23 settembre 2021

SCHUBERT E MAHLER A CONFRONTO

Un sottile ardimento


Viola 1

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Doveva arrivare da Roma il concerto che per primo, dopo tanta astinenza e sofferenza, ci ha fatto ritrovare la gioia dell’ascolto dal vivo. È arrivato con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, approdata alla Scala martedì della scorsa settimana per uno dei “concerti straordinari” di questo autunno 2021. Diretta da Daniele Gatti, ha eseguito la terza Sinfonia in re maggiore D.200 di Franz Schubert e la quarta Sinfonia in sol maggiore “Das himmlische Leben” di Gustav Mahler.

Intanto il programma. Nessuna delle due sinfonie è un capolavoro riconosciuto come tale; sono opere piuttosto trascurate (soprattutto quella di Schubert) nonostante la loro sostanziale godibilità e freschezza. Averle accostate in un concerto è un sottile ardimento, è il confronto fra due opere enormemente diverse che però guardano entrambe all’infanzia e alla giovinezza, con un umore decisamente positivo e un ottimismo di fondo che non è sempre presente nelle altre produzioni dei loro autori, anzi.

Le due sinfonie sono state scritte a 85 anni distanza l’una dall’altra (la terza di Schubert è del 1815, la quarta di Mahler del 1900), appartengono a mondi molto lontani uno dall’altro – ancora settecentesca e preromantica la sinfonia del diciottenne Franz, già postromantica e ormai novecentesca quella del quarantenne Gustav – eppure hanno alcuni aspetti, anche strutturali, che le apparentano e le fanno dialogare fra loro. Giacomo Manzoni, a proposito della 4a di Mahler, osserva che “è l’unica sua composizione che rende omaggio allo spirito della musica del settecento” e che “il tema principale del primo tempo sembra ricalcato direttamente da una linea melodica mozartiana”. Mentre della 3a di Schubert scrive che “è da notare una certa intonazione viennese nel conio delle melodie” ed anche che “è ricca di una grazia fluente e comunicativa”. Sembra di poter dire che il mood delle due sinfonie sia quasi lo stesso!

C’è di più. Mahler intitola la sua Sinfonia “La vita celeste” – il nome di un Lied del ciclo “Des Knaben Wunderhorn”, ovvero “Il corno magico del fanciullo” – e nell’ultimo tempo introduce la voce del soprano per farle cantare quel testo dedicato al paradiso dei bambini, mentre Gatti interpreta tutta l’opera come una festa infantile, senza quelle malinconie e quelle oscurità che dominano le altre sinfonie mahleriane. Il terzo tempo, Ruhevoll (poco adagio), ha delle sonorità quasi celestiali che ricordano la rarefatta essenzialità dell’Arietta dell’opera 111 di Beethoven. In Schubert vi è qualcosa di analogo, basta pensare alla freschezza e alla vivacità del primo tempo, o alla giocosità e all’umorismo del finale (con l’andamento di una tarantella!); ma tutti i temi della Sinfonia, semplici e solari, ci parlano della serenità del diciottenne ancora immune da quelle amarezze che – sia pur lievemente – traspariranno nelle opere degli anni successivi (molto pochi, avendone vissuti solo altri tredici!).

Fin qui il programma, ma veniamo all’esecuzione. L’orchestra romana è da qualche anno ormai l’unica compagine in Italia che si confronta con l’orchestra della Scala nelle sue due versioni, ed è sicuramente poco elegante fare paragoni. Nessuna delle due può peraltro paragonarsi ai Berliner e nemmeno ai Wiener, ma si tratta pur sempre di due orchestre importanti. Talvolta sembra prevalere l’una, talvolta l’altra. Dipende ovviamente molto da chi le dirige e qui entra in gioco Daniele Gatti, direttore profondamente milanese, che l’altra sera ha come messo insieme le due culture ottenendo risultati veramente preziosi. Nell’interpretare Mahler ci ha ricordato la lezione di Abbado e possiamo dire che l’abbia portata – come è giusto che sia – a traguardi ancor più avanzati. Grazie alla sua guida, la cantabilità dei temi unita alla profondità dell’analisi armonica, e anche la limpidezza del suono orchestrale frutto di una perfetta scansione delle singole voci degli strumenti, hanno costruito una sorprendente capacità di introspezione e permesso una magica immersione nel magmatico mondo mahleriano, basato come si sa sull’evoluzione continua della trama musicale anziché sulla classica articolazione per parti successive.

Il concerto si è concluso con un coup-de-theatre fantastico quando, nell’ultimo movimento della sinfonia di Mahler, si è palesata all’improvviso ed inaspettatamente, fra i contrabbassi e i violoncelli, una figura alta e sottile, fasciata come una sirena o una dea da una seconda pelle luccicante d’oro: era la bravissima israeliana Chen Reiss, che si era evidentemente tenuta ben nascosta fra gli strumenti dell’orchestra, e che si è subito manifestata come il soprano che in perfetto tedesco decantava le meraviglie del paradiso dei bambini (“…la nostra è una vita d’angeli e siamo tutti felici, danziamo e saltiamo, balziamo e cantiamo…”). La collocazione “dentro l’orchestra” della Reiss, resa più alta da una pedana, ha fatto sì che lei e il direttore si trovassero quasi di fronte e sembrassero dialogare rivolgendosi l’uno all’altro. Una trovata molto pertinente e suggestiva, che ha contribuito non poco a spiegare il senso di questa sinfonia non a caso titolata dall’autore “Das himmlische Leben”.

Ottimo concerto, finalmente, ed ottima accoglienza – ovviamente non scontata – dei musicisti romani da parte del pubblico milanese, con lunghi applausi cui si è aggiunto il rumoroso tambureggiamento dei musicisti in onore del loro/nostro direttore.

Paolo Viola

 



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