7 febbraio 2023

LE ATTUALITÀ MILANESI

Lettera 15 febbraio 2023


lettera arcip (8)

Care lettrici e cari lettori, ho chiesto ad alcuni amici di mandarmi le loro considerazioni “a caldo” sui risultati delle Regionali, pensando di dedicare il prossimo numero di ArcipelagoMilano ad analisi del voto nel senso vero della parola.

Avevo raccomandato la brevità dei commenti, qualcuno l’ha fatto  e qualcun altro no, si è dilungato probabilmente propter abundantia cordis, come direbbero i latini, per la pienezza del cuore tra delusione, amarezza e rabbia.

Niente di male, spero che qualcuno di loro abbia ancora voglia di approfondire il discorso.

Quanto a me mi atterrò alla brevità dei ricordi: nelle elezioni politiche del 1972, le prime di cui ho memoria, andarono al voto il 93,26% degli aventi diritto, oggi alle Regionali poco di più del 41%.

Nel 1972 gli iscritti al PC distribuivano alla domenica l’Unità sui sagrati delle chiese e nei quartieri, la gente litigava per strada sulle scelte politiche, la borghesia si dava da fare: ognuno diventava “attivista” del Partito per il quale si accingeva ad andare a votare.

Oggi gli elettori, se tutto va bene, si limitano a dire per chi andranno a votare. Troppo poco. Chi crede nella democrazia deve darsi da fare, la democrazia non è “gratis”. Non basta autoassolversi dicendo che la colpa è dei Partiti, della “casta”, degli attenti osservatori del proprio ombelico che siedono nelle aule parlamentari, giovani e vecchi che siano.

Eccovi, qui di seguito, le opinioni “a caldo” degli amici.

Buona lettura.

Luca Beltrami Gadola

WALTER MAROSSI – È difficile capire come sia possibile governare Milano, Brescia, Bergamo, e tanti altri capoluoghi, città, cittadine e perdere ininterrottamente le elezioni regionali dal 1995. Dei quindici partiti che parteciparono a quelle elezioni sopravvive solo Forza Italia, tutti gli altri hanno cambiato nome, ma non è cambiato il fatto che le coalizioni di centro sinistra o di sinistra centro non hanno mai insidiato il dominio moderato. Lo score più alto fu quello del 2005 con Sarfatti, motivato dal semplice fatto che aveva avuto la coalizione più ampia di tutte quelle precedenti e successive. In un sistema elettorale a turno unico più alleati hai meglio è, più competitori hai peggio è. Elementare Watson.

Queste elezioni, tuttavia, pongono una nuova questione: lo scorso settembre (senato) il centrosinistra prese 13.73145 voti, i 5 stelle 370.336 voti.

A queste elezioni Majorino avrebbe quindi dovuto contare su circa 1.700.000 voti invece si è fermato a 1.100.000. Perché? Cosa spinge un elettore a cambiare idea e come minimo non partecipare al voto in così breve tempo? Non serve incolpare la Moratti o il Terzo Polo che si trovano nella stessa situazione avendo perso tra politiche e regionali quasi 200.000 voti.

La ricerca del perché di una sconfitta elettorale è spesso simile a quella della sconfitta calcistica: con il senno di poi sono tutti straordinari allenatori. Meglio lasciar perdere, ringraziare chi ci ha messo la faccia e ripartire da zero, anzi no, ripartire da Cesano Boscone dove Majorino ha superato il 52% e il PD il 43% o da Brescia che ha percentuali simili.

La ragione? Il sindaco in lista. Bisogna ripartire dai sindaci e dalle alleanze vaste. Elementare Watson!

GIUSEPPE UCCIERO –  Le elezioni regionali impongono un commento a caldo. La Destra stravince il confronto, nel deserto delle urne. Alla secessione delle elites il popolo risponde con lo sciopero elettorale, e la cosa preoccupa di più.

Sei cittadini su dieci non hanno esercitato il diritto dovere di scegliere i propri rappresentanti: lo stigma contro la classe politica non potrebbe essere più sanguinoso, ma ferisce di più a sinistra, la destra meno. Chiaro il suo messaggio e la continuità, nel bene e nel male, con i precedenti 30 anni di potere. Il Covid è dimenticato.

Majorino non è riuscito a cambiare il sentimento di fondo che circondava lo sguardo popolare verso le opposizioni, anche se in termini numerici, il PD se la cava meglio di altri. Il Terzo Polo resta al palo e Moratti fuori dall’aula consiliare. Magra consolazione. La questione dell’identità del maggior partito resta sul tavolo: saranno sufficienti le primarie prossime venture? Due le visioni, due le soluzioni, due i candidati. Per Schlein l’astensione dell’elettorato popolare segna il fallimento di una proposta lontana dai bisogni di chi se la passa male, mentre per Bonaccini servono concretezza ed energia.

Vedremo il 26 cosa succede.

Milano, con il chiaro successo di Pierfrancesco Majorino, più che un modello ormai è diventata un caso, come Bergamo e Brescia. Alla chiara vittoria nella città, dense di ceto medio acculturato, corrisponde l’insuccesso sul territorio metropolitano, dove “si dice” abitino lavoratori e ceti meno abbienti: ci sarà un nesso con la secessione elettorale?

La crisi del campo progressista è profonda, coinvolge la sua identità, il rapporto con i cittadini, ed infine la politica delle alleanze. Non ci sono scorciatoie di comodo, e forse i prossimi cinque anni sono un periodo adeguato alla bisogna. Ci illudevamo, complici sondaggi fasulli. Si sperava meglio, ma questo è il risultato, amaro come una medicina  che pure bisogna prendere e la nostra sarà cinque anni di Fontana e Romano La Russa al comando in Lombardia.

Come ammoniva uno spot di qualche anno fa “meditate, gente, meditate”.

FIORELLO CORTIANA – Fontana è stato confermato con il 55% dei voti, più del 49,7% precedente.  41,67% di votanti in Lombardia e 42,17 a Milano, sotto il 40% con le schede nulle e bianche. 60 a 40: lo share di Sanremo a parti rovesciate.

Fontana: “Si devono fare riflessioni ma bisogna smettere di delegittimare la politica. Di questo siamo tutti responsabili, la politica deve ricominciare ad essere valutata per il ruolo che deve rivestire all’interno di una democrazia”. Pierfrancesco Majorino: “Vittoria netta della destra. Il Terzo polo rifletta sulla scelta di Moratti”. Ovvero: la questione della legittimità delle istituzioni della rappresentanza democratica è così evidente che evitano accuratamente di guardarla.

Conta chi vota e non bisogna turbare il bipolarismo consociativo e la sua antinomia elettorale dx vs sx. Poi tutto ritorna business as usual, con il braccio di ferro per la composizione della Giunta e di tutte le cariche e nomine, piuttosto che per  la definizione delle alleanze congressuali.

L’altro 60%? Affari suoi. Chi si incontra con chi esce dalle trincee etniche confrontandosi sulla efficacia delle proposte è un transfuga non un costruttore di ponti. Sono assenti i territori, ci sono un’omologazione all’analfabetismo e l’atomizzazione sociale, il favore, lo scambio, sostituiscono i diritti e l’indirizzo politico. Il personale non è più politico, come si diceva, ora è privato e deprivato di ogni partecipazione pubblica con effettive quote di sovranità da esercitare. La strada è lunga.

LUIGI CORBANI – Sei a quattro: una minoranza che diventa maggioranza. Giornali e tv non spostano voti ma aiutano a non andare a votare: dopo tutte le cazzate di Sanremo (un festival del cattivo gusto e della brutta musica), del governo e della opposizione (si fa per dire) vince il partito della astensione, ovvero il disinteresse, l’antipolitica, la sfiducia nelle istituzioni e nei “partiti” e nella politica.

In Lombardia e a Milano, sei cittadini su dieci  non vanno a votare né per il sindaco né per il presidente della regione più avanzata d’Italia. Ma ai partiti non interessa nulla, basta avere i loro posti: nessuno parla dei valori assoluti, ma solo delle percentuali di voto ai partiti.  In questa elezione hanno partecipato al voto il 41,67% degli elettori della Lombardia, (41,53% nell’area metropolitana, 42,12% nella città di Milano): due milioni in meno di settembre 2022 e due milioni e seicento mila meno del 2013.

Nel 2010 i votanti furono il 65% (dato più basso prima di ieri), nel 2013 il 77% e nel 2018% il 73%. Insomma, hanno votato per le liste dei partiti il 36% degli otto milioni di aventi diritto e per i presidenti il 41% : 365.000 persone hanno votato solo per i candidati presidenti.

E anche questi dati indicano che votare in due giorni e  per 24 ore è proprio di un paese anomalo – in cui di volta in volta si decide la durata delle operazioni di voto, segno anche questo  della decadenza della pratica politica italiana . ma non si conquistano gli elettori.

Certo, la mediocre “offerta” partitica e le modeste candidature per la presidenza hanno aumentato la disaffezione al voto, Sta di fatto che grazie ad una legge elettorale, –  giusta per un ente amministrativo come un Comune  sotto i 15.000 abitanti, ma sbagliata per un ente legislativo, di indirizzo e di programmazione – con il maggioritario secco, si ottiene che un presidente, che ha poco più di un voto ogni cinque elettori,  abbia la maggioranza dei seggi in consiglio regionale: pur rappresentando solo il 22% dei lombardi, ha il 60% dei seggi del consiglio regionale (dove hanno inventato anche la figura del “consigliere sostituto” dei consiglieri che vanno a fare gli assessori).

Era evidente che il centrodestra avrebbe vinto, visto che l’occasione di unire le forze del centro e della sinistra è svanita di fronte all’autocandidatura della Moratti, prontamente sostenuta con un piglio personalistico e romanocentrico da Calenda. Un flop scontato visto che si proponeva agli elettori di bere un vino stagionato nel centrodestra, imbottigliato poi  nel terzo polo, che non ha tolto a quella candidatura un sapore allappante, in particolare per l’elettorato di centrosinistra. Con il risultato che la lista Moratti ha cannibalizzato  il terzo polo: la candidatura Moratti ha preso duecentomila voti meno di quelli raccolti dal terzo polo alle politiche del 2022. Un errore grossolano che ha portato a un disastro, di cui è totalmente responsabile il sistema verticistico del terzo polo.

Né meglio è andata al centrosinistra e al PD ben lontano dal 26% del PD del 2013 (candidatura Ambrosoli): lo scarso risultato del movimento 5Stelle (un terzo dei voti presi per la Camera 2022)  ha dimostrato che l’errore politico di questa alleanza non è stata compensata sul piano elettorale, anzi forse l’unione PD-5S ha danneggiato la coalizione. Il PD oggi ha quasi settecento cinquantamila voti in meno del 2013 e la lista Majorino ha preso meno di un terzo dei voti della lista Ambrosoli e quasi cinquantamila voti della lista Gori.

E comunque una candidatura tutta spesa sui diritti, sulle minoranze, sugli immigrati, e poco attenta ai lavoratori e alle forze produttive certamente non poteva andare oltre il risultato deludente di queste elezioni. Continuo a ritenere che un’altra candidatura, quella di Lorenzo Guerini, avrebbe potuto unire centro e sinistra con molte possibilità di vittoria. Ma per questo ci vorrebbe un partito che sappia superare gli egoismi, di parte e anche personali, e guardare agli interessi generali.

Dopo le vicende del Covid, le opposizioni non sono state in grado di scalfire il potere del centrodestra in Lombardia, dove la Lega, a dispetto di tutte le previsioni e delle aspettative del centrosinistra, ha tenuto sommando i voti della Lega e della lista Fontana. Così come non sembra sparita nel nulla Forza Italia. E Fratelli d’Italia si conferma il primo partito della Lombardia, ma non stravince, anzi perde metà elettorato del 2022. Tuttavia il PD e il terzo polo dovrebbero riflettere seriamente sul fatto che il partito diretto da La Russa  sia passato, in questa regione,  da ottantamila voti del 2013 a oltre settecentomila voti del 2023 e di fatto sia l’unico partito che ha più elettori di dieci anni fa.

Non è il caso, per l’opposizione di pensare che  l’avversario principale sia Fratelli d’Italia e che (al di là dello smandrappato Salvini) sia opportuna una iniziativa politica che agisca sulle contraddizioni esistenti nel centro destra e che cerchi di dividere Lega e Forza Italia da Fratelli d’Italia, a direzione La Russa?

E forse non è il caso di pensare a costruire in questi anni una candidatura per la Ragione e per il Comune, senza improvvisare all’ultimo momento?

P.S. L’esortazione al voto utile e la proposta di eliminare la distinzione uomo-donna  ai seggi, superando le distinzioni di genere (peccato che poi le due possibili preferenze dovevano essere a una donna e a un uomo) sono state fondamentali per sottolineare cosa si aspetta il Comune di Milano dalle politiche regionali.

UGO TARGETTI – Premessa. Per semplicità di esposizione definisco “destra” la coalizione guidata dal Fratelli d’Italia e “sinistra” i partiti che non fanno parte della coalizione di “destra”.

La destra ha vinto

La destra ha vinto le politiche di settembre e ancor più le regionali di febbraio 2023. Il governo esce rafforzato dalle regionali e chi pensava che la coalizione di destra non avrebbe retto molto tempo per via delle divergenze interne ha sbagliato. Tuttavia il Paese non è organicamente né  di destra né tanto meno di sinistra. Da molti anni l’elettorato è molto variabile e gli esiti elettorali possono cambiare in poco tempo. L’astensione dal voto che alle regionali è quasi del 60%, oltre ad essere grave in sé, rende aleatorio qualsiasi quadro politico.

Le alleanze

Chi si allea vince: chi non si allea perde, è banale ma non sembra che lo sia per i leader di sinistra.

Di chi la responsabilità del mancato accordo a sinistra? Non ho dubbi è di Conte e di Calenda.  Conte e Calenda ciascuno per parte sua hanno impedito l’alleanza con il PD, il dileggiato “campo largo”; sapevano bene che avrebbe vinto la destra. Il che sarebbe stato legittimo se avessero dichiarato agli elettori perché preferivano che vincesse la destra pur di conquistare voti al proprio partito e se avessero dichiarato cosa pensavano di ottenere in favore del proprio elettorato stando all’opposizione. I 5 Stelle hanno perso metà dei voti e il Terzo Polo è rimasto al palo. E’ utile rimarcare le responsabilità? E’ essenziale chiarire gli errori se si vuole costruire un’ alleanza a sinistra. Le differenze a sinistra sono inconciliabili? In politica tutto è possibile.

Il PD

Il PD, dato da molti per spacciato per via dell’incapacità della sua leadership, ha, non ostante tutto tenuto e rimane l’unico riferimento per un’alleanza a sinistra. Il PD ha tenuto, per merito della sua base elettorale storica, quella riformista che ha saldi i valori della Costituzione e delle istituzioni democratiche, che proviene dal PCI, dalla DC di sinistra, dal PSI non craxiano, dai repubblicani europeisti, che proviene, per ragioni d’età, ma anche per formazione politica, educazione famigliare, per cultura da quella parte del nostro popolo per cui l’antifascismo è un valore sostanziale e vissuto e non retorica d’occasione.

Il voto in Lombardia

In Lombardia la “destra” ha vinto con il 57% ma l’astensione è stata del 58,3 %; dunque solo un elettore su tre ha apertamente sostenuto il governo regionale uscente mentre solo uno su quattro ha votato per l’opposizione. Eppure la regione governa la sanità, i trasporti e molti altri settori, questioni che incidono sulla vita quotidiana di milioni di persone. Sembra che i cittadini sentano ancora lontana l’istituzione e ritengano che il loro voto non incida sulle proprie condizioni di vita. Forse sarebbero necessarie istituzioni intermedie tra comuni e regione che abbiano amministratori più presenti sul territorio e più vicini ai cittadini e ai comuni. Ma è difficile dire quale siano le cause dell’astensione, che sono certamente molteplici e andrebbero indagate con metodo.

Il PD in regione ha tenuto. Merito anche di Majorino un buon candidato che ha saputo caratterizzare il PD e l’alleanza di sinistra. A Milano Majorino ha prevalso su Fontana e il PD è il primo partito con il 28%, confermando l’operato della Giunta Sala. Dati che dovrebbero far riflettere a sinistra sul rapporto tra capoluogo e resto della regione.

Che fare a “sinistra” in Lombardia

Primo capire perché il 60% degli elettori non vota. Indagando le ragioni con metodo scientifico ma anche incontrando i cittadini direttamente. Poi costruire un’alleanza tra i partiti d’ opposizione a partire dai  “programmi elettorali” (chi li ha letti?) Il “programma” di Majorino per la Lombardia, sostenuto da PD, 5 Stelle, Verdi e Sinistra, è un programma di sinistra, attento al sociale e all’ambiente ma è anche sostanzialmente sovrapponibile a quello  di Letizia Moratti sostenuta da Azione e Italia Viva.  In realtà i due programmi sono in parte compatibili anche con quello di Fontana, salvo l’esplicita dichiarazione di Majorino di voler ridurre i finanziamenti alla sanità privata. Non sempre sono apparse chiare le scelte politiche alternative. Bisogna costruire l’alleanza delle opposizioni su temi politicamente significativi, confrontandosi  con la società lombarda, secondo una propria agenda, non solo in Consiglio regionale e non solo a rimorchio delle proposte della destra, su sanità, trasporti, governo del territorio e ambiente.

L’autonomia regionale

Il primo tema sul quale costruire l’alleanza di opposizione dovrà essere l’autonomia regionale differenziata per la quale il governo ha presentato un progetto di legge e con essa la riorganizzazione degli enti locali: comuni, province e città metropolitana di Milano. L’autonomia regionale infatti può essere attuata in modi assai differenti. Nei programmi dei candidati presidenti il tema era ripreso ma senza entrare nel merito. L’opposizione in Lombardia  dovrebbe distinguersi proponendo una reale autonomia fiscale sulle materie delegate che attribuisca alle regioni anche la responsabilità del prelievo e il controllo dell’evasione fiscale.

In conclusione ancora per l’alleanza di sinistra

L’alleanza di sinistra andrebbe costruita in modo organico con i sindaci e gli amministratori di sinistra che governano le città maggiori come Milano, Varese, Bergamo, Brescia, Mantova e altre.

Bisogna costruire un’alleanza stabile tra i partiti che dovrebbe sostenere le prossime candidature a sindaco e costruire il futuro candidato presidente, per tempo, non negli ultimi mesi.

PIETRO CAFIERO – È appena terminata la #maratonamentana, appuntamento imperdibile come la luce di una lampadina per una farfallina effemeride. Sa che morirà ma non può evitare di dirigersi verso quella meta. Idem per Mentana. Sai che non dovresti ma alla fine cedi e assisti impotente ad uno sbrodolare di cifre, exit poll, commenti, analisi e aria fritta. E chi siamo noi per sottrarci allo stesso giochino? Nessuno, e quindi venghino signori, riapre il circo Barnum. Da dove iniziamo? Dalla cruda verità… La destra ha (stra)vinto. Facile, direte voi, non c’è mai stata a questo giro una vera competizione. Con un PD che ha volutamente atteso che passasse la nottata di queste elezioni per darsi una nuova(?) leadership, onde evitare di offrire al neo scelto condottiero uno sberlone elettorale come primo atto, con i 5 Stelle in rapido scioglimento che nemmeno i nostri poveri ghiacciai alpini, con il terzo polo che giustamente, dato il nome, non poteva che arrivare in quella posizione (terzo, appunto), con tutte queste premesse, non ci voleva Nostradamus per capire in anticipo di cosa avremmo parlato oggi. Eppure nonostante tutto, nonostante i deliri ormai sempre più sconclusionati di Berlusconi (che ormai solo uno come Vauro può apprezzare), penso che si possa trovare qualche motivo di genuino stupore e qualche tema su cui fare riflessioni vagamente serie.

Iniziamo dal più eclatante, l’astensionismo. Se il 60% degli aventi diritto non va a votare, in linea di massima significa che o si ritiene il risultato già scontato e quindi non valga la pena andare a fare una croce sulla scheda elettorale o peggio ancora si valuta negativamente l’offerta politica. Lascio a voi scegliere se sia più probabile l’una o l’altra ipotesi o una combinazione delle due, ma diciamocelo, io propendo più per la seconda. C’è una forte crisi di rappresentatività. Un abisso tra l’attuale classe politica e il resto del mondo. Ma come si può dopo una simile tranvata affermare che “il partito ottiene un risultato più che significativo”? L’unica spiegazione valida è che Letta abbia detto queste cose quando era ancora in stato confusionale… Gli italiani non vanno più a votare perché non vogliono votare per questi politici. Prima lo capiamo e prima forse qualcuno potrà porvi rimedio. Poi possiamo attendere l’analisi dei flussi per capire se l’astensionismo attecchisce più a destra o a sinistra. Ma quando si arriva a queste percentuali direi che è preoccupante e basta.

Perché di fatto, e qui veniamo al secondo argomento, Fontana (ma vale anche per il Lazio, con un’affluenza del 37%) è stato eletto dal 55% del 41%, ovvero dal 22% degli aventi diritto. Ovvero 1,7 su circa 10 milioni di abitanti. Un po’ pochino, mi verrebbe da dire. Intendiamoci non è che la democrazia sia in pericolo o altre baggianate del genere, ma è un dato che fa pensare. Soprattutto se lo integriamo con quello delle provincie di Bergamo e Brescia, le più colpite dai disastri della prima gestione COVID. Ebbene in quelle zone Fontana ha stravinto. Tafazzismo lombardo? Può essere. Oppure c’è qualcosa che merita di essere indagato. Perché il PD tiene nella città di Ambrogio e va male nelle valli e tra i monti? Perché il PD che governa (bene o male in questo caso è irrilevante) da tre sindacature Milano non riesce ad esportare questo “modello” al livello superiore?

Io penso che la proposta calata dall’alto di un Majorino, per carità degnissima persona, già vecchio e risaputo (leggetevi il suo articolo pre elettorale qui su Arcipelago), non abbia smosso o toccato i cuori sopiti degli elettori, forse nemmeno quelli dei suoi. E non mi si venga a dire che è colpa della Brichetto. Non sarebbe cambiato molto. Perché chi ha votato Moratti difficilmente avrebbe votato per un PD alleato ai 5 Stelle. Forse per un PD “solitario”, sì. Ma ci sarebbe voluto un coraggio che è mancato.

Ultimo tema. Fratelli di Italia e la Meloni crescono e vincono. E se riusciamo ad andare oltre i soliti ritornelli (che evidentemente hanno un po’ stufato) dei fascisti brutti e cattivi, forse potremmo anche capire il perché di questo fenomeno. A meno di non voler sostenere che il popolo è bue. A me sta anche bene, ma io sono snob e un po’ anarchico (nell’animo). Questi governano ormai da mesi e nonostante dichiarazioni improvvide, gaffes e atteggiamenti poco istituzionali di molti rappresentati di quel partito e di quella maggioranza, nonostante tutto vincono le elezioni delle due più importanti regioni italiane (non me ne voglia il Molise). Riuscite a spiegarmi perché, senza essere snob e radical chic?

ORESTE PIVETTA – Il giorno dopo, in lontane tornate elettorali, capitava di ascoltare ponderate riflessioni dei politici in cattedra, nessuno dei quali si rassegnava ad ammettere di aver perso. Dal 25 settembre le cose sono cambiate e tali risultano anche dopo il 12 e 13 febbraio, con materiale chiarezza: la Meloni ha vinto, Salvini s’è ringalluzzito, Berlusconi s’è sentito vivo, il Pd non è sprofondato, i Cinquestelle contano ben poco, il trio delle meraviglie Moratti-Calenda-Renzi se ne deve tornare a casa a capo chino (ma la nostra ex sindaca minaccia di ripartire).

Nessuno può negare però l’esistenza del vero trionfatore: l’astensionismo, con il sessanta per cento di lombardi elettori che si sono tenuti alla larga dai seggi (consoliamoci: il disastro riguarda tutta la “nazione”). Fa un certo effetto quel numero nella regione, che fa il 22 per cento del pil italiano, treno del paese, ponte verso l’Europa, laboratorio politico di prim’ordine, culla di scienze e tecnologie, eccetera eccetera.

Della marcia trionfante dell’astensionismo avevo scritto in un lunghissimo articolo pubblicato da Arcipelago. Non lo riassumo. Per carità. Aggiungo però un motivo: la decadenza della memoria. Un esempio. Quando sfilavano di notte a Bergamo i camion militari che recavano le bare dei morti di covid si disse: mai più questi. Di Gallera ci siamo liberati (non entrerà in consiglio), ma Fontana resta a maneggiare i trenta miliardi di bilancio regionale, i ventidue miliardi destinati alla sanità. Cancellati quelle immagini e quei propositi, la rimozione della storia disarma anche il possibile significato di un voto in una realtà che parla di indifferenza, egoismo, individualismo.

N.B. I commenti alla Lettera vanno indirizzati a redazione@arcipelagomilano.org



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