  Il primo è l’analisi del bisogno abitativo confrontato con l’andamento del mercato immobiliare, che si può sintetizzare nel riconoscimento del divario in crescita tra valori immobiliari e redditi delle famiglie, inasprito nel Comune di Milano e più contenuto nel resto della città metropolitana.

Dal documento emerge una città ricca, attrattiva, in cui cambia la composizione della popolazione, e dove è in corso un processo di “progressiva polarizzazione tra ricchi e poveri e un assottigliamento della cosiddetta classe media”.

Dal racconto su cui è costruita la strategia di intervento che la giunta intende perseguire sono estromesse le migliaia di persone senza casa, che vivono tra la strada, gli spazi abbandonati e i centri di accoglienza. Non vengono citati i dati sulla povertà assoluta della città né quelli sulla povertà alimentare. Non c’è spazio per le migliaia di famiglie occupanti di alloggi pubblici in stato di necessità che, non potendo accedere al sistema dell’edilizia pubblica, rimangono incastrate in situazioni di precarietà, attanagliate da uno sgombero che potrebbe arrivare senza preavviso, gravate dai debiti dell’indennità di occupazione e, sempre in più casi, oggetto di condanne penali che prevedono anche il carcere.

Non si dice nemmeno che Milano è stata la città del nord d’Italia con il maggior numero di richiedenti del Reddito di Cittadinanza e in cui ben 6747 persone hanno una residenza fittizia per mancanza dei requisiti previsti dalla Legge 80/2014, cioè un’abitazione di proprietà o un contratto di locazione o regolare ospitalità. Mancano inoltre i dati, se ancora vengono raccolti, sulla qualità dell’abitare delle famiglie: quante famiglie coabitano, vivono in condizione di sovraffollamento o vivono in alloggi pieni di muffa e che non rispettano gli standard igienici?

Il dramma degli sfratti e dei pignoramenti è un tema totalmente assente nel documento e talmente sminuito da tutti i livelli istituzionali che il Ministero degli Interni non ha ancora diffuso le statistiche relative al 2022. Eppure, ogni giorno quante sono le famiglie costrette a uscire dalla propria casa senza avere un’alternativa?

I processi di espulsione dalla città stanno subendo una fortissima accelerazione e, sebbene ancora non ci siano dati ufficiali completi, si può dire senza paura di essere smentiti che a Milano sono in aumento non solo gli sfratti per morosità, ma anche quelli per finita locazione. Alloggi e stabili acquistati da grosse società, piccoli proprietari che preferiscono liberare l’appartamento per riconvertirlo in una più redditizia attività turistica.

Solamente la scorsa settimana per ben quattro volte i sindacati inquilini sono stati costretti a coinvolgere la cittadinanza solidale per denunciare l’assenza di risposte da parte del Comune e provare contestualmente a ottenere un ulteriore rinvio degli sfratti[1]. È bene ricordare come lo sfratto senza alternative alla strada, in presenza di minori, invalidi anziani, è una violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali sottoscritte dalla stato italiano.  Nel documento di programmazione politica si riconosce il fallimento del sistema dei Servizi Abitativi Transitori (i tempi di attesa per la valutazione della domanda sono ormai di un anno, le case assegnate sono insufficienti, non c’è turn-over), ma non si fa riferimento a nessun’altra possibile soluzione.

Chi ha visto la puntata della trasmissione Rai “Presa Diretta” sul problema casa, trasmessa lunedì 18 settembre, ha potuto ascoltare il nostro assessore affermare, rispondendo alla domanda del giornalista relativa alla capacità di inclusione della città di Milano delle famiglie più deboli e con meno risorse economiche, che è necessario cambiare approccio, andare oltre i confini cittadini. In altre parole, chi è troppo povero deve andare via dalla città.

Il secondo tema su cui è costruita la nuova strategia di intervento del Comune è il riconoscimento che l’edilizia pubblica e il welfare abitativo richiedono investimenti, che non vengono stanziati a sufficienza né dallo Stato né dalla Regione.  A questa sacrosanta verità non consegue un ragionamento su come possano essere incrementate le risorse per difendere le case popolari e garantirne l’accesso a partire dalle famiglie più fragili. Ad esempio, non si affronta il tema degli oneri di urbanizzazione, che, nonostante le recenti rivalutazioni, rimangono tra i più bassi d’Europa.

Al contrario, in coerenza con la riforma della legge regionale promossa dal centro destra nel 2016 e che regola il sistema dell’edilizia pubblica, le soluzioni individuate sono state il cambio dell’inquilinato e il coinvolgimento di operatori privati e finanziari con lo scopo di rendere sostenibile il sistema. Questo però significa rinunciare al compito di garantire e promuovere il diritto alla casa.

Lo slogan della nuova strategia è infatti “dalla casa popolare alla casa pubblica”, intendendo che la casa popolare, cioè a canone sociale in base al reddito, sia un servizio, meglio se temporaneo, per le famiglie provvisoriamente in difficoltà, mentre la nuova misura cardine del sistema è rappresentata dai servizi abitati sociali, alloggi affittati a canone concordato o convenzionato, meglio se gestiti direttamente da privati.

Le previsioni delle assegnazioni per i prossimi 3 anni infatti sono di 3600 alloggi (Comune e Aler) a canone sociale e ben 5496 alloggi come servizi abitativi sociali a inquilini con redditi maggiori.  È ora aperto il bando “casa ai lavoratori”, di cui avevo già informato i lettori di Arcipelago[2], 300 alloggi sottratti all’edilizia popolare e alle 16462 famiglie in graduatoria, affidati a privati che potranno utilizzarli e gestirli sostanzialmente come vorranno.

Il documento riserva inoltre molte attenzioni ai progetti di housing sociale privato, di cui intende rinforzare la produzione tramite le regole del PGT, in revisione. Fino ad oggi, a Milano, in 10 anni, sono stati costruiti 6284 alloggi; di questi, la maggioranza sono stati messi in vendita e solo il 28% è stato destinato alla locazione con affitti calmierati, compresi tra 80 e 100 euro al metro quadrato. Gli appartamenti sono stati assegnati a nuclei con ISEE fino a 40000 euro con garanzie reddituali equiparabili a quelle richieste dal mercato privato, selezionati direttamente dall’ente gestore, cioè in maniera non trasparente.

Ad oggi mancano dati e ricerche che permettano di capire quante risorse pubbliche (dirette, fiscali e urbanistiche) vengano impiegate nell’housing sociale, dati necessari per capire  se sia davvero la politica su cui ha senso riorganizzare il sistema del welfare abitativo. È utile ricordare come il FIA (Fondo Investimenti per l’Abitare) sia costituito per oltre la metà da risorse pubbliche (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e  Cassa e Depositi Prestiti ) e come possa intervenire nei diversi fondi locali fino all’80%;  ad oggi inoltre è il principale finanziatore dei progetti realizzati in Lombardia e a Milano.

Gli interessi dei soggetti finanziari possono convergere con quelli della cittadinanza?  Può il mercato essere la casa del diritto all’abitare? Domande che non vogliono essere semplice retorica, ma esprimere il sincero bisogno di capire maggiormente cosa sia e come funzioni il mondo delle fondazioni bancarie e dell’housing sociale, sua espressione.

Il tema è ancora più rilevante perché, sebbene nel documento programmatico si prospetti ancora in maniera molto vaga la volontà di costituire una nuova società casa, un soggetto ibrido pubblico-privato, in un articolo del Sole 24ore  del 30 agosto si parla esplicitamente di istituire un fondo in cui conferire il patrimonio di edilizia pubblica, “ e in cui potrebbero entrare anche privati o altri fondi e su cui è già partita l’interlocuzione con il governo”. Il documento prosegue con un elenco dei progetti di rigenerazione urbana in corso e dei progetti Pinqua che coinvolgono l’edilizia pubblica.

La descrizione dei progetti è, anche in questo caso, lontana dalla realtà. In Lorenteggio, oltre al progetto di riqualificazione del quartiere Aler, avviato nel 2016 e che ad oggi non ha visto ancora un alloggio terminato e assegnato, si è aggiunto il progetto Pinqua Giaggioli. Anche in questo caso il progetto prevede la demolizione e la ricostruzione di 3 edifici. Nonostante l’assessore Maran fosse venuto personalmente in quartiere a rassicurare gli abitanti che i lavori sarebbero stati fatti a rotazione in modo che gli inquilini del secondo edificio svuotato avrebbero potuto trasferirsi nel primo già ricostruito, ad oggi, su tre stabili, il primo è completamente vuoto, senza infissi alle finestre e porte per evitare occupazioni stabili, e il secondo è in fase di svuotamento, mentre i lavori non sono ancora cominciati per ritardi non specificati.

Fino ad ora gli abitanti del Giambellino-Lorenteggio non hanno beneficiato dei progetti in corso, ma ne hanno subito solo i gravi disagi, peggiorando la propria già difficile condizione abitativa. Inoltre, non esistono percorsi di co-progettazione e gestione condivisa dei progetti, manca un qualunque contatto tra quartiere e istituzioni.  Ad oggi il più importante risultato di questi grandi progetti di rigenerazione urbana è stato il rialzo dei valori immobiliari della zona.

Gli ultimi temi affrontati dal documento sono il sistema delle residenze per gli studenti e per i lavoratori temporanei, la regolamentazione degli affitti turistici e le misure di sostegno all’affitto e di promozione del canone concordato. In risposta alle proteste degli studenti in piazza contro il caro affitti, il Comune aveva voluto avviare un percorso per la revisione del canone concordato che ha portato però a un peggioramento della situazione attuale, visto che il nuovo accordo, sottoscritto solo dai sindacati inquilini SUNIA e UNIAT, aumenta i canoni dal 36% al 148% e rende possibile alle proprietà di  affittare una stanza a 600 euro (escluse spese condominiali e utenze) approfittando di incentivi fiscali e agevolazioni e utilizzando quindi un prezzo che dovrebbe essere “equo”.

Il documento, in conclusione, sancisce la volontà anche del Comune di Milano di procedere allo smantellamento del sistema dell’edilizia residenziale pubblica, lasciando le famiglie più bisognose, i lavoratori e gli studenti senza diritti, alla mercè del mercato e della speculazione.

Veronica Puija

[1]Presidio del Sicet, martedì 26/9https://www.facebook.com/photo?fbid=775332251239139&set=a.452764073495960; presidio dell’Unione Inquilini, martedì 26/9, https://www.facebook.com/cubmilano/,  presidio dell’Unione Inquilini di Sesto San Giovanni, lunedì 25/9 https://www.facebook.com/photo?fbid=790774143058535&set=a.122541529881803, presidio dell’Asia USB, venerdì’ 22/9, https://www.facebook.com/asiausbMI/?locale=it_IT.

[2]https://www.arcipelagomilano.org/archives/61388



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  1. Andrea VitaliForse bisognerebbe iniziare a pensare in modo inverso: dalla casa pubblica alla casa popolare. L' importante è che la casa sia accessibile, non che sia di un ente pubblico che oramai ha perso le ragioni del suo mandato.
    3 ottobre 2023 • 21:55Rispondi
  2. Annalisa FerrarioInsomma, se capisco bene l'assessore vuol creare un altro carrozzone pubblico tipo Amat o Centro Studi PIM dove piazzare i suoi accoliti. Stiamo a vedere fra qualche anno chi ci sarà ai vertici della nuova società pubblica...
    4 ottobre 2023 • 08:48Rispondi
  3. Annalisa FerrarioTorno sulla questione, sempre all'ordine del giorno. L'assessore alla casa adesso va in giro a dire che nel suo PGT non c'era nulla (o quasi) sul tema della casa affrontabile, perché "i dati indicavano che il problema non c'era". Be', peccato che nel suo PGT questi dati non ci siano (come in generale manca qualunque dato utile, se non qualche vignetta o qualche torta colorata a titolo esornativo). E quindi delle due l'una: o questi dati se li è inventati; oppure ci sono davvero e se li è tenuti nascosti. Non si sa quale delle due sia la l'ipotesi peggiore. Perché non è solo un tema di trasparenza e di correttezza decisionale (cosa di cui la nostra amministrazione sembra essersi del tutto dimenticata), è anche perché la soluzione del tema della casa, come ci mostrano ad esempio le esperienze straniere come quella di Vienna, è proprio nella loro continuità nel lungo periodo (le case affrontabili non nascono dall'oggi al domani): e quindi pochi slogan, poche iniziative estemporanee, ma politiche ben ancorate sui fatti, trasmissibili anche ai propri successori nel tempo. E quindi, caro assessore alla Casa, se hai dei dati che indicano che il problema fino a poco fa non c'era, tirali fuori. Altrimenti stattene zitto (e passa il compito a qualcuno che ne capisce di più). Saluti
    4 ottobre 2023 • 13:57Rispondi
  4. Cesare MocchiSegnalo che sul tema sono stati pubblicati gli esiti dell'Osservatorio sulla Casa Affrontabile a cura del Politecnico di Milano https://www.ilsole24ore.com/art/a-milano-uno-stipendio-1500-euro-mese-si-comprano-23-mq-AFepc2XB e come ci si poteva immaginare il problema ha una dimensione maggiore e più grave di quella delineata dal Comune
    8 novembre 2023 • 13:35Rispondi
  5. Pietro VismaraIl report dell'OCA (osservatorio casa abbordabile) è disponibile qui: https://oca.milano.it/report-2023/ Nella presentazione, Alessandro Maggioni, presidente CCL che ha finanziato in modo meritorio lo studio (grazie!) afferma però che dati sul tema prima non erano disponibili. Mi permetto di contraddirlo sul punto, perché ricordo le ricerche Ance/Cresme del 2011 e Politecnico/Sicet dello stesso anno, che indicavano una quota della domanda abitativa non solvibile al Milano variabile fra il 50% e il 70% del totale (se ne prevede e se ne produce invece circa il 5-7%, ovvero dieci volte meno). Questi dati erano stato richiamati nel 2019 in un incontro alla Casa della Cultura a cui anche Maggioni era presente, ma di cui forse si è dimenticato. Insomma, questa era un'emergenza nota e presente da molto tempo, ma che semplicemente non si voleva vedere (ricordo che anche la legge nazionale, mai abrogata, ovvero l'art. 29 delle L 865/71 , indica che dal 40 al 70% della domanda abitativa sia di tipo sociale). Non è neanche vero che i Comuni non possano fare niente, ricordo ad esempio che nei PRU di Formentini a Milano (un'amministrazione teoricamente di centrodestra) il 50% dell'edilizia residenziale era di tipo sociale (convenzionata o sovvenzionata). Sono fatti e politiche note, ma di cui ci si è voluti colpevolmente dimenticare, questo è il punto.
    10 novembre 2023 • 12:02Rispondi
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