21 novembre 2023

CUI PRODEST? UN SINDACO DOVREBBE CHIEDERSELO SPESSO

Le riflessioni del giorno prima


Copia di Copia di rification (9)

Perdonatemi, ma per arrivare rapidamente al punto devo partire da un quesito talmente generico da apparire irritante. Il quesito è: a che serve una città? Non dovrebbero esservi dubbi: serve soprattutto a garantire un benessere il più possibile stabile a chi ci abita. Case, strade, accessibilità agevole a attività commerciali, servizi, opportunità di lavoro e sociali.

Dico “soprattutto” perché si deve considerare anche ciò che la città offre a chi ne sta fuori: accesso a servizi specialistici e opportunità di investimento e di mercato soprattutto. Ma ciò che la città offre a chi vive fuori non deve compromettere il benessere di chi ci abita, perché è chi ci abita che ne paga i costi sociali e organizzativi: tasse, infrastrutture, servizi, ecc.

E dicendo “il più possibile stabile” si intende riconoscere il fatto che le città sono organismi complessi, che devono affrontare disuguaglianze e criticità, che essendo costruite proprio per non essere flessibili e garantire la stabilità (gli edifici e le infrastrutture di cui è fatta durano secoli) rendono oneroso ogni cambiamento.

Ma il benessere di chi abita una città, spesso minacciato da fattori esterni (traffico, inquinamento, disagio sociale e climatico) dovrebbe restare l’obiettivo primario da perseguire per chi ha l’incarico, e l’onere, di governarla.

Veniamo alla nostra città, o meglio l’insieme di urbanizzazioni che ha di fatto assunto il connotato di arcipelago urbano, Milano e comuni adiacenti. Possiamo dire che questo obiettivo primario sia tenuto in gran conto da chi sta governando?

Per ciascuno dei grandi e piccoli interventi previsti o già decisi, dalle trasformazioni degli scali ferroviari a quelle ipotizzate per un nuovo stadio, dagli interventi a Piazzale Loreto al nuovo centro commerciale di cascina Merlata, al di là di tutte le questioni legali, procedurali, economiche, è legittimo chiedersi, ma “cui prodest?”

Tutti questi interventi hanno un comun denominatore, il presunto vantaggio, costantemente enfatizzato da investitori e Comune, di realizzare grazie a interventi immobiliari a capitale privato concordati con il governo locale, una ricaduta positiva sul bene comune, quindi sul benessere dei milanesi.

Ma è sempre vero ciò?

Prendiamo le proposte per un nuovo stadio, che sia al posto del vecchio Meazza o altrove nell’area metropolitana milanese. Saltando a piè pari ogni dettaglio progettuale e ogni conflitto su questioni legali o procedurali, domandiamoci quale benessere porterebbero ai cittadini sul territorio dei quali si dovrebbero insediare.

I fruitori di un qualsiasi spettacolo sia esso sportivo o altro in un nuovo stadio per 70 mila persone come previsto, non proverranno che in minima parte dal circondario, saranno del tipo “mordi e fuggi” quindi porteranno benefici economici soprattutto a chi ha investito nei nuovi edifici (cioè i fondi stranieri proprietari delle squadre) e solo in minima parte alla popolazione locale, e solo per i giorni degli spettacoli previsti (diciamo esagerando 30 giorni all’anno su 365?).

Mentre il comune di insediamento, sia esso Milano, San Donato o altrove, rinuncerà a centinaia di migliaia di metri quadri del proprio territorio per il cosiddetto piatto di lenticchie, ritrovandoseli cementificati in barba a qualunque legge contro il consumo del suolo, dovendo gestirne l’urbanizzazione e la manutenzione, e tollerando l’inquinamento prodotto sia dall’edificazione del complesso che dal traffico generato dagli eventi.

Qualora tornasse poi in vigore l’ipotesi della costruzione di un nuovo stadio in sostituzione dello stadio Meazza, da aggiungere l’inquinamento aereo ed acustico prodotto dalla sua demolizione.

Per dare solo qualche numero, in una delle ipotesi ultime, dello stadio Milan Inter a San Donato, sono previsti non meno di 5 ettari di parcheggio, ovviamente asfaltato, senza contare lo spazio occupato per il potenziamento della viabilità di accesso, il terreno cementificato per la costruzione dello stadio stesso e degli edifici commerciali previsti, indicativamente per altri 16 ettari.

Chi governa il territorio interessato dovrebbe dunque domandarsi, quale benessere ne deriverebbe ai suoi cittadini? In un territorio sempre più inquinato, dove il consumo del suolo ha raggiunto livelli critici, in un’economia sempre più globale, nella quale i profitti migrano appena possibile lontano dal luogo in cui si formano, chi è lo sfruttato e chi lo sfruttatore?

Non diverso il discorso per il nuovo centro commerciale Bloom a Cascina Merlata. Anche lì operazione di capitalismo finanziario fatta passare come progresso, viabilità in crisi e ettari coperti di asfalto per parcheggi già da ora insufficienti, profitti che appena entrati finiscono trasferiti chissà dove, assorbiti da catene commerciali multinazionali. Il progresso, se vogliamo chiamare progresso la speculazione edilizia, semmai riguarda i proprietari del quartiere adiacente, che con il nuovo centro commerciale si valorizza.

E fa un po’ ridere il vanto di aver creato 280 nuovi posti di lavoro. Chi va a spender soldi al Bloom non li spende più altrove, e l’altrove, ovvero altro centro commerciale, se perde clienti ridurrà il personale. Dal punto di vista dell’occupazione il conto resta dunque pari.

Oltretutto alla faccia della città dei 15 minuti e dello stimolo all’economia di prossimità. Ma Milano non fa parte del C40, associazione di città che hanno come obiettivo comune la promozione di una rigenerazione urbana sostenibile?

Tutto ciò “cui prodest” dunque?

Giorgio Origlia

 



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