20 dicembre 2022

UNA POLITICA REGIONALE SENSIBILE AI CAMBIAMENTI DIROMPENTI

Ripensare le infrastrutture lombarde


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E’ bene ricordare come il rinnovo delle infrastrutture lombarde risalga ormai al periodo degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, grazie alla spinta della giunta di sinistra che governava la metropoli milanese, che portava a compimento il “Progetto Passante” (1983) all’interno del Servizio Ferroviario Regionale, “Lombardia Cablata” (1987) che avviava l’epoca della telematica, fondazione di e-biscom poi fast-web, la prima compagnia di comunicazione pubblica europea, a servizio di nuovi livelli di connettività fra cittadini e pubblica amministrazione.

Si può osservare come i tre interventi non abbiano ricevuto risposta in termini di governance, infatti:

  • l’infrastruttura tecnologica del progetto passante, connessa al rinnovo del servizio ferroviario regionale, avrebbe dovuto trovare simmetria con un’idea di regione intesa come sistema policentrico integrato, ossia di sistema territoriale neuronale il cui sviluppo doveva essere in simbiosi con l’incremento del patrimonio naturale e del capitale umano;
  • l’infrastruttura del cablaggio segnava la fine dello spazio amministrativo locale erede della tradizione napoleonica a favore di un’idea dello spazio ‘ubiqua’, presupposto di una amministrazione locale proattiva e scalare, che agisce per scopi, superando la gabbia dell’articolazione per funzioni;
  • la creazione di una società di broadcasting pubblica, e-biscom poi Fastweb, nasceva dalla consapevolezza che l’aumento esponenziale della connettività richiedeva un rinnovo radicale degli strumenti di dialogo fra cittadini e pubblica amministrazione.

Sintetizzando, quell’insieme di interventi infrastrutturali poneva il problema centrale del rinnovo della democrazia in sinergia con il rinnovo dell’idea di spazio, sia meccanico, dettato dal nuovo ruolo dell’infrastruttura ferroviaria, sia virtuale, dettato dalla sinergia fra regione degli atomi e regione dei bit.

La risposta dei nuovi governi di centro destra succedutisi dagli anni 2000 fu radicale: nel 2007 la giunta presieduta dalla sindaca di Milano, Letizia Moratti, liquida la società di broadcasting. La società lombarda è così deprivata di efficaci strumenti di sperimentazione di innovativi linguaggi democratici, mentre si assiste a una logica di gestione dello spazio regionale dominata dalla chiusura nel ‘box’ del localismo della Lega.

La Regione Lombardia si isola così dall’imponente processo di cambiamenti dirompenti che hanno investito la società lombarda negli ultimi venti anni, che qui non tratto, limitandomi a ricordare:

  • il passaggio dal cablaggio all’intelligenza artificiale;
  • la grande aggressione all’ambiente, la prospettiva della sesta estinzione, l’esigenza di passare da un’economia estrattiva a un’economia biocompatibile;
  • l’impegno a contenere le emissioni di CO2, coniugato con la rigenerazione energetica;
  • il passaggio da governance passive a governance proattive e collaborative, punto centrale del Green Deal e del PNRR;
  • la crescita esponenziale di una società ineguale.

Tutti fenomeni che Clayton M. Christensen, principale teorico del cambiamento ‘dirompente’, riconduce ai seguenti punti chiave:

  • la tecnologia avanza più velocemente della capacità di assimilazione delle persone, quindi siamo di fronte a importanti asimmetrie sociali con enormi difficoltà di gestione da parte della politica;
  • la rivoluzione tecnologica dovrebbe avere come corollario la rivoluzione organizzativa, in altri termini la tradizionale organizzazione lineare della pubblica amministrazione dovrebbe cedere il passo a sistemi di gestione complessi fondati su feedback, collaborazione, creatività e scalarità. Questo è anche il punto centrale attorno a cui ruota il PNRR;
  • i cambiamenti dirompenti obbligano all’arte del compromesso, se siamo di fronte a profonde asimmetrie sociali ed a processi dominati dalla complessità delle relazioni, il problema non è la dominazione ma la costruzione di convergenze fra diversità.

E’ evidente che la chiusura ventennale nel bunker del localismo da parte del governo regionale lombardo ha generato, assieme al deficit infrastrutturale, un severo problema di governance ed una severa carenza di politiche responsabili verso la disponibilità e l’uso delle risorse.

Abbiamo un severo problema di governance.

Il PNRR impone come missione strategica l’aumento di efficienza della pubblica amministrazione, grazie al passaggio da un governo regionale passivo, che opera per ‘box’ settoriali ad una governance collaborativa, in grado di coinvolgere attivamente i cittadini. Questo passaggio è legato alla capacità di usare criticamente e virtuosamente le tecnologie di comunicazione ‘ubique’.

Da questo punto di vista occorre un nuovo modello di governance capace di:

  • sviluppare l’educazione dei cittadini all’uso delle nuove tecnologie;
  • sviluppare progetti nei quali alla completa digitalizzazione di tutti i processi in corso – da quelli sociali a quelli fisici di digital twin – corrisponda una reale interfaccia operativa pubblica;
  • sviluppare progetti che valutino criticamente l’attuale tendenza alla sostituzione della forza lavoro con processi immateriali guidati dall’intelligenza artificiale.

In sostanza occorre affrontare la questione di una governance ‘aperta’ e capace di gestire criticamente e proficuamente il patrimonio di dati generati socialmente.

Abbiamo una severa carenza di politiche responsabili verso l’uso delle risorse.

Penso che l’azione politica regionale per i prossimi cinque anni debba essere responsabile verso i “confini della terra”, rispettando la residua biocapacità del territorio, al fine   di contenere la perdita di biodiversità, e contenendo, secondo gli accordi di Parigi, le emissioni di CO2, per restare entro il limite di +1,5° rispetto all’inizio dell’epoca industriale.

 Tutte questioni che hanno come forza guida:

  • un adeguato sviluppo del green deal a scala regionale, la cui fattibilità è legata al buon uso delle risorse comunitarie;
  • un attivo coinvolgimento dei cittadini in una “cura dimagrante dei consumi”, vero nocciolo per restare entro i limiti di emissioni imposto dalla Convenzione di Parigi.

Infatti il nostro budget di CO2 realmente disponibile, al fine di rispettare il limite di +1,5°, impone di ridurre le attuali emissioni di 5,38 ton/anno pro capite  ad 1 ton.

Questa questione è già stata affrontata dal programma promosso dai paesi nordici “Una società a 1 ton all’anno, pari a 2,7 Kg al giorno”, ed implica una radicale riconversione del modello sia di consumo che di produzione, per la riduzione delle emissioni, che oggi sono così distribuite:

34%        Edilizia, di cui:

              19% energia per edifici

              15% costruzione, manutenzione, arredi

25%        Trasporti

25%        Cibo

 11%      Tempo libero

Questo implica da parte della Regione l’avvio di un processo scalare di coinvolgimento attivo dei cittadini e delle imprese.

Per i cittadini: il programma 1 ton di CO2 favorisce la promozione di un sistema integrato di comunità (energetiche, edilizie, trasporto, alimentari …) che dovranno gestire autonomamente servizi integrati, operando scelte complesse che vanno dall’acquisizione di servizi erogati da gestori esterni all’autoproduzione (esempio tipico è l’energia). In queste scelte complesse sarà determinante il lavoro di regia della regione e degli enti locali.

 Per le imprese: occorre promuovere forme di partnership integrate fra pubblico e privato nella difficile transizione: dalle attività basate sull’estrazione ad attività biocompatibili, nell’evoluzione dalle politiche di sviluppo meramente quantitative a politiche di sviluppo sostenibile, da una visione di protezione locale a dinamiche politiche scalari verso mercati nazionali ed internazionali. L’esempio di questa strategia è il modello danese “Climate partnership”, che vede la parte pubblica ‘agente’ di una strategia di sviluppo settoriale sostenibile e coordinato in rete sia con diverse regioni europee, sia con paesi a basso reddito extraeuropei. Questo modello quindi propone la rigenerazione locale regionale simmetrica con una politica di promozione di una rete di sviluppo sia nazionale che internazionale.

In definitiva, per uscire dal bunker legista, occorre avviare un modello attivo di sicurezza ecologica regionale, perché siamo nell’antropocene e come 40 anni fa fummo capaci di individuare nuovi strumenti tecnici che avrebbero dovuto rinnovare il dialogo sociale, oggi siamo chiamati a individuare una politica regionale capace di interrompere la corsa verso la “terra serra”.

Giuseppe Longhi



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