19 dicembre 2023

CLIMA, COP28 E REALTÀ MILANESE

Che fare nel nostro piccolo?


cop28

Della Conferenza COP28 appena conclusasi a Dubai se ne parlerà sicuramente a lungo, per la conflittualità che ha suscitato tra gruppi di interessi e di nazioni, per la difficoltà di far fronte alla crisi climatica nei tempi stretti che ormai quasi tutti, tranne i paesi produttori di petrolio, riconoscono, per la fragilità dei programmi messi in campo, tutti affidati a rivoluzioni produttive come la conversione alla mobilità elettrica, o a sviluppi tecnologici come il cosiddetto nucleare (speriamo) pulito, di là da venire. Questa ipotesi peraltro già anticipata dal film di Oliver Stone, Nuclear Now, che con tragica lucidità e dati alla mano ci fa capire che solo con l’eolico e il solare e senza al nucleare non arriveremo mai a coprire il fabbisogno energetico finora garantito dai combustibili fossili.

Ma ciò che non è mai stato messo in discussione è appunto il fabbisogno energetico attuale: guai a pensare che si può ridurre, visto che le soluzioni sono tutte affidate a innovazioni che si attivano solo se incontrano il favore del sistema economico-produttivo attuale, vedi la transizione verso la mobilità elettrica, che se si verificherà sarà solo perché interessa all’industria automobilistica.

Due principii hanno dunque prevalso: il primo è “non disturbare il guidatore”, anche se molto miope (il capitalismo finanziario), il secondo è sintetizzabile nell’acronimo POMYD (paws off my dish), giù le zampe dal mio piatto, è agli altri che tocca digiunare per primi.

E la politica tace, visto che prendere provvedimenti seri per ridurre i consumi non essenziali, responsabili di una parte consistente del fabbisogno energetico attuale, o per investire consistenti fondi pubblici in opere che offriranno vantaggi a lungo termine, significa scontentare la massa alla quale l’ambiente va bene così com’è e non essere rieletti.

La deliberata latitanza dimostrata dal nostro ministro per l’Ambiente al COP28, tanto più vergognosa se confrontata con l’impegno invece dimostrato dalla rappresentante della Spagna, è fulgido esempio di ciò.

Insomma, ancora una volta, parole, parole, parole….Tutto ciò vuol dire che noi, che siamo nell’area metropolitana di Milano, area che già adesso ha sofferto e soffre dei molteplici effetti di un clima alterato, dagli eventi meteo estremi all’effetto isola di calore, effetti amplificati dalla estesa impermeabilizzazione dei suoli e dall’inquinamento che la caratterizza il nostro territorio, non dobbiamo aspettarci che un miglioramento serio e non di facciata provenga da iniziative efficaci provenienti dalla sfera politica, né mondiale, né nazionale, né tantomeno regionale. Dunque, che fare?

Partiamo da ciò che si sta facendo. Inizierà a breve l’attività della Assemblea Permanente dei Cittadini sul Clima, promossa dal Comune di Milano, nell’ambito del Piano Aria e Clima. Iniziativa comunque lodevole soprattutto perché mette in atto un processo di partecipazione dei cittadini, scelti a sorteggio, alla gestione del territorio: pratica finora assente.

Il principale tema di discussione dell’Assemblea Permanente dei Cittadini sul Clima è la modalità di realizzazione delle varie Azioni del Piano Aria e Clima (PAC), all’interno di cinque Ambiti programmatici:

  • Ambito 1 – Milano sana e inclusiva: una città pulita, equa, aperta e solidale
  • Ambito 2 – Milano connessa e altamente accessibile: una città che si muove in modo sostenibile, flessibile, attivo e sicuro
  • Ambito 3 – Milano a energia positiva: una città che consuma meno e meglio
  • Ambito 4 – Milano più fresca: una città più verde, fresca e vivibile che si adatta ai mutamenti climatici
  • Ambito 5 – Milano consapevole: una città che adotta stili di vita consapevoli

A partire da questo programma, il PAC si propone di raggiungere 3 obiettivi principali:

  • rientrare nei valori limite delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici PM10 e NOx (polveri sottili e ossidi di azoto), fissati dalla Direttiva 2008/50/EC (recepita dal D.Lgs 155/2010 e s.m.i.) a tutela della salute pubblica
  • ridurre le emissioni di CO2 (anidride carbonica) del 45% al 2030 e diventare una Città Carbon Neutral al 2050
  • contribuire a contenere l’aumento locale della temperatura al 2050 entro i 2°C, mediante azioni di raffrescamento urbano e riduzione del fenomeno dell’isola di calore in città.

Auguro un buon lavoro all’Assemblea sul Clima, il cui orizzonte temporale però è il 2030 se va bene se no il 2050, ovvero tra più di un quarto di secolo, e su obiettivi limitati (perché ad esempio non si cita l’inquinamento da PM2,5, il più pericoloso?), e vorrei invece qui interrogarmi sul futuro più immediato: cioè, è realisticamente possibile migliorare le condizioni ambientali di Milano e hinterland, e avere una città più sana, più verde, più fresca, come programmato dagli ambiti 1 e 4,  nel giro di qualche anno e non di qualche decennio?

Benissimo piantare 500.000 alberi all’anno secondo il progetto Forestami, che però in dimensioni da vivaio, cioè alti 3-4 metri, a andar bene (quanti ne sono morti per incuria nell’estate 2023?) produrranno effetti significativi sul clima solo un bel po’ di anni dopo essere stati piantati.

Non è il caso allora di incentivare anche e da subito la depavimentazione di tutte le superfici impermeabilizzate non stradali e dove possibile la loro semina (anche prati e arbusti sono verdi, certo contribuiscono meno degli alberi a migliorare l’equilibrio climatico, ma lo fanno da subito, non fra un decennio)?

Benissimo stimolare la realizzazione di coperture verdi, che però interessano una frazione minima delle coperture esistenti e soprattutto hanno costi di gestione non indifferenti.

Ma perché allora non pensare ai tetti freschi, oltreché a quelli verdi?

I cosiddetti “cool roofs” o tetti freschi, rappresentano una soluzione collaudata, promossa e diffusa all’estero (addirittura imposta dalla legge in California) per sfruttare l’effetto “albedo”, riducendo l’assorbimento della radiazione solare da parte delle coperture e rifletterlo verso il cielo. L’efficacia nel ridurre l’effetto isola di calore e i consumi energetici estivi, che occupano ormai metà dell’anno, è ormai ampiamente dimostrata.

Qui colpisce un’assenza di interesse da parte di tutte le amministrazioni pubbliche italiane che ha dell’inspiegabile.

Il trattamento delle coperture, di qualunque materiale, tegole, lamiere, guaine, sia nuove che esistenti, sia piane che inclinate, con vernici o film che riflettono la radiazione solare è poco costoso, rapido e efficace, non tra dieci o vent’anni, ma subito.

Con incentivi fiscali assai meno devastanti sui conti pubblici dei Superbonus e enormemente più efficaci si potrebbe avviare molto rapidamente anche per i condominii un processo virtuoso.

MM

Guardate Milano su Google Map e vi renderete conto di quanta superficie è occupata da tetti di tegole tradizionali o lamiera che potrebbero essere resi riflettenti, riducendo così non solo l’effetto isola di calore urbano ma anche il consumo per il raffrescamento estivo, che ormai quasi supera i consumi per il riscaldamento. Certo rispetto ai tetti verdi non contribuiscono direttamente a ridurre le emissioni di CO2, ma riducendo i consumi energetici per il raffrescamento lo fanno comunque anch’essi indirettamente.

Qualche purista arriccia il naso all’idea di tetti di cotto che diventano bianchi, ma non credo che ci potremo permettere più a lungo questo tipo di purezza, a parte il fatto che le sopraelevazioni indiscriminate e spesso mostruose concesse negli ultimi anni hanno avuto un impatto sull’estetica urbana ben peggiore di questo.

Insomma, guardiamo pure con fiducia al futuro tra dieci o vent’anni, ma non dimentichiamoci che  possiamo già fare qualcosa da ora, ed è meglio farlo senza contare sulle parole, parole, parole…

Giorgio Origlia



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