11 dicembre 2020

CHIARA FERRAGNI DAVANTI A BOTTICELLI

Chi farà il futuro di gallerie e musei? Gli “influencer”?


La crisi del ruolo dei musei non nasce col Covid. I loro ruolo è tutto da ripensare per un futuro della cultura tuto diverso. La “contemporaneità dei musei”.

biscottini

Non si può negare che non ci sia molta buona volontà in giro. Nonostante la pandemia, il dolore, la fatica, la paura, i più si adoperano per mantenere un ritmo di vita adeguato a quello della stagione pre Covid. Al di là di ogni condanna a tutti i negazionisti e a quanti disattendono le regole comportamentali, bisogna riconoscere che le attività, pur con modalità diversa, non cessano.

Una cosa, però, mi inquieta, la mancanza di una vera riflessione sul senso dell’oggi e sul futuro. Il bisogno di fare e di dimostrare che anche a porte chiuse non cessiamo di esserci, allontana ciò di cui ci sarebbe maggiormente bisogno: il pensiero. Ne sono un esempio i molti dibattiti televisivi, dove conduttori ed ospiti ripetono ad oltranza opinioni note.

Qualcuno stancamente, altri con malcelata aggressività, ribattono le solite cose. Fra i fiumi di parole e l’overdose di iniziative digitali, in streaming e comunque a distanza, il motto comune è: la macchina funziona, signori. State tranquilli, ci siamo e non smettiamo di essere noi stessi. Il Teatro alla Scala docet. E così i musei, piccoli o grandi che siano. Ma novità, idee, progetti per un futuro che dovrà necessariamente essere diverso: niente.

E se la Scala non ospiterà il Festival di Sanremo (ma qualcuno un pensierino lo farà), con la sua prima senza pubblico, con meravigliosi interpreti mescolati a ingenuità imbarazzanti, non ci dice cosa vorrà essere per il tempo a venire. Per esempio non ci dice quale sia il suo rapporto con la contemporaneità, visto che non si potrà esaurire nell’uso dei droni o nell’utilizzo di schermi cinematografici. Né una motoretta sul palco significa qualcosa.

E per contemporaneità non intendo solo quella della musica lirica (che c’è, anche se molto disattesa), ma il rapporto con il presente, con le sue problematiche, con la distruzione dell’ambiente, con il degrado culturale ecc. Insomma poco pensiero e molta comunicazione pop. Chiara Ferragni va agli Uffizi e viene fotografata davanti alla Venere di Botticelli. Si chiama marketing culturale? Non c’è niente di male o di dissacrante, ma la domanda è se gli Uffizi avessero davvero bisogno di questo.

Il problema è che forse Botticelli non basta, ci vuole l’influencer più nota al mondo per ridare luce e forza al grande artista amico dei filosofi neoplatonici. Evidentemente sì, ma questo avvalora la mia propensione a credere nella scarsa attitudine a trarre da quest’epoca terribile occasioni di riflessioni profonde, adatte a predisporre il museo, tutti i musei, al cambiamento. Perché di questo dobbiamo, non dovremo, occuparci. Il museo, in crisi da anni, ha certamente bisogno di un vero ripensamento.

Non più solo luogo della conservazione e della ricerca è divenuto già da tempo sede di eventi e così è andato via via perdendo la propria identità. Oggi che è chiuso si tuffa nel digitale e propone miriadi di cose. Nulla da dire al proposito. Ci son cose belle e cose meno belle, ma la questione è un’altra: l’occasione triste della chiusura non potrebbe servire a predisporre una nuova e diversa riapertura? Si tratta di museologia e di museografia, ma soprattutto di una nuova e diversa prospettiva. Invece si crede che basti riaprire e ricominciare da dove ci si era lasciati. Come dire che il tempo della pandemia non ha generato che morte e dolore. Invito tutti a leggere la “favola selvaggia” di Filelfo (L’assemblea degli animali, Einaudi, 2020) che invita tutti ad una nuova responsabilità, perché de te fabula narratur.

Paolo Biscottini



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