19 aprile 2022

LE ATTUALITÀ MILANESI

LETTERA DEL 27.04.2022


lettera arcip

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Care lettrici e cari lettori,

di seguito la Lettera da ArcipelagoMilano, per commentare con prontezza – i mercoledì nei quali ArcipelagoMilano non è online nella sua versione integrale – quel che accade nella nostra città. 

Buona lettura.

Luca Beltrami Gadola

Indice:

  • 25 aprile. Quella volta c’ero anch’io
  • I “boulevars” dell’assessore Maran
  • San Siro, il referendum che Sala non vuole 

 che impedirà di scaricare in atmosfera 210 mila tonnellate di CO2

  • La questione energetica.
  • “Operazione termostato”… finalmente

25 APRILE. QUELLA VOLTA C’ERO ANCH’IO – Parlo sempre malvolentieri della mia vita: sono cose mie. Tuttavia. Il 25 aprile del 1945 c’ero anche io, a Cogne in val d’Aosta. Avevo sette anni. E alle spalle i terribile inverno 44/45 con le sue nevicate. Nascosti sotto falso nome dopo la morte di mio padre partigiano in Val d’Ossola, la Battaglia di Megolo, poi medaglia d’oro della Resistenza: ironia della sorte ci chiamavamo Bossi. I tedeschi avevano da mesi bloccata la valle per ridurre la popolazione e i partigiani alla fame. Dunque fame. La moneta corrente era l’oro, per chi ne aveva ancora un po’ e il sale. Ne avevamo un poco portato su da mio nonno Gadola.

Verso le due del pomeriggio del 25 cominciarono a suonare le campane giù nel paese e io capii che era finita la guerra, lo si sentiva da qualche giorno nell’aria: presi una bandiera tricolore che avevamo nascosta in casa e andai incontro a mia madre che risaliva da Cogne verso casa, stavamo un po’ fuori, ci abbracciammo.

Tornati a Milano trovammo la casa dove ero nato senza i parquet, chi l’aveva occupata con quel legno si era scaldato.

Cominciarono gli anni belli della ricostruzione e bui per lo strisciante negazionismo del valori della Resistenza. A quattordici anni quando cominciai ad occuparmi di politica presi a detestare e disprezzare Togliatti, “il migliore”! Mi iscrissi a Unità Popolare e poi al PSI nella corrente di Riccardo Lombardi.

Per consolarci andavamo a celebrare il 25 aprile a Omegna: nei paesi della Repubblica dell’Ossola molte strade furono dedicate a mio padre “Via Filippo Maria Beltrami”. 

Degli anni successivi ricordo un 16 settembre del 1995, quando il Presidente Scalfaro venne a Omegna per la consegna della Medaglia d’Argento alla popolazione della Valle Strona per la sua partecipazione alla Resistenza. Parlò di riconciliazione e di perdono. Mi domandai allora perdonare chi? Certe cose non si perdonano mai. Riconciliarci con chi? Con chi aveva ucciso i nostri padri?

Da quel primo 25 aprile non ho perso nessuna celebrazione, vuoi a Milano vuoi a Omegna ma quella dell’altro ieri a Milano è stata la peggiore.

Vorrei solo ricordare ai ragazzi e ai meno ragazzi di oggi che se hanno potuto gridare quello che molti di loro hanno gridato senza venir impiccati agli alberi di un qualche viale lo devono a chi dal 43 al 45 è morto con le armi in pugno e a chi che anche prima di allora è stato assassinato, torturato, mandato al confine o nei campi di concentramento senza ritorno. Abbiamo un debito verso di loro.

Nel 2022 molti, troppi, si sono dimenticati che chi ha onore paga i debiti, anche solo tacendo. Quanti italiani direbbe Bruto “sono uomini d’onore”?

Luca Beltrami Gadola

I “BOULEVARS” DELL’ASSESSORE MARAN – Con un post su Facebook l’assessore Maran ci annuncia l’avvio del rimaneggiamento di Corso Sempione annunciando il primo “boulevard milanese”.

Forse è bene dargli qualche informazione perché Corso Sempione non sarà mai un boulevard.

Con questo nome si definisce non tanto un assetto urbanistico ma essenzialmente un fenomeno di tipo prevalentemente sociale.

I boulevard, che sono solo quelli parigini, rappresentano un luogo di socialità dedicato alla media e piccola borghesia parigina, fisicamente edificati sull’area liberata da una vecchia cinta muraria demolita e dal rinterro dei vecchi fossati adiacenti. 

Gli edifici che li costeggiarono furono quasi tutti coevi ed a fronte continuo e alla base degli stessi si allinearono ristoranti, teatri. i cosiddetti Theatres boulovardiers, piccoli teatri spesso di avanguardia e di loisirs  e negozi.

I boulevards spesso venivano chiusi al traffico veicolare per svolgervi manifestazioni popolari e cortei carnevaleschi, furono uno dei temi della pittura espressionista francese.

Boulervardiers furono anche chiamati i flâneur  che passeggiavano per i Boulevars.

Corso Sempione sarà mai così? Non lo sarà mai né per gli edifici che vi si affacciano (RAI, Guardia di Finanza ….), né per l’insufficiente larghezza dei marciapiedi e per la presenza di rotaie del tram. 

Sarà senz’altro meglio di adesso ma semplicemente un viale alberato, con la sia bella pista ciclabile in condominio con i runner (qualità dell’aria modesta) e resterà comunque una via di grande traffico veicolare verso il centro città.

Le parole, sopratutto quelle straniere, vanno usate per il loro significato storico, a meno che, seguendo la moda anglofona comunale milanese il nostro non si riferisca al significato inglese: “wide road in a city, usually with trees on each side or along the centre” (una strada larga in una città, di solito con alberi su ogni lato o lungo il centro).

Si sa mai!

LBG

SAN SIRO, IL REFERENDUM CHE SALA NON VUOLE

CHE IMPEDIRA’ DI SCARICARE IN ATMOSFERA  210 MILA TONNELLATE DI CO2

Nel trambusto che è scoppiato a Milano da quando Inter e Milan hanno minacciato di andare a costruire il loro nuovo stadio a Sesto San Giovanni, almeno un fatto certo si è avuto: è partito il referendum per impedire la distruzione del Meazza e la speculazione edilizia delle squadre.

Per quanto il sindaco Sala abbia dichiarato che le squadre hanno accettato di affrontare il dibattito pubblico, che lui sta facendo tutto il possibile per tenere lo stadio a Milano e i giornali scrivano tutto e il contrario di tutto, nel frattempo il Collegio dei Garanti ha convalidato le firme dei 1400 cittadini allegate al deposito dei due quesiti del referendum.

Il Comune ha ora a disposizione tre mesi per verificarne la proponibilità che si spera non ci riservi qualche brutta sorpresa visto che Sala è contrarissimo. Perché, a differenza del dibattito pubblico che esprimerà delle semplici raccomandazioni, i risultati del referendum saranno vincolanti per il Comune.

Dei due quesiti presentati, quello abrogativo annullerà la delibera che ha dichiarato il pubblico interesse del progetto presentato da Inter e Milan che prevede di abbattere lo stadio Meazza e costruirne uno nuovo, attorno al quale realizzare una grande speculazione immobiliare.

Il quesito propositivo imporrà al Comune di non autorizzare la costruzione di un nuovo stadio e la demolizione del Meazza facendo invece un concorso internazionale per la sua riqualificazione, insieme a un piano urbanistico di rigenerazione dell’intero quartiere, zero consumo di suolo e nel rispetto della sostenibilità ambientale.

Sulla sostenibilità ambientale dell’operazione San Siro Paolo Pileri, professore di urbanistica del Politecnico di Milano, intervenuto all’ultima Commissione consiliare congiunta convocata da Enrico Fredrighini, ha calcolato per difetto l’impatto della demolizione del Meazza e della costruzione di un nuovo stadio considerando i 150 mila metri cubi complessivi di cemento armato, senza tener conto dell’acciaio, degli impianti e degli arredi.

Per farsi un’idea degli affetti devastanti delle 210 mila tonnellate di CO2, pari al 5% di quelle scaricate in atmosfera da tutta la città, va detto che si perderebbe in un solo colpo quanto guadagnato dal 2005 al 2015 in termini di emissioni e si azzererebbero gli effetti positivi del già carente Piano Aria Clima del Comune. 

Mentre i tanto reclamizzati 11 ettari di alberi del progetto del nuovo stadio “andrebbero a compensare solo un irrisorio 5% delle emissioni del cemento armato dell’operazione San Siro”, mentre la compensazione di tre quarti dei tre milioni di alberi del programma Forestami si annullerebbe totalmente.

La qualità dell’ambiente sarà ancora più a lungo compromessa perché mentre gli effetti dell’operazione San Siro si manifesteranno nell’arco di tempo della sua realizzazione, la compensazione derivante dagli alberi ne richiederà almeno 80, di anni. 

E’ ormai chiaro che l’unico criterio per decidere se fare o non fare gli interventi, sia pubblici che privati, non può che essere di confrontare l’impatto ambientale che si genera con le compensazioni che si possono mettere in atto.

Anche nel caso di San Siro affrontare la questione scientificamente è il modo più corretto per assumere, sia nell’interesse di chi c’è oggi sia di chi ci sarà domani, le decisioni riguardanti la transizione ecologica. 

Purché non scoppi prima una guerra nucleare che ci libererà da ogni problema.

Emilio Battisti

Qua l’intervento con cui mi sono rivolto all’assessore Tancredi al convegno Luci su San Siro organizzato dall’Ordine degli Architetti di Milano il 13 aprile.

Qua la replica dell’assessore e tutti gli altri interventi.

LA QUESTIONE ENERGETICA – Su questo argomento convengo in parte con il commento di Luigi Calabrone in calce al mio articolo sulla questione energetica, anch’io non sono certo contento dei nostri governanti a partire da Milano.

Mi chiedo e Le chiedo se questo significhi la paralisi dello sviluppo in qualsiasi direzione si voglia andare. Il teorema proposto stabilisce che un Governo di un paese dovrebbe essere capace di garantire sicurezza e sviluppo eco-sostenibile ma anche di pensare alle strategie di sostenibilità economica. 

Ha ragione sulle incapacità e spesso l’impreparazione dei nostri governanti, ma ciò mi autorizza a dire che non sono le centrali nucleari a non dover essere costruite, se mai dovremmo costruirle bene e ancora meglio esercirle, dunque dovremmo cambiare il sistema di governo del Paese innescando un meccanismo di valutazione differente da quello odierno rispetto al voto, alle scelte di chi dovrà sedersi nel Parlamento e decidere per noi. 

Ho l’impressione che ci sia anche un eccessivo scetticismo rispetto alle potenzialità italiche su questo argomento, sulle quali mi sentirei autorizzato a dire che dovremmo liberarci da questa sfiducia tecnica, del tutto infondata, visto che in Italia non abbiamo mai avuto un incidente nelle nostre centrali di prima generazione e che oggi partecipiamo pienamente a progetti europei sull’atomo (a partire dal progetto Iter e al CERN). 

Aggiungerei che non abbiamo mai smesso di lavorare nel settore nucleare all’estero anche come Enel oltre ai Centri di Ricerca e Sviluppo sia universitari che governativi. L’abbiamo fatto in silenzio, senza enfasi anche nel rispetto delle volontà e delle sensibilità degli Italiani che su questo argomento sono fin troppo sensibili. Capisco le sue preoccupazioni, tuttavia preferisco pensare a generazioni a venire in grado di decidere del proprio futuro senza dipendere da altri e questo nei prossimi 50/80 anni, è possibile solo se produciamo energia in modo autonomo. 

Rispetto al fatto delle densità e degli spazi geografici in cui poter costruire centrali nucleari, lo studio individua le pianure del nord in Continente e le isole maggiori. Parla della Francia e dei suoi spazi, sa quante centrali nucleari ha 56, delle quali 18 in funzione. Impossibile dunque non avere vicinanze con aree abitate. A noi ne basterebbero 4/5 per coprire quel 15/20% d’energia che ci manca e per costruirle lontano da concentrazioni d’abitato, non credo avremmo problemi, anche solo costruendole dove sono le attuali. Sugli spazi tecnici poi, anche volendo pensare al fotovoltaico o l’eolico, dovremmo riflettere sui territori agricoli da dover ridurre. 

Anche le stesse centrali idroelettriche necessitano di spazi per le condotte e per i manufatti di stoccaggio dell’acqua (dighe, invasi, barriere, opere di presa, canali di contenimento, ecc.). Sull’eolico mi viene da dire che l’off-shore potrebbe svilupparsi in modo da abbattere i costi di realizzazione, tuttavia è osteggiato da ambientalisti e cittadini che si vedrebbero limitare la visuale di relax. Una visione umanistica su aspetti tecnici ci sta, dunque basterebbe riflettere ma senza pregiudizi e forse con una maggiore fiducia in questo settore che infondo ci fa pensare al sole, un enorme centrale termo nucleare.

Gianluca Gennai

“OPERAZIONE TERMOSTATO”… FINALMENTE  – Dal primo maggio, come noto, al via l’«operazione termostato»: fino al 31 dicembre 2023 (e speriamo anche oltre), non si potrà regolare la temperatura al di sopra dei 21 gradi (19 + 2 di tolleranza) d’inverno e al di sotto dei 25 gradi (27 – 2 di tolleranza) d’estate. Ottima iniziativa, nulla da dire. Anzi si, una cosa ci sarebbe: non potevamo pensarci prima? Dovevamo arrivare a una situazione di emergenza per fare qualcosa?  

La “questione ecologica” di cui tanto si parla da anni, esplosa poi nel 2018 con Greta Thunberg – e tutti lì a chiedersi cosa si poteva fare per migliorare gli sprechi – non era sufficiente? Credo sia la prova che, per quanto si parli di sostenibilità, nei fatti le cose più banali vengano trascurate, che nonostante tutti i discorsi, l’idea di evitare gli sprechi inutili non si sia ancora radicato nella mentalità collettiva, non sia ancora cosa spontanea, come dovrebbe invece essere. Se ad esempio vado in un’aula Universitaria quando fuori ci sono 35 gradi (l’esempio non è casuale, negli ultimi anni in almeno tre diverse Istituzioni di Milano mi è capitato) e mi devo portare un maglione, magari pure in lana, per non soffrire e non prendermi un’influenza, qualcosa non va bene. 

Le soglie stabilite dalla legge per altro non sono nemmeno così restrittive, rientrano nell’ambito del buon senso. Chi aveva il dono di questa qualità, privato cittadino o responsabile di spazi pubblici, credo che già prima rispettasse questi limiti, senza bisogno di una norma ad hoc. 

Allora, riflettiamoci: quante altre cose di buon senso e senza grandi sforzi possiamo fare nella vita di tutti i giorni per ridurre gli sprechi senza arrivare ad agire quando sarà urgente e necessario?

FV



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  1. DoraRicevo e leggo da oltre un anno la vostra lettera che mi consola dalla indifferenza che vedo esercitata intorno a me dai nostri concittadini. Non sono architetta, ma capisco e leggo con avidità le lettere di Gadola: quella di oggi esprime per me tutto il dolore per la deriva scandalosa che le manifestazioni del 25 aprile hanno ormai mostrato da anni. Grazie per la lucidità dei commenti e per la ricostruzione della nostra memoria storica.
    27 aprile 2022 • 16:40Rispondi
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