3 aprile 2021

LE 4 R DEL RETICOLO IRRIGUO

A proposito di riconversione ecologica


Credo che i milanesi arriveranno alle prossime elezioni assai provati; la crisi pandemica ha messo troppe famiglie e aziende in difficoltà, mostrando la fragilità del modello socioeconomico e ambientale che avevamo seguito. Sono perciò contento che il nostro sindaco abbia sottoscritto il manifesto dei Verdi Europei: penso che intenda impegnarsi sul serio per avviare quella transizione ecologica della città, che ci consentirebbe di uscire dalla crisi pandemica migliorando la qualità della nostra vita e rilanciando il ruolo internazionale della nostra amata città.

Il reticolo irriguo nella porzione sudoccidentale della Città metropolitana. Fonte: ns. elaborazione da CTR Lombardia

Il reticolo irriguo nella porzione sudoccidentale della Città metropolitana. Fonte: ns. elaborazione da CTR Lombardia

Ma temo che il risultato sarebbe veramente modesto, se piani e progetti rimanessero confinati entro il perimetro del Comune perché Milano, come ogni città, vive dentro e grazie al suo contesto territoriale: e il contesto di Milano è straordinariamente ricco d’acqua. E se la città non ricostruisce un rapporto equilibrato con il suo contado e con le sue acque, ogni progetto per la transizione ecologica è destinato a fallire.

L’acqua è l’ elemento portante della riconversione ecologica di Milano e del suo territorio.

Ma perché il reticolo irriguo?

  1. è la più estesa infrastruttura milanese, che percorre migliaia di km (oltre 500 solo nel Comune di Milano, 1/3 dei quali coperti) collegando e irrigando decine di migliaia di ettari1 con acqua di buona qualità;

  2. attraversa tutto il territorio della città metropolitana tra l’Adda e il Ticino, mettendo in comunicazione riserve naturali, aree protette, campi coltivati e città;

  3. muove e distribuisce capillarmente miliardi di mc d’acqua senza consumare un solo chilo di combustibili fossili, perché sfrutta la forza gravità terrestre e la pendenza naturale del terreno: abbiamo ereditato dai nostri avi un’infrastruttura ecocompatibile al 100%;

  4. può fornire energia meccanica, elettrica e termica gratuite e continue, sostituendo le fonti fossili;

  5. è un vettore perfetto e già disponibile per ricostruire la complessità biologica in un territorio necessaria a migliorare il nostro rapporto con l’ambiente.

Potenzialità

La rete irrigua svolge un ruolo ecosistemico fondamentale, ma ancora poco riconosciuto e apprezzato. Non è solo un sistema di distribuzione e regolazione dell’acqua: ogni suo metro crea le condizioni adatte a un ambiente biologicamente ricco; contribuisce a mitigare le temperature; alimenta la falda freatica, facendone uno straordinario serbatoio per le emergenze idriche; il reticolo è un colossale bacino di raccolta “naturale” delle acque meteoriche, di cui garantisce il successivo, graduale smaltimento; evita o mitiga le conseguenze di eventi meteorici straordinari.

Ma non basta: il reticolo idrico può diventare un tesoro di biodiversità e una fonte di energia rinnovabile diffusa, continua e priva di controindicazioni ambientali, che non richiede l’impiego di materiali rari e socialmente discutibili, come quelli necessari alle batterie di accumulo per il fotovoltaico e per la mobilità elettrica. Grazie alle attuali tecnologie, si potrebbero ripristinare i molti mulini e salti d’acqua, dotandoli di dispositivi in grado di sfruttare l’energia cinetica dell’acqua che potrebbero tornare ad essere una fonte gratuita e continua di energia rinnovabile.

Per questo dovremmo intervenire secondo quattro direttrici, che ho chiamato le 4 R: Ricostruire, Ripulire, Rinaturalizzare e Ripiantare.

  1. Ricostruire

Nel corso dell’impetuosa crescita urbana del XX secolo, molti corsi d’acqua sono stati interrati, interrotti, tombinati, a volte trasformati in fognature: solo a Milano sono 184 chilometri da recuperare. Questo ha comportato numerosi problemi di ordine idraulico, sanitario e ambientale, oltre a frenarne l’utilizzo per nuovi scopi.

L’acqua del reticolo è essenziale per le attività agricole, ma potrebbe essere ben utilizzata anche nelle aree urbane per tutti gli usi non potabili: primo fra tutti l’alimentazione di impianti di climatizzazione a pompa di calore, l’irrigazione di parchi e giardini e tutti quegli usi in cui oggi viene utilizzata impropriamente acqua potabile, per poi ritornare nel reticolo agricolo. Per farlo, è necessario completare su scala metropolitana il lavoro di rilievo dei corsi d’acqua interrati, tombinati o coperti, cogliendo l’occasione per effettuare un censimento degli scarichi abusivi, che ne compromettono la qualità delle acque.

Ricostruire il reticolo irriguo interrotto e coperto nelle aree urbanizzate permetterebbe di ricostituire la continuità idraulica della rete irrigua, aumentando la disponibilità d’acqua a disposizione dell’agricoltura e aprendo la possibilità di sviluppare e gestire nuovi usi eco-compatibili, come quelli geotermici ed energetici. Ripristinando la continuità idraulica, forniremmo alle nostre assetate aziende agricole quei mc d’acqua di buona qualità che oggi finiscono in fognatura, come quelle dell’ “anello azzurro” dell’area Expo, o quelle dei pozzi in spurgo dell’acquedotto. Un lavoro di ricognizione dell’esistente, è già stato fatto dal Comune di Milano in occasione del PGT del 2012 ed aggiornato nel 2019. Lo stesso lavoro di ricognizione e rilevazione dovrebbe essere ripetuto negli altri territori urbanizzati, soprattutto a Nord di Milano.

Il Canale Scolmatore del fiume Olona all’altezza di via Kuliscioff - fonte: Google Maps

Il Canale Scolmatore del fiume Olona all’altezza di via Kuliscioff – fonte: Google Maps

 

  1. Ripulire

Ripulire le acque del reticolo idrico dagli inquinanti è indispensabile per garantirne la funzione ecologica e l’uso, evitando che finiscano nelle falde superficiali e da qui a quelle profonde, per finire nel mare Adriatico.

Se la qualità delle acque che provengono da Adda e Ticino è buona, non si può dire lo stesso ove queste si mescolano a scarichi civili, agricoli, industriali e di alcuni depuratori, come quelli consortili di Sant’Antonino, che scarica nel Naviglio Grande, di Robecco s/N e di Abbiategrasso, che scaricano nel Ticino. Per tacer di quelli provenienti dal bacino dei fiumi Seveso, Lambro ed Olona, particolarmente gravi. Nell’acqua di falda e del reticolo finiscono anche fertilizzanti, anticrittogamici e pesticidi; mentre i grandi allevamenti producono grandi quantità di liquami che in alcuni casi vengono sparsi con leggerezza e talvolta con dolo; per non parlare dei fanghi di depuratori che la legge consente di spargere con abbondanza nei campi, ma che possono contenere metalli pesanti e residui di lavorazioni industriali. Tutto ciò che viene sparso sul suolo finisce anche in falda o nelle acque superficiali.

Si impone una regolamentazione più accurata degli usi consentiti dei fanghi: ma servirebbe a poco, se non fosse accompagnata da maggiori controlli e dal censimento degli scarichi superficiali e in falda e da una capillare rete di rilevazione della qualità e della portata delle acque. Oggi esistono le tecnologie per realizzarla e gestirla: manca la volontà politica e legislativa?

  1. Rinaturalizzare

La pratica di rettificare, impermeabilizzare e canalizzare fiumi e torrenti ha conosciuto in Italia la sua epoca d’oro nel secolo corso quando, anche in Lombardia, decine di chilometri di corsi d’acqua furono trasformati in canali artificiali. Secondo il WWF International la canalizzazione produce questi effetti:

1) restringe l’alveo, concentrando l’ energia dell’acqua;

2) aumenta la velocità di corrente;

3) aumenta la quantità di materiale trasportato;

4) innalza il picco di piena, che viene raggiunto più velocemente;

5) aumenta Il rischio per danni a persone e manufatti a valle;

6 diminuisce il tempo per azioni della protezione civile;

7) rende monotono l’ambiente e riduce la biodiversità;

8) distrugge la capacità di autodepurazione del fiume.

L’artificializzazione di chilometri di fiumi (come l’Adda, il Lambro, il Seveso, l’Olona e altri minori) ha prodotto tutti gli effetti denunciati dal WWF. Anche la rete irrigua ha perduto gran parte del suo patrimonio arboreo e vegetale, sistematicamente eliminato dagli agricoltori, che lo considerano dannoso per le monocolture e di impiccio alla movimentazione delle grandi macchine agricole di oggi. Fino a pochi anni fa, erano gli stessi enti di gestione a intervenire, tagliando e sradicando gli alberi dalle rive ed estirpando le acquatiche, quando non impermeabilizzavano direttamente le rogge e i canali.

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Non ci si rendeva conto dell’utilità ecosistemica della vegetazione spondale, che dava ospitalità a varie specie utili di anfibi, piccoli mammiferi, insetti e uccelli che tenevano sotto controllo la presenza di piante e insetti dannosi. La rete irrigua è stata per secoli un ecosistema costituito da una rete diffusa di corridoi ecologici che percorrevano tutta la pianura padana, unendo città e campagna, accuratamente gestita e mantenuta dall’uomo.

La perdita di quell’equilibrio ha cambiato radicalmente un paesaggio agrario storico degno di tutela2, peggiorando le condizioni biologiche e micro-climatiche dei campi, e contribuendo a degradare anche quelle delle città. Le pratiche agricole industriali, la monocoltura estensiva e l’allevamento intensivo hanno innescato un circolo vizioso tra perdita della fertilità e dello stesso suolo fertile, per effetto del dilavamento e dell’ erosione del vento; ciò che ha portato ad un aumento nell’apporto di pesticidi, fertilizzanti azotati e fosfati, su terreni sempre meno vitali. Questi prodotti finiscono nelle acque, con la conseguente eutrofizzazione e scomparsa di molte specie utili.

Data l’estensione del territorio agricolo e la sua importanza per la produzione alimentare e nella determinazione del clima, la rinaturalizzazione del reticolo irriguo comporterebbe i seguenti vantaggi: mitigazione delle temperature, cattura della CO2 atmsferica e abbattimento delle polveri, aumento della biodiversità; ricostruzione di corridoi ecologici e rimessa in collegamento tra aree naturali, campagne e aree urbane; aumento della produttività dei suoli, con minor uso di fertilizzanti e fitofarmaci…

Ma per ottenere la massima efficacia, il processo, che potrebbe partire da interventi pilota, supportati da finanziamenti UE e regionali e oggetto di ricerca e monitoraggio, per coinvolgere via via l’intera Città metropolitana, ed estendersi progressivamente a tutta la bioregione padana, che presenta caratteristiche simili a quelle del milanese.

  1. Ripiantare

Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, l’industrializzazione dell’agricoltura ha avuto due conseguenze che hanno radicalmente cambiato gli equilibri dell’ecosistema padano.

Il primo, è stata l’introduzione dei derivati del petrolio nel ciclo produttivo: in particolare, fertilizzanti azotati e carburanti fossili hanno consentito di aumentare le rese dei terreni, diminuendo verticalmente il numero degli addetti del settore primario che, un secolo fa, occupava circa il 90% della popolazione: il petrolio era la nuova energia da immettere nella produzione agricola.

Il secondo è una conseguenza del primo: l’impoverimento della biodiversità seguito all’estensione delle monocolture e la sparizione degli alberi dal paesaggio agrario. Può sembrare una nostalgia romantica per i paesaggi del Grand Tour, ma oggi sappiamo che gli alberi svolgono un ruolo fondamentale nell’equilibrio ecologico di un territorio, e sono addirittura in grado di influire su clima e meteorologia.

Alberi e suolo fertile costituiscono un insieme capace di assorbire grandi quantità di CO2 e molte delle sostanze inquinanti che immettiamo ogni giorno nell’ambiente. Gli alberi costituiscono un vero e proprio laboratorio chimico e biologico, come hanno dimostrato gli studi pionieristici di Stefano Mancuso e del laboratorio di Neurobiologia Vegetale dell’Università di Firenze.

Negli USA, David G. Haskell ha dimostrato la ricchezza biologica e la quantità di creature che popolano e frequentano un solo metro quadro di foresta3 e chiunque abbia avuto l’occasione di osservare per un po’ di tempo cosa accade fra la vegetazione di un piccolo fosso ha conosciuto lo stupore di scoprirvi pullulare dozzine di specie acquatiche: girini, tritoni, pattinatori, idre, pulci d’acqua, sanguisughe, scardole, lamprede e arvicole, bisce d’acqua e raganelle, grilli, germani reali, ballerine bianche e gialle, chiocciole e cozze d’acqua dolce che vivono, nidificano e si nutrono in un fitto ambiente vegetale tra le radici di salici e ontani, popolato da salcerella, iris pseudoacorus, calta palustre, nannufaro, sagittaria, ranuncolo, crescione, carici e molte altre specie acquatiche e ripariali.

Piantare alberi, scegliendo le specie e la collocazione più adatte ad ogni circostanza.

Per favorire la riconversione ecologica è fondamentale che gli interventi di forestazione non si limitino alle aree protette, ai parchi e viali urbani. E’ necessario che siano estesi alle aree agricole, coniugando il miglioramento ambientale con le esigenze produttive degli agricoltori. Il reticolo idrico può diventare la struttura portante per la ricostruzione della canopia nelle campagne. Non si tratta semplicemente di ricostruire il paesaggio agrario storico, ma di trovare nuovi equilibri tra i fattori ambientali e quelli produttivi, a partire dalle conoscenze scientifiche e dalle sperimentazioni di successo già condotte.

Il reticolo irriguo è storicamente, strutturalmente e geograficamente vocato ad ospitare alberature lungo le sue sponde, contribuendo ad accrescerne la biodiversità, mitigare il vento e le temperature producendo vantaggi ecosistemici riconosciuti per tutta la collettività, e che pertanto dovrebbero essere quantificati economicamente e riconosciuti agli agricoltori.

Luca Bergo

1 il solo Consorzio Villoresi irriga 55.000 ettari con una rete di circa 1000 km: https://varcovilloresi.movimentolento.it/it/page/storia/villoresi/
2 la consapevolezza del valore ambientale, storico e culturale della campagna irrigua ha portato Regione Lombardia e gli Enti di Bonifica a presentare richiesta di inserire questo paesaggio nel Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’UNESCO
3 David George Haskell: La foresta nascosta, Einaudi, 2014



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  1. Andrea VitaliGrazie dell'intervento chiaro e completo su un argomento così rilevante, sotto gli occhi di tutti eppure misconosciuto. E' da questo sguardo, colto, appassionato e attento assieme sia alle piccole che alle grandi cose che bisogna ripartire.
    21 aprile 2021 • 10:17Rispondi
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