30 gennaio 2021

LA MOBILITÀ DOPO IL COVID

Ripensare tutto per non sbagliare


Da più parti ci si chiede come sarà la mobilità urbana dopo il Covid, ma è molto difficile fare previsioni, anche perché la data della fine della pandemia non è ancora conosciuta. Posso, però, avanzare alcune impressioni, anche perché non concordo con chi pensa che dopo la pandemia saremo liberati dalla congestione in virtù di quote sempre maggiori di smart working. Anzi, temo che la minore mobilità, oltre a diminuire la congestione, possa nascondere anche insidie.

È vero che alcune grandi aziende, soddisfatte dallo smart working (che preferisco chiamare lavoro a domicilio) hanno già annunciato la decisone di ridurre gli spazi dei loro uffici, tuttavia dobbiamo chiederci se questo sarà un avanzamento verso un futuro migliore e se davvero comporterà la riduzione della congestione nella mobilità. Di sicuro non penso che si tratti di un futuro migliore per tutti i lavoratori.

Il lavoro a domicilio a lungo andare è alienante, come possono testimoniare psicologi e psichiatri a cui questi lavoratori si rivolgono; lavorare chiusi in casa senza incontrare altre persone, senza scambi, senza cambiamenti di ambiente, logora. La cosa è ancora più difficile per il personale femminile, che spesso deve badare anche ai figli e ad altre incombenze. Per molti il lavoro a domicilio, prima o poi, sconfina negli “arresti domiciliari”.

C’è un altro aspetto critico: con il lavoro a domicilio il costo del luogo di lavoro ricade sul bilancio familiare: il datore di lavoro risparmia sulle dimensioni della sede e, per converso, il lavoratore mette a disposizione gratuitamente la sua casa. Spero che i sindacati possano presto farsi carico della questione. Da notizie di stampa sembra sia aumentata la richiesta di abitazioni più ampie. Una stanza in più può risolvere molti problemi, ma a carico del bilancio familiare.

Quote elevate di lavoro a domicilio confermeranno o incrementeranno la rovina di molte attività di servizio che sono utili ai lavoratori fuori casa: bar, paninoteche, ristoranti, ma anche librerie e altro commercio al minuto, soppiantati dal commercio on line.

Peraltro, in Italia le aziende non hanno allestito siti di coworking aziendali o multi-azienda decentrati, come esistono in altre nazioni europee. Luoghi in cui i dipendenti operano o in un ambiente di lavoro, più vicino alla residenza, con altre persone e con servizi, anche se lontani dalla sede aziendale, ma non in casa (i).

Passata la pandemia, sicuramente alcune persone preferiranno il lavoro a domicilio o saranno obbligate ad accettarlo, e questo potrà ridurre la mobilità verso Milano, tuttavia la mia personale impressione è che, comunque non poche persone, che lo potranno, preferiranno tornare nelle loro sedi storiche di lavoro. Se così fosse la tendenza alla riduzione della mobilità per motivi di lavoro potrebbe invertirsi generando di nuovo maggiori livelli di domanda sui trasporti pubblici e sulle strade.

Nel frattempo, inoltre, la mobilità sulle strade potrà registrare incrementi anche maggiori, poiché lo spostamento in auto è considerato più sicuro nei confronti del contagio, la mobilità per motivi di studio, invece, non tarderà a tornare normale, poiché gli studenti, dopo i primi entusiasmi, sono -giustamente- tornati a richiedere la didattica in presenza.

Per il trasporto pubblico il periodo di minore congestione potrebbe essere utilizzato per la riorganizzazione e per rendere più efficiente l’offerta, cosicché i futuri picchi di domanda trovino una risposta più adeguata. Pensare a riduzioni di capacità non sembra una scelta prudente. Lo stesso si può dire delle strade: questo momento di parziale sottoutilizzazione, sarebbe adeguato per riqualificare e modernizzare la rete, che, una volta allentato l’incubo per il Covid, potrà rivedere picchi di traffico consistenti. Il maggior rischio, che va assolutamente evitato, è quello di far diminuire l’accessibilità a Milano e la sua attrattività.

Milano è tutt’altro che una città a sé stante: la sua area urbana, valutata in almeno 5 milioni di abitanti, è essenziale per la sua economia. I cittadini di quest’area che vengono al lavorare a Milano, o lavorano per Milano, sono parte importante e strategica della sua ricchezza. Nonostante l’avversione che alcuni provano per i pendolari, l’attrattività che Milano esercita è il bene più prezioso per conservare l’economia milanese.

In questo frangente, insieme ai problemi causati dalla pandemia, stride la pervicacia del Comune di Milano nel voler ridurre la capacità delle strade foranee e gli stazionamenti, nella fallace presunzione di ridurre in questo modo la motorizzazione.

Quanto fatto in viale Monza e quanto programmato in Melchiorre Gioia, ed in altri punti nevralgici della città non farà diminuire né la motorizzazione, né la congestione (che, come già si è visto dalle prime conseguenze, aumenterà) ma ridurrà l’accessibilità a Milano. Molte attività troveranno utile spostarsi all’esterno.

Cosicché rischieremmo di andare incontro ad un destino simile a quello di Parigi ove molte attività sono uscite dalla città spargendosi nella banlieue e nell’Île de France, tanto da costringere la capitale, per riconnetterle, a progettare un nuovo metrò all’intorno dei capolinea di quello esistente, con un diametro di 40 chilometri. Non diversamente sta facendo Londra con i due grandi passanti ferroviari, di cui il primo, di 120 chilometri, 21 in galleria, è già in avanzata costruzione.

Milano non ne avrebbe bisogno e ancor meno se avesse mantenuto in vita il progetto del secondo passante, nella versione del Piano di Mobilità del 2001 e del 2006, che, con soli tre chilometri di galleria, avrebbe dato accesso diretto al centro di Milano da tutte le stazioni della Lombardia.

Sempre che non continui a commettere gravi errori nell’intervenire sul suo assetto urbanistico. Con interventi che comportano, da una parte l’aumento di pesi insediativi, come la pletora di nuovi grattacieli e l’edificazione degli ex scali ferroviari, e dall’altra la riduzione dell’accessibilità. Una miscela micidiale.

Giorgio Goggi

i) Nel 2012, insieme a Mario Abis, Angela Airoldi e Gaetano Lisciandra, avevamo messo a punto una proposta per coworking aziendale di questo tipo, illustrandone i vantaggi urbanistici e sulla mobilità, ma non fu recepita da nessuno degli enti contattati.



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