9 gennaio 2024

IL PRESEPE DELLA MEMORIA DEL LAGER

L'arte per sopravvivere e non far perdere a noi la memoria


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In queste festività natalizie migliaia di milanesi hanno potuto emozionarsi davanti al presepe della prigionia,  allestito sull’altare della navata destra della basilica di Sant’Ambrogio, dopo che per anni era rimasto “nascosto”, custodito in una teca tra i tesori, a seguito del lascito per volontà testamentaria di Tullio Battaglia.

Natale 1944, lager di Wietzendorf, tra Hannover e Amburgo, Bassa Sassonia. In un gruppo di seimila internati militari italiani – che non avevano voluto accettare di continuare a combattere con i nazisti, né aderire alla Repubblica sociale di Mussolini – c’era il milanese Tullio Battaglia, trentenne sottotenente di artiglieria, ribattezzato dai compagni di prigionia col nome di “Mastro Wietzendorf” per le sue doti di artista, artigiano e decoratore. Grazie a strumenti di fortuna sfuggiti alle ispezioni – un coltellino scout a doppia lama, un punteruolo, una forbicina, alcuni aghi e un cardine di porta – e alla solidale collaborazione dei compagni, Tullio realizzò questo capolavoro di artigianato, fatto di materiale povero e di fortuna: lo scheletro delle figure, alte 35 centimetri, è di filo spinato rubato dai reticolati; le teste, le mani e piedi sono intagliati in assicelle dei letti a castello, tolti nei punti meno visibili; le vesti sono realizzate con pezzi di indumenti dei prigionieri, dal panno grigioverde di una giacca, ai lembi di camicia o di pigiama, al pelo d’agnello della fodera di un pastrano, al fazzoletto di seta di un tenente, utilizzato per il neonato Gesù; piccoli ricordi di famiglia dei detenuti decorano le semplici statue, come un braccialetto che diventa la collana di uno dei Re Magi.Un’impresa collettiva rischiosa, compiuta alla fioca luce di un lumicino che ognuno alimentava con un piccolo contributo di margarina sottratto alla dose quotidiana. Anche nelle situazioni più disagiate il fatto di potersi esprimere artisticamente, di sentirsi coinvolti in un progetto comune, diventa per i detenuti occasione di ricostruzione della dignità perduta, un’opportunità di ritrovare momenti intensi di socialità e cooperazione, di fare resistenza e anche di sfuggire alla morte. Momenti di contatto con la normalità, di potenza della creazione, di vitalità delle proprie competenze e idee aiutano a sopravvivere: così avvenne per esempio anche per molti musicisti internati nel Campo di Terezin e per ballerina ungherese Edith Eger, deportata ad Auschwitz dai nazisti, testimoni del fatto che l’arte può essere àncora di salvezza perfino nella barbarie del lager. La zattera della bellezza costituisce l’unica alternativa vera al naufragio.La bellezza, intercettata da tutti i linguaggi espressivi – musica, arte, danza, poesia e tutto l’insieme delle esperienze estetiche -, rende possibile sopportare le ore più terribili della propria esistenza e diventa uno straordinario mezzo di conforto per l’anima, strumento di sopravvivenza anche nei momenti più bui. E’ la chiave d’accesso ad un mondo altro e anche un grande strumento di resistenza, come anche la bellezza del presepe clandestino, ai piedi del quale nella notte di Natale del 1944 venne celebrata la messa da un cappellano prigioniero, che aveva ricoperto l’altare con una bandiera tricolore. 

Al ritorno dalla prigionia Tullio Basaglia riportò a casa con sé l’intero presepe, ad eccezione di un pezzo che rimase in Germania, il bue. Proprio dal bue ha preso inizio il secondo tempo di questa storia:  dopo 78 anni un’associazione culturale di Wietzendorf, venuta a conoscenza della vicenda, ha voluto offrire alla basilica dei milanesi, la figura mancante, modellata da un’artista contemporanea, come gesto di amicizia e di pace.Un fascio di luce ha illuminato questa pagina di storia poco nota per tutte le giornate delle festività natalizie. Nei prossimi giorni il presepe clandestino della memoria del lager tornerà tra i tesori della basilica di Sant’Ambrogio. L’imminente Giornata della Memoria può costituire una buona occasione per andare ammirarlo.  

Rita Bramante

 



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