10 gennaio 2023

LETTERA DI UN CARCERATO

Un messaggio dopo 40 anni di prigione


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Ricevo da info@parallelopalestina.it la lettera che il prigioniero Karim Younes, dopo avere trascorso 40 anni in prigionia, ha scritto dalla sua prigione poche ore prima del suo rilascio. Karim Yunis fu arrestato il 6 gennaio 1983. Condannato a morte, la sua pena fu commutata in ergastolo, per la durata di 40 anni. E’ previsto che sia rilasciato il 5 gennaio 2023. Karim Y0unes fu arrestato, il 6 gennaio 1983. Condannato a morte la sua pena fu commutata in ergastolo per la durata di quarant’anni. Il suo rilascio era previsto per il 5 gennaio 2023. Trasmetto la lettera, nel testo inviato dall’avvocato Ghaid Qassem, al termine della sua visita al prigioniero, domenica sera 1° gennaio 2023, traduzione di Fares e Grasso.

“Ecco che sto per lasciare la mia cella oscura, nella quale ho imparato a non aver paura del buio, e nella quale ho imparato a non sentirmi alienato o solo, perché tra i miei fratelli, la fratellanza della costrizione e della sofferenza, la fratellanza dell’essere uniti da un giuramento e da un patto.   

Esco dalla mia cella, e ho sempre desiderato uscirne, strappandomi la libertà, accompagnato dai fratelli di cammino, e dai compagni di lotta, immaginando un’accoglienza che esprima vittoria e grande conquista, ma mi ritrovo a non volerlo. Cercando di evitare il dolore della separazione, e la sofferenza dei momenti di addio ai fratelli, ho pensato di completare la mia vita con loro, e sono decisamente coerente. La mia vita è come le montagne e ogni volta che sento avvicinarsi l’ora dell’uscita, mi sento deluso e impotente, soprattutto quando guardo negli occhi alcuni di loro, dentro da più di trent’anni.

Lascerò la mia cella e me ne andrò, ma la mia anima rimarrà con coloro che si aggrappano alle braci, che mantengono la fiamma della lotta palestinese integra, con coloro che non hanno e non saranno spezzati, ma gli anni della loro vita scivolano davanti a loro e dietro di loro, e ancora aspirano a vedere il sole della libertà come il resto della loro vita, prima che il loro desiderio di vivere diventi vacillante e in declino. 

Lascerò la mia cella, e i pensieri improvvisamente si affollano, danzano sulla soglia della mia mente e confondono la mia mente, quindi mi chiedo insolitamente perplesso per quanto tempo un prigioniero può portare il suo cadavere sulla schiena e continuare la sua vita mentre la morte gli cammina a fianco, e come questa sofferenza e questa morte lenta rimangano il suo destino per un periodo infinito, in un futuro sconosciuto, su un orizzonte bloccato. La speranza perduta e l’ansia aumentano da ciò che vediamo in termini di compiacenza e indifferenza, di fronte all’oppressione delle bande che possiedono uno stato, diventato brutale, ed approfittano del fallimento del mondo, incombendo su un popolo indifeso, la cui vita viene divorata ogni giorno senza che si renda conto che le sue ferite potrebbero non guarire, mentre tramonta la speranza di una vita tranquilla e stabile: eppure rimane solo il guizzo di un fiammifero ed è in grado di continuare. 

Lascerò la mia cella, consapevole che la nostra nave è colpita da onde internazionali, da tutte le parti, tempeste regionali da est e da ovest, terremoti locali e vulcani aggressivi che stanno per inghiottirla, mentre si allontana dalla riva. Il suo capitano cercò di ancorarsi più di un quarto di secolo fa.

Lascerò la mia cella, sottolineando che eravamo e siamo tuttora orgogliosi del nostro popolo, ovunque si trovi in patria e nella diaspora, che ha abbracciato noi e la nostra causa in tutti questi anni, rimanendoci fedele, sempre rinnovando la speranza e la ferma certezza nella giustizia della nostra causa, la sincerità della nostra appartenenza, la fattibilità e l’essenza della nostra lotta.

Lascerò la mia cella, levando il cappello per una generazione che senza dubbio non è come la mia generazione, una generazione di giovani uomini e donne attivisti che hanno preso il comando della scena negli ultimi anni, una generazione che chiaramente è più forte, più audace, più coraggiosa e più meritevole di portare la bandiera. E che è desiderosa di attuare i disegni del nostro popolo disperso e senza casa, perseguendo il suo diritto al ritorno e all’autodeterminazione, così benedetta, è questa generazione nascente, nonostante le condizioni pressanti.

Lascerò la mia cella, fra pochi giorni, e il terrore mi assale all’avvicinarsi di un mondo diverso dal mio, ed ecco che si avvicina il momento in cui devo da solo attraversare le mie vecchie ferite, e i miei vecchi ricordi, un momento in cui posso sorridere alla mia vecchia immagine, senza provare rimorso o senso di abbandono. Senza dover dimostrare l’ovvio che ho vissuto per quarant’anni, per trovare una mia nuova immagine, per tornare a cantare con la mia gente ovunque l’inno del mio paese, l’inno dei fedayn…l’inno del ritorno e della liberazione.”.

A questa lettera io non sono in grado di aggiungere miei pensieri, miei sentimenti, mie considerazioni, altri dati. Io sento il bisogno di inginocchiarmi.

Franca Caffa

 



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  1. MustaphaIn Palestina la situazione si aggrava ogni giorno di più, mentre sono poche le voci che si levano nel mondo a sostegno della lotta dei Palestinesi. Nelle città palestinesi le lotte non si arrestano mai, a Gerusalemme, a Nables, a Jenin…e nelle carceri di Israele sono rinchiusi i prigionieri politici. Karim Younes il 5 gennaio scorso è stato scarcerato dopo 40 anni di prigionia, ma sono tantissimi i suoi compagni che continuano a soffrire imprigionati e continueranno a soffrire. Non dimentichiamo Georges Abdallah, il prigioniero palestinese incarcerato in Francia, che sta scontando l'ergastolo, la prigionia più lunga che si conosca in Europa Mustapha Ouelli
    13 gennaio 2023 • 20:46Rispondi
  2. Loris Vittorio Ugo PanzeriInginocchiandomi di fronte ad una testimonianza umana così potente, personale ed allo stesso tempo UNIVERSALE, di dolore, ricordo, speranza e fratellanza, mi vengono alla mente concetti che ho sentito raccontare da amici Ebrei, in relazione alla SHOAH. Ho sentito per esempio questa dichiarazione pronunciata dal Consigliere Comunale Daniele Nahum ad un incontro con giovani ROM. " Shoah è lo sterminio degli Ebrei ed è un " UNICUM " nella storia dell'Umanità." I ragazzi replicarono :"Forse che i nostri morti nei campi di concentramento Nazisti sono morti di seconda categoria?". La MEMORIA, concetto fondamentale per la mente umana. Memoria di tutti, delle efferatezze, genocidi, massacri etnici, religiosi, universali e personalissimi,. Basta un solo innocente immolato, anche nel silenzio, anche fuori dai grandi movimenti storici a screditare per sempre il genere umano. " Sempre", come concetto ontologico e non temporale, poiché per la mente umana vi è anche il perdono e il diritto all'oblio. Oblio e perdono sono percorsi da farsi insieme, dolorosi, faticosi alla ricerca della giustizia, che non ripara per niente ma che immette nella mente speranza in una fratellanza ritrovata e ricostruita. Memoria, oblio, ma anche critica attiva del presente. Fratelli Ebrei, dovreste insegnarci, dall'alto del vostro sentirvi " Unicum " come convivere con gli altri, come convivere pacificamente con i Palestinesi. L'Ex Prigioniero Karim Yuris, con la sua lettera, seppellisce il senso del vostro presente, annebbiando l'Oblio e la Memoria.
    14 gennaio 2023 • 19:22Rispondi
  3. Targetti UgoL’articolo di Franca Caffa non riporta i dati salienti della vicenda. Karim Younes, cittadino arabo israeliano, è stato condannato insieme a suo cugino Maher Younes, a quarant’anni di reclusione per aver rapito e ucciso nel 1980, Avraham Bromberg un giovane soldato israeliano di venti anni. Bromberg era in licenza e stava facendo l’autostop per tornare a casa; l’hanno caricato in automobile, gli hanno sparato in testa e gettato in un fosso. Lo hanno ucciso dunque non in uno scontro armato, ma in un’azione terroristica. L’ergastolo, o una lunga pena detentiva, sarebbe stato comminata ai cugini Younes in qualsiasi paese civile. Non è un caso di discriminazione verso la popolazione palestinese. Karim Younes oggi è libero. Avraham Bromberg è morto. Anche lui andrebbe ricordato. Anche lui combatteva per una causa: il diritto di Israele di esistere e di difendersi, diritto sancito dall’ONU. Onorare chi ha compiuto atti terroristici, come sta facendo anche l’Autorità Palestinese, ostacola la prospettiva di convivenza tra i due popoli e di reciproco riconoscimento che si deve concretizzare nella formula “due popoli, due stati”.
    17 gennaio 2023 • 17:24Rispondi
  4. Paola CanaruttoGiusto. Sarebbe meglio se tutti rispettassimo i Dieci Comandamenti. Prima però di predicare a proposito di un 'Non uccidere' non rispettato, vorrei che mi si spiegasse a che pena furono condannati gli autori del massacro di Deir Yassin, villaggio palestinese che aveva stretto un patto con un insediamento ebraico vicino, Givat Shaul. A uccidere un centinaio di uomini, donne e bambini furono l'Irgun e il Lehi; la notizia del massacro favorì l'esodo palestinese. Due uomini che all'epoca erano stati dirigenti di queste emerite organizzazioni, Begin e Shamir, divennero primi ministri di Israele. Come condanna israeliana di criminali, che dire?
    22 gennaio 2023 • 17:12Rispondi
  5. Targetti UgoIl massacro di Deir Yassin, avvenuto nel 1948, è un episodio esecrabile della guerra iniziata comunque dagli arabi contro gli insediamenti ebraici prima ancora che fosse proclamato lo stato di Israele. Il massacro di civili fu perpetrato dall’Irgun di Begin, esponente della destra israeliana, nell’ambito di un’azione militare finalizzata a liberare Gerusalemme dall’assedio. La questione però non è giudicare torti e ragioni di tutti gli episodi del lungo conflitto Arabo Israeliano; potremmo allora parlare degli attentati palestinesi contro civili inermi, come il massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, l’attentato all’aeroporto di Fiumicino del 1973 e ancora a Fiumicino e Vienna nel 1985, così come di molti altri episodi di violenza da entrambe le parti. Se la popolazione palestinese è sicuramente la parte soccombente del conflitto non si può però mettere in discussione l’esistenza e la sicurezza dello stato di Israele. Lo statuto di Hamas, organizzazione islamista di estrema destra che governa la striscia di Gaza con il voto dei palestinesi, non riconosce il diritto di Israele di esistere. La questione politica dunque, qui e oggi, è se la sinistra intende contribuire a risolvere il conflitto o vuole alimentarlo. Glorificare l’azione terroristica di Karim Younes come fa l’Autorità Palestinese (ma anche l’articolo di Franca Caffa) alimenta il consenso alla destra israeliana che infatti ha vinto le elezioni proponendo una soluzione repressiva del conflitto.
    25 gennaio 2023 • 15:34Rispondi
    • Andrea VitaliIl problema nasce con il sionismo: un popolo senza terra, una terra senza popolo. E invece non era vero, quella terra un popolo lo aveva, erano i palestinesi, che sono stati esiliati, emarginati, massacrati, tutto per i sensi di colpa dell'Europa per quello che aveva fatto agli ebrei. Ma i palestinesi che c'entravano? Non sono solo parti soccombenti, sono vittime predestinate in una logica vetero colonialista che ha portato alla formazione dello stato di Israele. Da questo viene il terrorismo, non da altro. E lo stesso Andreotti doveva: se fossi palestinese, sarei terrorista. Perché se a un popolo non dai alternative...
      27 gennaio 2023 • 14:00
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