16 settembre 2021

IL “ROMANZO” DI GIUSEPPINA MANIN

Un "libro" da non perdere


 

viola

“Complice la notte” – il nuovo libro di Giuseppina Manin edito da Guanda – non è un romanzo, né una biografia, neppure un libro di storia e tantomeno un saggio di musica classica, ma tutto questo insieme e ancora di più: una riflessione e un’indagine su un’epoca – la Russia di Stalin – che conosciamo poco, sia perché da quel mondo trapelavano solo le notizie autorizzate dal regime, sia perché comunque la divulgazione delle notizie è stata distorta dalla ideologia e dalla politica. Ma questo libro, oltre ad aprire squarci interessantissimi su quel mondo, rivela un talento dell’autrice totalmente altro rispetto a quello che le abbiamo sempre riconosciuto e che in lei abbiamo sempre ammirato.

Dell’autrice sapevamo con certezza tre cose: è quella bravissima giornalista che sulle pagine del Corriere della Sera da anni anticipa, illustra e spiega gli “spettacoli” – soprattutto milanesi, con predilezione verso concerti di musica classica ed opere liriche, comunque di cultura “alta” – e quella magnifica scrittrice che ha pubblicato libri su e con Dario Fo e Claudio Abbado, due geni dei quali è stata appassionata ed originale biografa. Ed è la stessa signora che, con altre note signore della vita musicale milanese, ha fondato l’associazione non profit “Diamo il La” per diffondere la conoscenza della musica nelle scuole, ai bambini più piccoli. Si poteva facilmente immaginare che di musica se ne intendesse, se non altro per i tanti concerti ed opere che Giuseppina ha assiduamente ascoltato, prima e dopo averne intervistato gli interpreti, ma che la conoscesse così a fondo da scriverne con tanta competenza non era affatto scontato.

Il libro è stato presentato qualche sera fa al MA.MU. da Francesco Maria Colombo, musicologo e direttore d’orchestra ben noto ai musicofili milanesi, che ne ha riassunto il contenuto, ne ha indagato l’intricata vicenda e soprattutto ha interrogato l’autrice sulla genesi della sua curiosa ricerca. Senza svelare nulla del libro, benché molti lo conoscano già essendo uscito nell’aprile scorso, diciamo solo che racconta la storia – totalmente vera – della grande e celebre pianista sovietica Marija Veniaminovna Judina (molti musicisti suoi connazionali l’hanno definita “la più grande pianista del 900”) nata nel 1899 in una cittadina della Russia occidentale da una abbiente famiglia ebrea e morta povera e sola nel 1970 a Mosca (nel cinquantesimo della morte Gianantonio Stella ne ha fatto un bel ritratto sul Corriere, ma già nel 1988 era uscita una sua biografia curata da Giovanna Parravicini) dopo una vita totalmente dedita al pianoforte, ai poveri, ai gatti randagi e alla religione ortodossa cui si era convertita da giovane. Sola per carattere e per vocazione, perché in realtà ha avuto per amici e ammiratori i più grandi musicisti russi del novecento (da Šostakóvič a Rostropovič, da Prokof’ev a Stravinskij, per citarne alcuni), ma non solo musicisti (per esempio Pasternak) e non solo russi (ebbe intensi rapporti epistolari perfino con Luigi Nono!).

Fin qui non ci sarebbe ancora nulla di eccezionale nella sua storia se non fosse che una sera del 1944 Josif Stalin – proprio lui – piange di commozione, complice la notte, ascoltando la registrazione del Concerto per pianoforte e orchestra numero 23 in la maggiore K. 488 di Mozart eseguito dalla Judina; poi, inopinatamente, le invia una breve lettera di ammirazione e di ringraziamento accompagnata da un mazzo di fiori e da un bel gruzzoletto di rubli! Un episodio, come si può immaginare, che ha avuto – dopo la coraggiosa, irriverente e generosa risposta di lei – una serie di implicazioni sul suo rapporto con il tiranno e, più in generale, di una intellettuale – per giunta donna ed ebrea – con il potere politico negli anni cupi del terrore staliniano.

In una breve nota in appendice al volume, Giuseppina Manin racconta le origini e le motivazioni del suo interessamento alla pianista russa e le peripezie cui è andata incontro per raccogliere notizie intorno a quella specialissima personalità e a quella inimmaginabile vita. Ma anche per penetrare il mistero della commozione di Stalin e seguirne le mosse fino al 5 marzo del 1953, giorno in cui il tiranno muore – nello stesso momento in cui muore Sergej Prokof’ev, sua celebre vittima (straziante l’accostamento fra i due funerali…) – riascoltando per l’ennesima volta l’Adagio di quel fatidico Concerto di Mozart.

Questi pochi cenni credo la dicano lunga sull’interesse incrociato fra giornalismo e letteratura, fra letteratura di indagine e storia degli anni più ricchi della musica russa e dei suoi protagonisti, fra il senso – dapprima eroico e poi tragico – della rivoluzione comunista e la descrizione di un carattere femminile fortemente rivoluzionario ma molto sui generis (non solo in senso politico, anche etico, sociale, religioso, culturale, specificamente musicale). Un libro che si legge tutto di un fiato, che ci costringe a ripensare molte cose e a raddrizzare qualche idea sulla musica (di Mozart ma anche di Bach, altro importante protagonista della storia di Marija che a piedi scalzi, come una mistica pellegrina, ne visita la tomba) e sul rapporto autore-interprete-ascoltatore di cui abbiamo parlato una settimana fa, sulla storia e la sua lettura critica, sul rapporto fra potere e cultura. Insomma, un pozzo senza fondo di scoperte e di emozioni.

 



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