31 luglio 2020

AMORE DIABETICO

Una favola per bambini che parla anche agli adulti


Daniela era stata dolce per tutta la vita. Forse a causa di sua madre, pasticcera di professione, che la rimpinzava di sfogliatelle, pastiere, babà e quant’altro; forse a causa di suo padre che, burbero com’era, le aveva fatto venir voglia di diventare proprio l’opposto. Non c’era giorno che Lucia, la sua compagna di banco, non le trovasse qualche dolciume attaccato a una treccia, appiccicato in fondo a una tasca o avvolto in un cartoccio in fondo alla cartella.

Insomma, Daniela era così dolce, ma così dolce, che se un diabetico le si fosse avvicinato gli sarebbe schizzata la glicemia alle stelle. Forse non avete mai sentito questa parola, “diabetico”. Neanche Daniela l’aveva mai sentita, fin quando un giorno sua madre, che non sapeva come spiegare alla bimba che chi ha il diabete deve star lontano dallo zucchero, e quindi da lei, le disse papale papale: “Daniela, ora basta: non puoi avere amici diabetici!”.

All’inizio Daniela ci pensò poco: non sapeva cosa fosse un “diabetico”, e poi lei gli amici ce li aveva già. Quest’inconveniente divenne però tragico quando, all’età di otto anni, Daniela s’innamorò perdutamente del suo compagno di classe Christopher.

Tremolada 2

Illustrazioni di Elisa Tremolada

Christopher aveva nove anni, era biondo, alto e riusciva a fare il trifoglio con la lingua; ma, soprattutto, era diabetico. Questa sua malattia, che avrebbe dovuto scioccarla o spaventarla, era invece fonte di grandissimo interesse per Daniela: passava ore intere a fantasticare di potersi fare anche lei un buco nella pancia, pizzicandosi i rotolini che le erano cresciuti sul ventre a suon di dolci, panna e crema. Arrivò persino, la settimana del suo nono compleanno, a rifiutare qualunque alimento dolce le presentassero davanti, in solidarietà con l’amico; un sacrificio non da poco, se considerate che, solo in quella settimana, la mamma di Daniela aveva confezionato, nell’ordine: diciotto pastiere, centocinque sfogliatelle, trecentoquaranta bignè, quattordici litri di crema e un gigantesco babà al rum.

Il giorno in cui avrebbe compiuto nove anni, il 24 ottobre 1999, Daniela si svegliò prestissimo. Sapeva già che giorno fosse, anche dietro le palpebre chiuse, e il silenzio innaturale in quella casa solitamente rumorosa le disse che suo padre, sua madre e persino il cane, Bubu, dovevano esser tutti ancora addormentati. Rimase qualche minuto distesa nel letto per assicurarsi di non essersi sbagliata. Il silenzio era così totale che riusciva a capire se quelle che sfrecciavano per strada quattro piani più giù erano automobili, motociclette o furgoncini. Al terzo furgoncino, visto che anche il traffico sembrava essersi preso una pausa, Daniela sgusciò fuori dal letto.

Era tutto pianificato: avrebbe preso anche lei il diabete! Così Christopher, ne era certa, avrebbe finalmente capito quanto le piaceva (se credete che Daniela fosse una bambina un po’ matta, dovrei raccontarvi cosa fanno gli adulti quando s’innamorano).

Ovviamente, in quanto bambina di nove anni appena compiuti, Daniela non aveva la minima idea di come si potesse contrarre una malattia. Figuriamoci una malattia complicata e misteriosa come quella del suo amato Christopher! Doveva documentarsi. Il caso volle che Daniela, oltre a quella per il diabete, avesse un’altra grande passione: i libri di medicina.

Il padre di Daniela, il Dottor Angelo Piedipiatti, era, per l’appunto, un dottore. Non un dottore di quelli eleganti, sofisticati, con un ambulatorio tutto bianco e asettico, pieno di infermiere bionde che scivolano sui tacchi offrendo in giro bottiglie d’acqua termale e caramelle dietetiche. Nossignore. Il papà di Daniela era un podologo – non so dirvi se sia venuta prima la professione o il cognome; è vero però che il nonno di Daniela era stato fisioterapista di una squadra di calcio di serie B (i “Leoni di Segrate”, se proprio dovete saperlo), che aveva giocato solo due stagioni ed era infine stata squalificata dal torneo dopo che 5 degli 11 giocatori avevano manifestato sintomi del “piede d’atleta” proprio il giorno prima della finale di Supercopppa. Se ci aggiungete che il padre del nonno di Daniela, Arnaldo Piedipiatti, faceva il ciabattino, vedete bene che l’interesse per i piedi era una cosa di famiglia. Pensate che c’è chi a Segrate, ancora oggi, sostiene che l’espressione “piedipiatti” sia stata coniata proprio in onore del bisnonno di Daniela: prima di diventare ciabattino era stato poliziotto, ma con quei piedi più piatti della sua amata Pianura Padana era dura inseguire i delinquenti. Ma non perdiamo il filo della storia.

Il papà di Daniela, come dicevamo, era un rispettabile (anche se povero e decisamente poco affascinante) dottore dei piedi. Se qualcuno di voi lettori ha medici in famiglia, come amici o (poveri voi!) è medico egli stesso, saprà che tutti coloro che hanno frequentato la facoltà di medicina collezionano ed espongono con cura i loro libroni, rilegati in verde e rosso e coi titoli dorati impressi in bella grafia: “Anatomia dell’occhio umano”, “Principi di ginecologia”, “Atlante dell’orecchio interno”, “Semeiotica dell’orecchio esterno” e così via.

Daniela era cresciuta tra quei libri, letteralmente: siccome la casa aveva solo quattro stanze contando il bagno e la cucina, il suo letto era stato incastrato nell’incavo della finestra dello studio del padre. Di giorno, quando Daniela era a scuola, grazie alle premure della madre la stanza assumeva l’aspetto di un sobrio ambulatorio privato. Ma dopo le sei, quando il padre spegneva il computer e chiudeva a chiave le cartelle dei pazienti nel cassetto della scrivania, quell’angolo sotto la finestra diventava il regno di Daniela.

Prima era un oceano tempestoso, dove nuotavano in preda al panico un grosso delfino di peluche e una balena poco cresciuta, così piccola che stava benissimo nella manina di Daniela. Poi era la volta di una classe di una scuola, coi banchi ricavati da tappi di sughero e le sedie fatte con pezzetti di gomma per cancellare. Il momento preferito di Daniela, però, erano le ore in cui tutti dormivano: allora quella stanza era davvero sua, e poteva farvi accadere tutto quello che un solo sguardo di un adulto condiscendente avrebbe istantaneamente rovinato.

Quel mattino era proprio uno di quei momenti. Sentiva che il cuore le batteva più forte del solito mentre, gli occhi ancora appiccicosi di sonno, si dirigeva guardinga verso il grande scaffale di mogano alla parete. Prese in mano il primo libro capitatole davanti e lo aprì, con una certa sicurezza per la sua giovane età, proprio all’ultima pagina.

Vedete, Daniela non era troppo legata a suo padre: era sempre occupato, quasi non si parlavano e lei per questo non riusciva a perdonarlo. C’erano però dei rari momenti in cui Daniela e il Dottor Piedipiatti, entrambi appassionati lettori di libri di medicina, si divertivano insieme: Angelo sceglieva un libro a caso dal grande scaffale e lo apriva verso la fine, dove si trovava (questo Daniela ormai lo sapeva come sapeva allacciarsi le scarpe o scrivere il suo nome) uno strumento incredibile: l’Indice dei Nomi. Questo magico strumento era fondamentale per il loro gioco preferito: Daniela pensava a una parte del corpo – ginocchio, retina, capelli, timpano, lingua e persino i peli del naso – e Angelo, che a quei tempi era ancora molto più veloce a leggere di lei, trovava la pagina corrispondente nel librone e la leggeva ad alta voce, aggiungendovi qua e là una precisazione o un commento per stupire la figlia con la sua erudizione. In effetti Daniela, fin da quando potesse ricordare, l’aveva sempre invidiato per la sua intelligenza, per il suo aver sempre una risposta per tutto e tutti, quando invece a lei non toccava altro che star zitta ed ascoltare.

Quella sera sentì finalmente d’essersi avvicinata alla scaltrezza del genitore: aperto il libro all’ultima pagina, si mise diligentemente a cercare a ritroso la pagina “magica” dell’Indice dei Nomi. Avendola trovata, iniziò a lavorar di testa per trovare la parola che le serviva, “diabete”. Un indice dei nomi funziona un po’ come un dizionario, quindi bisogna cercare in ordine alfabetico: A, B, C, D… Daniela sgranò gli occhi: quante parole con la “D” c’erano in quel librone? Dacriocistite, deiscenza, detumescenza, discromatopsia, distrofia… Un sacco di malattie con nomi strani, ma nessuna traccia di quel “diabete” che le interessava.

Ma Daniela non era tipo da perdersi d’animo. Uno a uno, fece scivolare i grandi libri del padre sul pavimento e si mise a cercare, il ditino cicciotto tutto teso a non farsi scappare neppure una riga. Non ne aveva ancora aperti neppure un terzo, che un rumore di zampette sul parquet la mise in allarme: se Bubu s’era svegliato, tra un attimo si sarebbero alzati anche i suoi genitori!

Fece appena in tempo a rimettere i libri sullo scaffale (tutti alla rinfusa e qualcuno anche al contrario, per la verità) e a infilarsi sotto le coperte, che ecco la testa della mare far capolino dalla porta socchiusa: ‹‹Buon compleanno tesoro! Vieni in cucina, ho una sorpresa per te…››. Daniela sbuffò ad occhi bassi, cercando il più possibile di mascherare la propria delusione. In quel momento la madre le sembrava la sua nemesi perfetta: non solo l’aveva interrotta mentre portava avanti la sua importantissima ricerca, ora voleva anche rimpinzarla di dolci, come ad ogni compleanno!

Entrò in cucina sfoderando un sorriso sdentato, che subito si tramutò in un’espressione di sgomento quando vide la sorpresa in questione: la cucina era ricoperta di neve… anzi, di zucchero filato! Daniela era estasiata dalle abilità della sua mamma, ma allo stesso tempo terrorizzata di avventurarsi in quel mondo bianco e filamentoso: come avrebbe potuto avvicinarsi a Cristopher dopo aver letteralmente fatto una passeggiata nello zucchero?

Se lo stava ancora chiedendo una mezz’ora dopo mentre, ricoperta di zucchero dalla testa ai piedi, si avviava verso la scuola, una treccia in bocca per aumentare la concentrazione. Proprio mentre stava per arrendersi all’evidenza che non avrebbe potuto avvicinarsi a Christopher neppure il giorno del suo compleanno, vide una fontanella di cui aveva dimenticato l’esistenza. Non ci pensò due volte: entrata nella fontana con tutt’e due i piedi, prese a strofinarsi vigorosamente i capelli e il vestito per staccare tutto lo zucchero che v’era rimasto appiccicato.

Il risultato non era eccellente: ora sembrava un pulcino bagnato, e sentiva comunque che in certi punti lo zucchero, al posto che esser lavato via, s’era come incollato ai suoi vestiti creando grossi grumi di melassa che sembravano lumache senza guscio. Non importava: l’orologio della chiesa batteva le otto e mezza, e se Daniela non si fosse sbrigata rischiava che chiamassero sua madre, compromettendo del tutto il suo piano.

Entrò in classe trafelata e fradicia e andò a sedersi subito al suo banco, tra gli sguardi divertiti dei compagni. ‹‹Daniela, ma che ti è successo?››. La sua maestra, Belinda, aveva l’aria così sinceramente preoccupata che Daniela – una studentessa modello, fino a quel giorno – quasi quasi stava per spifferarle tutto. All’ultimo però, incrociando lo sguardo di Christopher dall’altro lato della classe, decise di tener duro: ‹‹Nulla, maestra: avevo caldo e ho deciso di fare un bel bagno nella fontana!››, le rispose Daniela con quel suo sorriso sdentato. A sentire una scusa così ridicola, i compagni iniziarono tutti a ridere convulsamente – soprattutto Christopher, con grande gioia della piccola Daniela.

Le due ore successive passarono lentissime, tanto che Daniela ad un certo punto s’impose di non guardar più l’orologio: temeva che le lancette le stessero giocando un brutto scherzo e che non sarebbe mai arrivata l’ora della ricreazione. Ma la campanella, finalmente, suonò e tutti i bimbi furon lasciati liberi di scorrazzare per i corridoi per la successiva mezz’ora. Come sempre si formarono dei piccoli gruppetti. Christopher non era nel gruppetto di Daniela: gli piacevano i computer, e quindi stava tutto il giorno appiccicato a Mario, il figlio di un avvocato che possedeva, cosa rara a quei tempi, un GameBoy Advanced e i dischetti dei giochi più in voga.

A Daniela Mario era sempre stato antipatico, con quel suo vantarsi sempre e la brutta abitudine di infilarsi le dita nel naso; ma ve l’ho già detto: per amore si fa di tutto, e dunque Daniela si avvicinò a Mario e Christopher, che giocavano silenziosi in un angolo. Era già pronta a mormorare un “ciao” imbarazzato, quando Christopher la anticipò: ‹‹Buon compleanno Daniela!››. Lei rimase un attimo interdetta, farfugliò un grazie e poi, come se quella fosse l’ultima possibilità di parlargli prima d’imbarcarsi per un lungo viaggio, disse: ‹‹Posso farti una domanda? Una domanda veloce, promesso.››, chiese in tono supplichevole. Con sua somma sorpresa, Christopher riconsegnò subito il GameBoy a Mario e avendole risposto che sì, certo, poteva chiedergli quello che voleva, si mise in ascolto sgranando i suoi grandi occhi blu.

Daniela respirò profondamente, gli occhi chiusi in un sommo sforzo di concentrazione. Questa era l’ultima spiaggia. Doveva chiedere a Christopher come aveva fatto a prendere il diabete, senza che per questo lui la prendesse per matta: nei libri non aveva trovato nulla, ed era sempre più impaziente di mettere in atto il suo piano. Con la voce più innocente che sapeva simulare, gli domandò: ‹‹Ma come hai fatto a diventare diabetico?››. Christopher, cui questa domanda la facevano almeno una volta al giorno, le rispose in automatico, un po’ deluso: ‹‹Ah, non so, un giorno è successo e basta››. Daniela insistette: ‹‹Proprio non lo sai? Giuro che non lo dico a nessuno››. ‹‹No, e poi a te cosa ti importa?››, rispose Christopher un po’ seccato››. Daniela era in difficoltà: perchè Christopher si era arrabbiato con lei? In fondo, lei stava solo cercando un modo per piacergli di più, ma il piano iniziava a diventare controproducente.

Tremolada
Era persa in questi pensieri ed altri ancora, quando un vociare più forte del solito la strappò alle sue elucubrazioni. I bambini sembravano attratti da una forza magnetica verso la tromba delle scale, da cui provenivano le grida più acute e penetranti. Incuriosita, Daniela si avvicinò alla ressa. Tempo un paio di minuti, un odore familiare le salì alle narici: limone, cannella, zucchero, ciliegia… oh no! Ci era appena arrivata da sola che eccola là, in tutta la sua imponenza: la famosa Torta di Torte della pasticceria Piedipiatti, celebre in tutto il quartiere. E dietro la Torta di Torte, ansante e sudata ma con un gran sorriso in faccia, c’era la signora Piedipiatti. Daniela era come congelata: che diavolo avrebbe fatto adesso? Non poteva certo esporre Christopher a quel grattacielo di panna e ciliegie! Prese la madre per mano e iniziò a dirottarla verso il quinto piano, sperando di riuscire a farle credere che la sua classe era stata trasferita.

Sulle scale, però, una voce le fece sussultare, tanto che alla mamma di Daniela quasi cascò la Torta di Torte dalle mani. ‹‹Posso averne un pezzettino?››. Daniela non poteva crederci: due gradini sotto di lei, con gli occhi azzurri sgranati in direzione della Torta di Torte, c’era Christopher, quel Christopher! ‹‹Ma che diavolo, sei impazzito? Non puoi stare vicino a tutto questo zucchero!››, disse trafelata, mentre con una mano cercava di spingerlo lontano dal “pericolo”. Uno strattone di qua, uno di là, e non si sa come Daniela finì per aggrapparsi alle gonne di sua mamma, facendola inciampare su Christopher e ruzzolare per una decina di gradini.

La Torta di Torte si librò nell’aria come un pallone aerostatico, salvo poi spiaccicarsi sui tre malcapitati in un’esplosione di pan di spagna, panna, crema, confettini e candeline rosa producendo un bellissimo “Ciac!”, che fece ridere di gusto sia Daniela che Christopher. Vedendo che il suo amico si infilava felicemente in bocca le ciliegie che aveva infilato, come buffi anelli, sulla punta delle dita, Daniela fu un po’ interdetta, e si rivolse alla madre: ‹‹Mamma, Christopher è diabetico e mangia i dolci!››.

Sentendosi chiamato in causa, il bimbo rispose a tono con la bocca ancora piena di Torta di Torte: ‹‹Ferto che fono diabetico, ma i dolci li poffo mangiare! Devo folo usare il mio computer dopo mangiato››, biascicò indicandosi il computerino che teneva agganciato ai calzoni, da cui usciva il tubicino che si infilava in un buco nella pancia, che Daniela aveva ammirato tante volte durante l’ora di nuoto.

Quella notizia fu per Daniela la migliore di quell’anno. Una volta chiarito l’incidente, lei e Christopher andarono subito a giocare col suo computer per diabetici, e neppure la torta andò sprecata: i bambini, sfuggiti al controllo delle maestre, si misero tutti a leccare le scale, i corrimano e le pareti, facendo sparire in quattro e quattr’otto quel che rimaneva della Torta di Torte.

FINE

Elisa Tremolada



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