19 dicembre 2023

IL DON CARLOS DI CUI SI È DETTO DI TUTTO

Aspettando il prossimo "Il ratto nel serraglio"       


Copia di Copia di Copia di rification (5)

Nel descrivere e raccontare l’inaugurazione della stagione del Teatro alla Scala si è parlato molto degli ospiti del Palco Reale e molto poco dell’opera e di coloro che, sul palcoscenico e in buca, l’hanno realizzata. Come se i veri personaggi del Don Carlos – povero Giuseppe Verdi, ingiustamente trascurato! – fossero Ignazio La Russa, Liliana Segre, Beppe Sala e quel simpatico scostumato che ha urlato “Viva l’Italia antifascista!”. Vogliamo provare a parlare invece dell’opera?

Raramente, dopo una “prima” del 7 dicembre, si sono sentiti pareri tanto discordi; nessuno l’ha difesa appieno, come capolavoro ben riuscito, ma nessuno l’ha vituperata più di tanto, considerandola un fiasco (scusate, un flop…!). Tutti coloro che ho sentito hanno avuto qualcosa da criticare e tutti qualcosa da ammirare.

Dirò subito che le critiche maggiori sono andate alla scenografia e alla regia, ma c’è stato anche qualcuno (pochi) che le ha apprezzate. Anche sulle voci i pareri sono stati discordi: chi ha amato più Elisabetta di Valois (Anna Netrebko) chi invece ha preferito la principessa d’Eboli (Elina Garanča), mentre fra le voci maschili la contesa è ancora aperta fra Filippo II° (Michele Pertusi), Don Carlo (Francesco Meli) e Rodrigo (Luca Salsi). Ci si è invece accaniti poco intorno alla direzione di Riccardo Chailly; né grandi denigratori, né grandi estimatori.

Proverò ad esprimere un’opinione ponderata, a oltre 10 giorni dall’evento, ma non prima d’aver premesso che ho seguito lo spettacolo su un grande schermo montato al Ma.Mu., in un ambiente cioè per nulla mondano – fatto di appassionati musicofili, spesso anche acculturati – mentre posso immaginare che un ascolto dal vivo, in teatro, avrebbe potuto capovolgere impressioni e giudizi.

Non so proprio come si possa aver apprezzato e gradito la regia di Lluìs Pasqual e le scene di Daniel Banco; ho l’impressione che Dominique Meyer con le regie ci azzecchi poco. È da tempo – per non dire molto spesso – che alla Scala le messe in scena sono improbabili e imbarazzanti (si pensi solo a quelle di Livermore o di Michieletto!).

Questa scena del Don Carlos, poi, che si basa su “un cilindro di alabastro centrale che quando si apre può rivelare diversi elementi” (così la descrive l’autore), alto come l’intero palcoscenico, che assomiglia a un palazzo per uffici degli anni cinquanta, con le masse del coro e i protagonisti che si accalcano sulle antistanti gradinate potendosi muovere poco e male, il tutto avvolto in un buio sepolcrale ….. ma davvero si pensa sia questo il modo di avvicinare alla lirica i giovani e coloro che aspirerebbero a conoscerla e magari vorrebbero innamorarsene?

Come possono capire che quel palazzo rappresenti la scena che Verdi indica testualmente, in partitura, come “il chiostro del convento di san Giusto. A destra una cappella illuminata. Vi si vede attraverso un cancello dorato la tomba di Carlo V°. A sinistra porta che conduce all’esterno. In fondo la porta interna del chiostro. Giardino con alti cipressi”? Come si può, con tale travisamento, rendere comprensibile e dare un senso compiuto all’opera?

Le voci. Indubbiamente  la Garanča, nell’opera, ha una parte più intrigante che la rende immediatamente molto simpatica (si sa che le amanti attraggono più delle mogli, ahimè,… così come le voci da mezzosoprano e da contralto “acchiappano” più della voce dei soprano!), e per giunta ha, rispetto alla Netrebko, qualche anno di meno e una presenza scenica più pimpante. Ma la consapevolezza del ruolo della Netrebko è magnifica, tanto di cappello!

Quanto alle voci maschili, le ho trovate tutte all’altezza del loro ruolo, compresa quella di Pertusi, che aveva annunciato un problema di salute e che ha trovato la forza di andare in scena ugualmente, e compresa quella di Meli che mancava un po’ di volume ma non delle giuste inflessioni. Forse Salsi era quello più in forma di tutti, e tutti un po’ sovrastava.

Un discorso a parte merita Riccardo Chailly che con l’orchestra ha dato prova di grande esattezza e di puntuale adesione al testo verdiano, ma si è avuta l’impressione che l’opera non fosse proprio nelle sue corde: una esecuzione senza molto patos che, nonostante la potenza emotiva del racconto, non ha trasmesso grandi emozioni. Molto bene l’orchestra e soprattutto il coro, perfettamente istruito da Alberto Malazzi, che in quest’opera ha una presenza significativa.

*****

Nel programma della stagione della Scala è previsto, per il prossimo febbraio, C diretto da Thomas Guggeis, un vivace ed elegante trentenne tedesco cresciuto fra Monaco e Milano, che nel maggio scorso debuttò nel nostro Teatro per sostituire Daniel Barenboim – di cui è stato allievo ed assistente – nella tournée europea della West-Eastern Divan Orchestra e che abbiamo sentito in questi giorni dirigere, all’Auditorium, la terza Sinfonia di Brahms e la terza Sinfonia di Schumann (la “Renana”). Ho detto non a caso “vivace ed elegante”, perché così si è presentato sul podio, senza risparmiare energie, con una gestualità apparentemente molto espressiva, efficace, precisa.

A dispetto delle apparenze, però, si è avuta l’impressione di un’orchestra non guidata, portata su obiettivi non precisi, con idee poco chiare e poco chiaramente espresse, con un risultato opaco ed incerto. Specialmente in Brahms è apparsa disorientata, senza una visione lucida dell’opera risolta con una sequenza ininterrotta di picchi di potenza, talvolta eccessivi, alternati a passaggi intimistici, senza riuscire ad esprimerne la grandiosa architettura.

Forse è mancato il tempo per un numero sufficiente di prove, forse sarà stata l’inesperienza del giovane direttore, fatto sta che le due Sinfonie, sulle quali si erano ovviamente create tante aspettative, sono apparse come sfocate e disordinate, scarsamente riconoscibili se confrontate con le grandi esecuzioni storiche. Peccato. Una bella occasione sprecata, e ora c’è da sperare che con Mozart, alla Scala, tutto vada per il meglio. E buone feste ai miei gentili lettori musicofili!

Paolo Viola

 



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