22 maggio 2020

MILANO DOPO LA TEMPESTA

Mobilità, urbanistica, cultura e sanità per ripartire


Covid-19, come le peggiori tempeste, ha portato alla luce tutti gli acciacchi della nostra barca – Milano. Non bisogna lasciarsi scoraggiare ma prenderla come un’occasione per riparare le falle al meglio e rimettersi in mare più forti di prima.

View of Milan's business disctrict from the high.

Chi ha esperienza di navigazione sa che è la tempesta, soprattutto se improvvisa, che mette in tutta evidenza l’inadeguatezza dell’imbarcazione, le sue insufficienze progettuali e costruttive, e le falle che possono portarla, se non ad affondare, comunque a mancare la meta che si era prefissata. In quei frangenti è giusto rappezzare al meglio e quel tanto che permetta di raggiungere un porto, col minor danno possibile a cose e persone. Ma già in prossimità di quel porto bisogna cominciare subito a fare la “lista della spesa”, ossia a riflettere sugli interventi da eseguire per poter riprendere il mare in sicurezza, consultando architetti navali, meccanici, elettricisti, velai, e chi più ne ha più ne metta. E di sicuro questi esperti chiederanno quale meta si vuol raggiungere, con quale rotta, se di piccolo cabotaggio costiero o di più ambiziose traversate verso nuovi orizzonti.

Fuor di metafora, gran parte del mondo è stato colpito (all’improvviso?) dalla grande tempesta del Covid-19, e Milano risulta tra le città più toccate; essa non è ancora al riparo in un porto sicuro, ma già comincia ad interrogarsi su cosa fare nell’immediato per curare le ferite più evidenti ed evitare che suppurino o non rimarginino più; questa potremmo prenderci l’arbitrio di chiamarla FASE 3, post emergenza acuta, ma pur sempre emergenza delicata e critica.

Poi bisognerà pensare al dopo, al re-design della Milano che vogliamo o vorremmo, che potremmo chiamare FASE 4. A meno che ci stia bene questa Milano, fragile lo si è visto, molto inquinata, e non solo a causa del traffico automobilistico – seppur questo sia giunto a livelli indecenti-, non più tanto competitiva imprenditorialmente, culturalmente poco più che provinciale sia nel settore teatrale (si confrontino le stagioni di prosa e musica, lirica e sinfonica, di Milano, con Parigi, Berlino, Amsterdam, per non parlare di New York, irraggiungibile nei secoli dei secoli, etc.), che in quello delle mostre, dov’è si è dato più peso alla quantità che alla qualità e completezza, causando una sorta di bulimia di mostre. Che poi tanti spettacoli, concerti e mostre abbiano registrato un buon successo di pubblico non smentisce quanto qui affermiamo, ma non vogliamo dilungarci sull’analisi della riposta del pubblico che è molto complessa e meriterebbe essa sola una riflessione a parte.

Per affrontare questo immenso scenario di interventi tattici di breve e medio periodo (FASE 2 e 3) e strategici di lungo periodo (FASE 4) il Sindaco Sala ha lanciato una “operazione di consultazione” attraverso un documento intitolato Milano 2020, per sollecitare suggerimenti dai cittadini, anche se meglio sarebbe stato intitolarlo a Milano 2030, ma adotteremo questo orizzonte temporale, come diciamo qui di seguito.

Innanzi tutto un plauso al Sindaco Sala (di plausi tra l’altro crediamo sia in crisi di astinenza con tutto ciò che ha passato) per non aver adottato quell’enfatico e borioso incedere, condito da balletti scarica barile a go-go, tanto di moda al Palazzo della Regione, ma aver scelto un approccio più modesto e democratico che gli fa meritare l’assoluzione per l’ormai famoso “Milano non si ferma”.

Noi comunque, in risposta alla consultazione lanciata dal Sindaco Sala, lo diciamo subito, ci dedicheremo con spunti propositivi e forse talvolta provocatori esclusivamente alla FASE 4, cercando di immaginare, in modo certamente non esaustivo, quale per noi dovrebbe e potrebbe essere la Milano nel prossimo futuro, prendendo spunto anche dall’attuale disastrosa esperienza della pandemia da Covid-19.

La Milano 2020-2030 che immaginiamo deve avere lo sguardo rivolto oltre le Alpi e non verso il Maghreb, come diceva il vecchio Ugo La Malfa, senza nessuna intenzione denigratoria nei confronti di quell’area nordafricana, anzi nella convinzione che una Milano, e di conseguenza un’Italia di stampo europeo, o meglio ancora Nord europeo, oltre a soddisfare meglio le nostre esigenze di vita possa essere di maggior aiuto ai paesi della costa mediterranea dell’Africa che non l’Italia di oggi.

Una Milano europea, scevra da sterili localismi intrisi di “celodurismi e vaffa”, che ci restituisca l’orgoglio di tradizioni culturali e industriose, che pure esistono nel nostro DNA e si manifestavano abbastanza prima di questa ventata di appiattimento verso il basso della politica, della cultura e dei comportamenti etici e sociali. Si impone un rigurgito di orgoglio, una scossa che lo rimetta in moto e questi recenti eventi pandemici potrebbero esserne il propellente, una sopravvenienza positiva a compensare in parte le macerie che si sono lasciati dietro. Ma l’orgoglio, se è necessario, non è però sufficiente: ci vogliono piani di grande respiro, prima da individuare, poi da condividere e infine da attuare in modo intelligente.

Noi ci permettiamo di indicarne alcuni, per noi fondamentali anche se non unici, accennando alcune linee guida per ciascuno: mobilità, nel senso più ampio della parola; arredo urbano, che comprende edilizia, infrastrutture, e verde; cultura attiva, nel senso di humus per la creazione di cultura, e cultura passiva intesa come allargamento della fruizione culturale; sanità, intesa a monte come “promozione della salute”, e a valle come ristrutturazione della rete di assistenza sanitaria nei suoi diversi step – quest’ultimo punto invero è un tema di competenza regionale, ma l’elevato numero di milanesi morti in questa epidemia e la gestione della stessa non proprio senza macchia da parte della Regione, danno a Milano il diritto e dovere di avanzare proposte di soluzioni e partecipare alla loro implementazione.

Mobilità. Abbiamo già avuto occasione di scrivere in questo giornale che la densità di auto e furgoni in circolazione a Milano giornalmente ha raggiunto limiti insopportabili, circa un milione e duecento mila, parimenti distribuiti tra residenti e pendolari, che oltre all’inquinamento dell’aria per PM10 e gas di scarico generano un altrettanto inaccettabile inquinamento acustico e ottico, intasamento del traffico – con ritardi che si ripercuotono anche sui ritmi di lavoro -, incremento degli incidenti e conseguentemente delle tariffe assicurative, difficoltà di trovare parcheggio da cui auto ovunque, sui marciapiedi, in doppia e terza fila.

Milano non merita questo panorama da città del terzo mondo. Se qualcuno ancora non lo crede si rechi, come ebbi già a consigliare, a Berlino o anche a Parigi e constaterà di persona il basso indice di traffico e di auto parcheggiate nelle strade. Quindi una soluzione esiste, sarà costosa, forse andava adottata tanto tempo addietro, ma esiste, e non va più rinviata.

La prima cosa da fare è disincentivare quanto più possibile l’ingresso delle auto pendolari, offrendo a quegli utenti una valida alternativa di trasporto pubblico; per valida si intende soprattutto alta frequenza delle corse. Poi parcheggi custoditi in periferia nelle località di arrivo delle linee ferroviarie e di autobus provenienti dalle città satelliti. Parallelamente disincentivare il parcheggio libero nelle strade e nelle piazze, dedicando queste ultime a verde pubblico.

Non crediamo allo scaglionamento degli orari di inizio e fine lavoro allo scopo di non creare intasamenti in un breve lasso di tempo, penso possa essere più utile suddividere la città in settori, e realizzare piuttosto lo scaglionamento delle persone dirette ai diversi settori offrendo ad esempio mezzi pendolari ad alta frequenza con direzioni di arrivo differenziate verso diversi settori della città. È assurdo pensare che una persona che arriva a Milano da zona Sempione con il posto di lavoro in zona corso Lodi debba attraversare o circumnavigare tutta Milano, perdendo tempo, partecipando all’intasamento del traffico e inquinando.

Va da sé che vanno parimenti incentivati l’uso delle biciclette, del car-sharing – meglio se basato su auto di piccola dimensione ed elettriche-, cose per altro già in fase di attuazione ma che richiederebbero forse una più spinta politica di incentivazione per accelerarne una piena attuazione.

Edilizia e arredo urbano. L’esigenza della sintesi, non essendo questa la sede per una trattazione tecnica dettagliata, comporta di limitarci all’enunciazione e poco più dei punti cospicui su cui l’Amministrazione dovrebbe concentrare l’attenzione e l’azione: prima di tutto far totale chiarezza sull’origine e la proprietà dei fondi esteri che investono e hanno già in programma di investire a briglia sciolta in mega costruzioni in tutta la città. Imprese immobiliari che operano nell’area di Porta Nuova e che gestiscono per loro diretta dichiarazione fino a 22 fondi di paesi mediorientali (es.: Emirati Arabi Uniti), di cui poco o nulla si sa: chi ha riempito le casse di quei fondi? Con denaro proveniente da dove e da chi?

Sulla questione riguardo altre imprese, già ai blocchi di partenza per le mega speculazioni edilizie nelle aree degli ex scali ferroviari, con risorse provenienti di nuovo da fondi di cui nulla si riesce a sapere, ci ha provato a venirne a capo una testata delle più agguerrite nel giornalismo d’inchiesta, ma senza esito. Non sarebbe bello svegliarsi una mattina e scoprire che la nostra città è per una grande parte di proprietà di personaggi con cui non vorremmo neppure essere soci nello stesso circolo di bocce!

Parallelamente va finalmente affrontato e attivato un vero “piano verde” per la città, dopo la ridicola sceneggiata dell’allora Sindaca Moratti che finse di varare il progetto dei 90.000 alberi chiesto dal Maestro Abbado come condizione per tornare a dirigere alla Scala, e dopo la cancellazione in sordina del progetto dell’architetto Piano anch’esso rivolto al verde all’interno della città.

Esistono elaborazioni, di dettaglio in molti casi, fatte da privati per la messa a verde di piazzette, vie, aiuole, rotonde: basterebbe inglobarle in un progetto armonico con un piano di realizzazione a tempistica certa, finanziandolo con un’operazione di fundraising. Si otterrebbe al contempo il miglioramento estetico della città, il miglioramento della qualità dell’aria e la sottrazione di aree al selvaggio e speculativo parcheggio delle auto, disincentivando l’uso dell’auto stessa.

Cultura attiva e fruizione culturale. Per cultura attiva s’intende la creazione culturale, che è propedeutica allo sviluppo della fruizione della cultura stessa. La creazione culturale necessita di spazi dedicati e “humus”, che può essere positivamente coniugato con la necessità di trovare nuove destinazioni d’uso ad aree pubbliche dismesse, prima che diventino di nuovo preda della speculazione edilizia d’assalto.

A Milano esiste una situazione che potrebbe rispondere in modo eccellente alle due esigenze suddette: il carcere di San Vittore, vetusto edificio che non può più far fronte alle esigenze funzionali di un carcere di un paese civile, di cui non è più sostenibile la ubicazione nel centro della città e che invece ha una conformazione strutturale che potrebbe rispondere meravigliosamente alle esigenze di un centro di formazione e produzione artistico-culturale. I sei bracci in cui si articola la struttura dell’edificio potrebbero essere magistralmente adattati ciascuno ad una branca dell’arte in senso lato: Pittura, Scultura, Musica, Teatro/prosa/poesia, Danza, Cinema, prevedendo in ciascun braccio l’attività didattica, creativa, e di mostra e rappresentazione delle creazioni ivi prodotte. Una fabbrica di cultura, un crogiolo di scoperta e lancio di nuovi artisti.

Sul versante della fruizione della cultura vanno drasticamente rivisitati i programmi di mostre, festival, concerti, e la qualità delle orchestre sinfoniche. Non è sufficiente organizzare molte mostre di pittori e scultori, spesso povere di contenuti di eccellenza (pensiamo alla recente mostra di Canova senza la statua di Paolina Borghese e senza Amore e Psiche!), e poi ancora alla mostra su Caravaggio con un solo quadro del sommo pittore, etc. L’organizzazione di queste mostre va affidata a sommi esperti che oltre alla competenza godano di carisma e contatti a livello internazionale, che gli permettono di ottenere in prestito le migliori opere degli autori a cui è dedicata la mostra.

Milano deve puntare all’eccellenza qualitativa nel settore dell’arte, sul modello di Parigi, Londra, Berlino per non dire New York, dove tra l’altro risiedono le migliori orchestre sinfoniche del mondo. Milano ha tutto per aspirare a quei livelli, anche coinvolgendo la sua ricca borghesia alla riscoperta del mecenatismo di vecchia tradizione.

Sanità. Si è già accennato che questo è ambito di competenza regionale, ma Milano, con il suo alto e triste contributo di decessi causa Covid 19, unito alle falle registrate nella gestione della pandemia da parte della Regione, ha il diritto di esprimere pareri, suggerimenti e di attivarsi per la loro implementazione, in accordo con la Regione, senza rimanere più passiva spettatrice di inadeguatezze disastrose.

E ciò va fatto iniziando dalla rivisitazione dell’ambizioso Piano per la Promozione della Salute, che si doveva tradurre in attenzione alla prevenzione, per restituire attenzione alla salute dei cittadini con conseguente riduzione della spesa sanitaria. Il piano prevedeva la promozione di stili di vita a garanzia del mantenimento di un buono stato di salute che in ultima, ma neanche tanto, istanza doveva creare anche una popolazione meno fragile e vulnerabile anche di fronte ad eventi pandemici.

In parallelo vanno rivisitati i piani strutturali della sanità pubblica, correggendo i tragici piani strategici della premiata ditta Formigoni&Co., che da una parte privilegiava il potenziamento della sanità privata – dedita principalmente alla medicina complessa e più remunerativa -, e dall’altra parte contraeva le potenzialità delle strutture di sanità pubblica (principalmente ospedali), senza nel contempo potenziare con risorse materiali e umane la sanità diffusa e di primo livello: medici di base opportunamente attrezzati, assistenza domiciliare, medicina telematica, pronto soccorsi.

C’è tanto, anzi tantissimo, da fare e fortunatamente poco da inventare, basta la volontà e l’onestà intellettuale, e se queste sono virtù carenti in Regione, la grande Milano con le sue professionalità e le sue tradizionali capacità operative può e deve contribuire a restituire competenza ed efficienza anche in questo settore, magari pretendendo che ai posti di responsabilità siedano persone di provata competenza.

Eduardo Szego



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