16 settembre 2021

LA SETTIMANA ENIGMISTICA E IL FUTURO DELL’INFORMAZIONE

Un duello nel mondo della carta stampata


marossi

Francesco Scozzese Ciccotti da Palazzo San Gervasio pur essendo stato direttore di giornale dal Friuli all’Umbria, da Roma alla Romagna, parlamentare socialista e sostenitore di Nitti, importante dirigente dell’emigrazione politica antifascista ha un peso nella storia d’Italia per due vicende apparentemente minori che lo videro protagonista.

La prima quando nell’ottobre 1921 ebbe un attacco di cuore ma in uno dei momenti più inopportuni quando cioè era al quattordicesimo assalto del duello con Benito Mussolini un tempo suo amico e collega, il che comportò la sospensione del duello iniziato a Milano proseguito a Piacenza e conclusosi nel livornese (la polizia li rincorreva per sospenderlo) che senza crisi respiratoria e iniezioni di olio canforato chissà come sarebbe finito.

La seconda quando da direttore del quotidiano il Paese (che diverrà anni dopo Paese Sera) nell’ottobre 1922 si lamentò pubblicamente perché venditori e distributori del suo quotidiano venivano continuamente aggrediti senza che le autorità prefettizie prendessero provvedimenti.

Ben prima infatti che il fascismo arrivasse a controllare la stampa con divieti, norme e censure Mussolini, da esperto giornalista, aveva attuato un modo più semplice (oltre a quello di assaltare le redazioni) per impedire la diffusione della stampa di opposizione: faceva bastonare i distributori locali i quali rapidamente interruppero la distribuzione, in primis de l’Avanti!

Come risultato delle sue proteste ottenne la revoca della cittadinanza italiana, il sequestro dei beni e visse in esilio fino alla morte.

Quando nel dopoguerra con la legge dell’8 febbraio 1948 n. 47 la repubblica normò l’informazione cartacea, memore di Ciccotti, uno dei primi provvedimenti presi fu quello di tutelare la distribuzione, tant’è che l’articolo 20 recita: “Chiunque asporta, distrugge o deteriora stampati per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge, allo scopo di impedirne la vendita, distribuzione o diffusione, è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Con la stessa pena è punito chiunque con violenza o minaccia impedisce la stampa, pubblicazione o diffusione dei periodici, per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge.”

Dal 1947 la tutela della distribuzione/diffusione è una costante degli interventi legislativi, sempre ribadita ad esempio nell’art. 16 della legge 416/81 “che sancisce il dovere in capo alle imprese di distribuzione di garantire, a parità di condizioni rispetto ai punti di vendita serviti e al numero di copie distribuite, il servizio di distribuzione a tutte le testate giornalistiche che ne facciano richiesta. La normativa prevede, inoltre, che i punti di vendita esclusivi sono tenuti a porre in vendita tutti i prodotti editoriali che ne fanno richiesta assicurando nella vendita parità di trattamento alle diverse testate”.

Le normative pensate quando la Radio era un bene di lusso, la TV non esisteva e il web stava forse nei libri di Verne sono ancora in vigore, peccato che nel frattempo i quotidiani di carta stampata abbiano perso, solo nell’ultimo anno, il 20% dei venduti e che Il Corriere della Sera, la prima testata italiana, diffonde in media circa 260.000 copie al giorno, tra versione cartacea e digitale quando negli anni ottanta viaggiava oltre le 600.000 copie.

L’ultimo accordo  tra distributori e rivenditori di prodotti editoriali, ha stabilito che “le imprese di distribuzione garantiscono a tutti i rivenditori l’accesso alle forniture a parità di condizioni economiche e commerciali e che la fornitura non può essere condizionata a servizi, costi o prestazioni aggiuntivi a carico del rivenditore” e altresì, “che le imprese di distribuzione assicurano ai punti vendita forniture di quotidiani e periodici adeguate”; in pratica chiunque pubblichi qualche cosa (in anni lontani fu la fortuna delle riviste porno) ha diritto a essere distribuito in edicola senza limiti e condizioni che non siano quelli del buon senso.

Il problema è che il buonsenso non sembra essere molto diffuso stante che le testate teoricamente in vendita sono oltre 3.600 e che il contratto in essere è quello estimatorio.

Il risultato di queste norme, che sono esemplari dal punto di vista della libertà d’informazione ma che sono ancorate ad un passato lontano (senza alcuna colpa per Ciccotti che mori in Argentina nel 1937) è il seguente: secondo Fenagi (l’associazione di giornalai e edicolanti Confesercenti) tra il 2011 ed il 2019, la rete della rivendita di quotidiani e riviste ha perso 4.102 attività, circa un quarto, il 22%, del totale delle imprese, passando da 18.447 a 14.345. Le edicole vere e proprie, cioè i tradizionali chioschi specializzati solo nella vendita di giornali e periodici e non riconvertiti ad altri prodotti o attività, sono ormai solo circa 5mila in tutta Italia,  “I giornalai in particolare – spiega il responsabile Fenagi – chiudono l’attività nei quartieri più periferici delle città dove non ha senso neanche la trasformazione dei chioschi in piccoli empori che vendono cineserie, magliette, souvenir, come avviene nelle zone centrali di Roma, Napoli, Torino, Milano, Firenze”.

Mentre secondo lo SNAG (Sindacato autonomo giornalai) nel primo semestre del 2020 a livello nazionale hanno chiuso 1.410 edicole che salgono a 2.027 se si includono anche i punti non esclusivi e la previsione è di perderne un altro migliaio entro l’anno.

Secondo lo Usiagi-UGL “a Roma hanno chiuso più di 350 edicole”.

Secondo la rivista Wired Negli ultimi 15 anni, le edicole italiane sono passate da 42 mila a 26 mila. In medianel 2019, hanno chiuso 4 edicole al giorno e 6 edicole italiane su 10 realizzano utili inferiori ai 10mila euro annui.

Numeri non diversi (ma non eguali perché è difficile anche intendersi sul significato di rivenditore stampa) li dà il Corriere: “Negli ultimi quindici anni, hanno chiuso più di 11mila edicole su 37mila. I chioschi, in particolare, sono diminuiti del 61 per cento. Oggi ne restano 7.200 e gli effetti della crisi pandemica non sono ancora finiti. Chi è rimasto aperto, per compensare il drastico calo di vendite dei giornali, cerca alternative.”

Navigando in rete troviamo Diego Averna della Cisl che racconta: “Chi decideva di smettere vendeva l’edicola e ci faceva una discreta somma. Era una specie di liquidazione. Le quotazioni erano di tutto rispetto: si arrivava anche a duecento, trecentomila euro. Oggi, e anche a Milano le edicole non si vendono perché chiudono. Per chi riesce a incassare tre, quattro o cinquemila euro è tutto grasso che cola…La desertificazione ha investito la parte più debole e anziana della popolazione, quella dei paesi e dei centri isolati. In Italia i comuni con meno di 5 mila abitanti sono 5.497, ovvero il 69,5 per cento del totale. E quasi 2 mila, per l’esattezza 1.934, non arrivano a mille residenti. Tanto basta per spiegare quanto l’impatto della crisi sia stato devastante”.

Racconta un edicolante: “Ormai mi chiedono solo patatine e giocattoli. Non ha senso continuare, l’edicolante ha un margine di circa il 19% sul prezzo di copertina con molte pubblicazioni hanno dei prezzi che vanno da 0,50 a un euro”, fate voi i conti.

Va detto che i giornali non si vendono più soltanto in edicola: ma il tentativo avviato con la riforma voluta da Bersani a fine anni novanta di coinvolgere bar, supermercati, pompe di benzina, autogrill che aveva portato a 41 mila punti vendita si è presto afflosciato e la maggioranza di questi nuovi punti vendita ha rinunciato.

Il dilemma è che il mercato della stampa non può essere con le leggi vigenti un mercato libero ma il mercato libero non tutelerebbe la libertà dell’informazione.

Scrive un altro sindacato: “Oggi il fatturato della vendita di giornali e altri prodotti editoriali nelle edicole tocca a malapena 1,8 miliardi l’anno, contro i 5 miliardi e mezzo del 2005: un terzo. Se si divide la somma per i 27 mila presunti punti vendita, si arriva alla misera cifra di circa 200 euro al giorno di fatturato pro capite, che rapportata al 18,70 per cento di aggio sul prezzo di copertina spettante all’edicolante, fa poco più di 35 euro al giorno. Al lordo delle spese, e per alzarsi ogni mattina alle quattro e mezza. Un margine di guadagno ridicolo”.

A Milano a luglio di quest’anno veniva annunciata la chiusura di 34 edicole, “A mettere in difficoltà le edicole c’è infatti anche il rinnovo delle concessioni per l’utilizzo del suolo pubblico, una norma pensata per gli ambulanti ma che alla fine ha coinvolto pure i chioschi delle edicole”.

La politica sia quella locale che quella nazionale sembra del tutto impotente per non dire sorpresa da una evoluzione che era ovvia e palese a chiunque. Avere una legge che tutela l’informazione cartacea nei minimi dettagli non serve a molto se intere zone del paese sono ormai prive di punti vendita.

Si capisce meglio qual è il problema dell’informazione quando si guardano i venduti: il settimanale di gran lunga più venduto in Italia oggi è un settimanale milanese (sede in Cinque giornate) senza pubblicità, con contenuti e forma pressoché identici a quelli della sua prima uscita nel 1932: la Settimana Enigmistica; di proprietà di un editore Bresi che in 90 anni di storia non ha mai rilasciato un’intervista né vi sono foto della redazione.  Il numero in edicola è il 4669 (la numerazione è progressiva) e si narra che  solo per due volte La Settimana ha ritardato l’uscita con il numero  607  pubblicato il 4 settembre 1943, invece che il 21 agosto con avviso in prima pagina: “Le selvagge incursioni nemiche del 13 e del 16 agosto, che hanno devastato la nostra redazione e provocato danni gravissimi nella tipografia e nell’ufficio distribuzione, ci hanno impedito, ad onta di tutti i nostri sforzi, di pubblicare questo numero con la consueta regolarità” e con il 694, uscito il 14 luglio 1945, invece che il 28 aprile poiché: “Gli storici avvenimenti delle ultime settimane hanno impedito di pubblicare questo numero con la consueta regolarità”, più understatement di così non si può.

Del resto il mondo dell’enigmistica con centinaia di testate è l’unico comparto profittevole per editori, distributori ed edicolanti; senza enigmistica, bustame (prodotti per bambini a basso costo), allegati e collezionabili in nessuna zona del paese potrebbe resistere la distribuzione dei quotidiani e delle testate di informazione “alta”, ma per quanto tempo ancora potremo comprare un quotidiano cartaceo?

La sorpresa del mondo della politica rispetto all’evolversi e al trasformarsi della situazione ha molti punti in comune con quello che in questi giorni sta avvenendo relativamente ai referendum.

Le norme del referendum sono state votate pochi mesi prima di quelle sulla stampa: il 18 gennaio 1947, Mortati propose la soglia di firme richieste per indire un referendum a 500 mila. Chiunque abbia avuto a che fare con un referendum sa le difficoltà e gli sforzi per organizzare banchetti, cancellieri, segreterie comunali etc.

Con la nuova modalità di sottoscrizione digitale autorizzata con il decreto “semplificazioni” di luglio tutto è diventato non facile ma facilissimo aprendo la strada in futuro a moltissime di richieste referendarie un tempo frenate dalla complessità della “macchina”, tant’è che il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick ha già proposto di alzare la soglia delle firme: le 500 mila firme del 1947 corrispondevano a circa l’1,8 per cento dei 28 milioni di elettori dell’epoca, nel 2021 gli aventi diritto di voto sono oltre i 50 milioni quindi in proporzione, una soglia equivalente a quella pensata quasi 70 anni fa sarebbe di circa 920 mila firme.

Non ci voleva un genio per fare due righe di conti. Non ci vuole un genio per immaginare che in molti sia a livello nazionale, che regionale, che comunale si stanno organizzando per proporre referendum a go go.

Centomila firme in meno di 24 ore, 330 mila in tre giorni, ad oggi superate le 500 mila questi i numeri da record del Referendum per la cannabis legale, il rapido successo della raccolta firme online è probabilmente il più lampante esempio dei cambiamenti tecnologici che interessano il mondo della politica.

Per i referendum comunali poi le 15000 firme necessarie con la firma digitale sono oggi alla portata di chiunque.

Informazione ancorata a leggi del 1948, referendum a leggi del 1947, mentre la tecnologia sta irreversibilmente trasformando il processo politico.

Proprio mentre il movimento Cinque stelle si avvia alla débâcle elettorale molte delle idee forti di Casaleggio (padre) sulla democrazia diretta io direi il populismo digitale, si stanno realizzando ed è facile prevedere una tensione inevitabile tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa.  Il che non è un bene.



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  1. Cesare MocchiSempre interessanti i dati che propone, in questo caso sull'informazione cartacea. Ho delle perplessità invece sul tema dei referendum: visto che le tecnologie li rendono facili, bisognerebbe trovare un metodo per farli tornare "difficili" in modo da evitarne la pletora. In entrambi i casi vedo una certa diffidenza verso il "popolo bue" che, se non ben governato, chissà cosa combinerà. Sì, perché anche quando iniziò il declino della stampa a favore dell'informazione sul web, le lamentele furono le stesse: finiremo in mano ai demagoghi! Sparirà la correttezza dell'informazione, eccetera, eccetera. Ma davvero l'informazione cartacea era corretta? Davvero non era manipolatoria e al servizio del potere? Quando mi è capitato di vedere trattare argomenti che conoscevo bene, l'impressione è sempre stata all'opposto: la stampa tradizionale non era affatto equa. E davvero l'informazione sul web è preda dei demagoghi? Wikipedia forse è piena di falsità? E Arcipelago (per dire) si dovrebbe cercare di fargli avere vita difficile, visto che è sul web (e quindi automaticamente populista, o altro)? E lo stesso per i referendum (i cui risultati passati peraltro sono stati sistematicamente ignorati se non peggio dalla classe dirigente, poco avvezza a considerare l'opinione dei suoi sudditi - whoops! dei cittadini - se non paradossalmente attraverso i sondaggi, a cui si ricorre sempre più). Davvero ne abbiamo paura? Davvero i cittadini sono tutti degli idioti, un gregge da governare se no chissà cosa combina? Io spero invece che con le nuove tecnologie si possa appunto accorciare la catena di comando. E non rimpiango affatto i vecchi giornaloni (che stanno facendo la fine che si meritano)
    22 settembre 2021 • 08:59Rispondi
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