10 maggio 2020

BEIC, LA GRANDE BIBLIOTECA CHE NON C’È

Il “dopo” della cultura milanese. Un’occasione per accantonare progetti sbagliati


LA BEIC mai nata realmente è la testimonianza dell’incapacità di condurre in porto progetti importanti in tempi ragionevoli. Anche i progetti invecchiano e rischiano l’obsolescenza ancor prima di nascere.

dibello

Annullato, a causa dell’emergenza Covid-19, l’incontro organizzato per il 28 febbraio 2020 dalla Fondazione Corriere della Sera, dal titolo: “Milano: il futuro in una biblioteca”, che intendeva probabilmente presentare, insieme al nuovo presidente della Fondazione BEIC, Francesco Paolo Tronca, il rinnovato interesse dell’Amministrazione per il progetto.

Speravamo in effetti di essercene liberati e invece, già di fronte all’allarme espresso da alcuni rappresentanti sindacali rispetto a un rischio “collasso” del sistema bibliotecario urbano, l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno aveva rievocato il fantasma della BEIC (Il giorno, 25.11.2019), la grande biblioteca “europea” che per vent’anni ha impedito con la sua sempre rimandata “imminente” realizzazione ogni ammodernamento o anche adattamento funzionale delle biblioteche milanesi alla nuova realtà sociale e biblioteconomica.

Perché, va detto, quello della BEIC, da un punto di vista sociale e biblioteconomico, è un progetto nato vecchio. Il suo perdurare e la sua ennesima riproposizione, anche se in forma ridotta, obbediscono alla regola comune delle grandi opere: gestire l’ordinario attraverso lo straordinario in modo da garantirsi un flusso di risorse che permetta ad Amministrazioni e stakeholder di contare su un canale privilegiato di finanziamento rispetto al progressivo inaridirsi degli usuali collettori di denaro pubblico.

E di denari e risorse la BEIC ne ha già impegnati tanti, con un ritorno modesto costituito da alcune risorse digitali rese accessibili. L’idea della Biblioteca Europea di Informazione e Cultura era stata concepita durante gli anni Novanta da Marcello Dell’Utri e da Antonio Padoa Schioppa per diventare, durante le consiliature Albertini e Moratti, una delle principali voci di spesa per quanto riguarda le consulenze esterne pagate dal Comune di Milano (più di novecentomila euro per il solo anno 2006).

Tutto questo nonostante seri dubbi sulla fattibilità del progetto fossero nati già a partire dalla costituzione e consistenza del patrimonio della BEIC: per quattro milioni e mezzo di monografie e alcune migliaia di titoli di periodici era stato previsto infatti il reperimento ex novo, e non a partire da precedenti patrimoni bibliotecari come per il caso dell’inconfessato modello parigino (la TGB), che più “modestamente” aveva trasferito nella nuova sede una parte delle collezioni prima situate nello storico edificio di rue Richelieu.

Milano conta peraltro circa quattrocento (400!) biblioteche, gestite da enti pubblici e privati, con un patrimonio di quasi undici milioni di monografie, nonché decine di migliaia di titoli di periodici, correnti e non1. È un aspetto che rivela come la collaborazione, invocata per quel che riguarda i finanziamenti, risulti invece inattuabile per gli aspetti gestionali anche quando rispetta il comune buon senso, seguendo principi come la condivisione del patrimonio e la razionalizzazione nel coordinamento del personale. Inattuabile lo è perlomeno tra amministrazioni pubbliche, ingessate da veti sindacali e vincoli burocratici, i quali rendono impossibile, ad esempio, il passaggio di bibliotecari dalle biblioteche civiche alla Nazionale – anche se quest’ultima rischia addirittura la chiusura.

Un precedente per un progetto di biblioteca condivisa, del resto, a Milano c’era già stato, anche se solo per quel che riguarda il materiale audiovisivo: la Mediateca di Santa Teresa in via Moscova, nata da un accordo di programma tra quattro enti promotori: Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano, che hanno contribuito alla realizzazione di un progetto – costato circa sei milioni di euro – col quale si intendeva costituire un centro di consultazione e di aggiornamento di tutto il sapere disponibile in rete e nell’editoria elettronica.

A conferma di quanto precedentemente affermato in merito ai vincoli burocratici, la gestione dell’istituto è rimasta tuttavia in carico alla sola Braidense con personale sempre più scarso e scarsamente formato, finendo con l’avere come principali utenti i diseredati che si avvalgono delle connessioni gratuite a internet.

Risale invece a poco tempo fa la notizia dell’avvio di una collaborazione molto importante tra la Rai e l’Università Cattolica, sancita da un accordo che permetterà nel campus di Milano agli utenti istituzionali dell’Ateneo di consultare il ricchissimo archivio multimediale di Rai Teche (prima fruibili da tutti presso la Mediateca di Santa Teresa ma ora di accesso sempre più problematico e sporadico), grazie ad apposite postazioni presenti nella Mediateca dell’Università.

L’architettura immateriale del wireless ha reso improvvisamente obsolete le grandi strutture architettoniche, laddove non intervengano ragioni di conservazione per il materiale fisico, a favore di servizi sempre più specializzati che richiedono a loro volta la formazione continua di un personale sempre più specializzato. In un intervento del 2017 pubblicato da Arcipelago Milano, Antonio Padoa Schioppa affermava che la realizzazione della Biblioteca europea risolverebbe in pari tempo l’annoso problema di una nuova più moderna Biblioteca civica a Milano, in stretto collegamento con le grandi Biblioteche storiche e universitarie della città […] Là dove una grande biblioteca a libero accesso, una Public Library con libri cartacei e con supporti multimediali e telematici è stata realizzata, il successo di pubblico – studenti e lettori di ogni età – è stato costante e immediato. Si è valutato che la Biblioteca di Milano verrebbe frequentata da oltre 2000 fruitori di ogni età, ogni giorno dell’anno.

A mio avviso con simili affermazioni si sono confusi i termini delle questioni. È vero che Milano avrebbe bisogno di public library moderne, ma di più d’una e nelle dimensioni, orientativamente, dell’attuale biblioteca di via Valvassori Peroni, non di un’unica “cattedrale del deserto”, e questo per due fondamentali ragioni: il concetto di public library è connesso a una comunità di riferimento, tanto da essere da alcuni considerata come un vero e proprio strumento del welfare, da identificare nel caso con i cittadini dei municipi di riferimento. Diciamo allora, per realismo, che sarebbe necessaria una biblioteca adeguata e moderna ogni due municipi. Che Milano abbia avuto uno sviluppo radiale a partire da un unico centro con tutte le conseguenze che ne sono derivate non è infatti una novità ma resta un imprescindibile dato di fatto. E, in questo senso, la BEIC resterebbe per i milanesi la biblioteca della zona 4.

L’idea della biblioteca “europea” non è mai stata tuttavia in primo luogo connessa ai cittadini di Milano, come si ricava dallo studio di fattibilità, il cui riferimento era a un potenziale bacino di utenza costituito da nove milioni di persone, dunque principalmente a un pubblico internazionale di studenti, da sempre i principali fruitori di servizi bibliotecari.

Resta difficilmente comprensibile allora l’attrazione che potrebbe esercitare su una platea così ampia la biblioteca dello Scalo Vittoria dal momento che, a pochi chilometri da Milano, esistono le antiche e prestigiose biblioteche che fanno capo all’Università di Pavia ma anche quelle del sistema bibliotecario urbano di Bergamo, che ha un patrimonio librario di tutto rispetto.

Da dove deriverebbe allora la frequentazione giornaliera prevista da parte di duemila utenti a meno di non chiudere tutte, o almeno alcune, biblioteche universitarie milanesi visto che le due maggiori biblioteche pubbliche (la Braidense e la Sormani) contano quotidianamente solo su alcune decine di visitatori?

Risulta difficile infine individuare chi potrebbe accollarsi le spese di gestione che l’allora ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani aveva quantificato, nell’ambito di un convegno, in una cifra superiore a quella stanziata per tutte le altre biblioteche dello Stato messe insieme. Quand’anche ridimensionato, il progetto per restare “europeo” dovrebbe contare comunque su cifre importanti.

La forma giuridica della Fondazione di diritto privato parrebbe la panacea, almeno da questo punto di vista, per favorire il concorso di capitali privati oltre che per ovviare alle difficoltà di trasformare il personale delle biblioteche in qualcosa di diverso da una sindacalizzata cooperativa di camalli ma anche per razionalizzare una gestione degli appalti che vede spesso l’ente pubblico vittima delle ditte appaltatrici.

Il problema principale resta tuttavia nel fatto che il progetto BEIC è nato vecchio per non avere saputo o voluto fare tesoro del dibattito che ha preceduto e accompagnato il suo modello: la parigina TGB che, come metteva in risalto Marco Fumaroli già quasi trent’anni or sono, era stata pensata come un grande emporio, non solo del libro contemporaneo, ma anche dell’informazione, dell’attualità, degli audiovisivi, delle reti informatiche: una sorta di Torre Eiffel della comunicazione.

Permaneva pur sempre il dato di fatto che una biblioteca non era (e non è) desinata a folle di curiosi, non più almeno di un laboratorio scientifico, ma a minoranze, non definite dal rango, dal privilegio o dal censo, come un tempo, ma dalla vocazione espressa dei loro membri e rispetto alle quali non c’è alcuna ragione specificamente democratica di mescolarle al “turismo intellettuale”. Del resto “Né Tocqueville né Jules Ferry né i fondatori delle Università di Harvard e di Chicago potevano prevedere lenormità alla quale si sarebbe arrivati grazie alleconomia di mercato e alle invenzioni tecniche: la società dei consumi. Il contrappeso che quei repubblicani cercavano nellistruzione, nella scienza storica, nella conoscenza delle forme e dei simboli della tradizione, è molto più indispensabile oggi che alla fine dell’Ottocento2.

Se si vuole far convergere pubblico e privato in una biblioteca “europea”, a Milano essa esiste già, è quella precedentemente menzionata dell’Università Cattolica. A questo punto, se il focus è sulla biblioteca e sullo specifico delle sue attività i termini per un accordo non dovrebbero essere difficili da trovare. Se invece il progetto mira a creare, da un monstrum giuridico, l’ennesima “gallina dalle uova d’oro” per consulenti e ditte finalizzata alla realizzazione di un supermercato degli svaghi, siamo ormai completamente fuori dal tempo.

Alberto Di Bello

Sistema bibliotecario urbano di Milano

1 dati derivati dal Catalogo delle biblioteche d’Italia, Lombardia III, curato dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalla Regione Lombardia

2 M. Fumaroli, Lo Stato culturale. Una religione moderna, Milano, Adelphi, 1996, p. 308



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  1. Cesare MocchiIn che senso alla Sormani ci sarebbero quotidianamente "solo una decina di visitatori"? Frequento la Sormani dai tempi dell'Università, e i visitatori giornalieri erano (sono) centinaia se non migliaia, spesso con code o sale inaccessibili perché troppo piene (frequento meno la Braidense, ma anche lì i visitatori ad occhio mi sembrano ben di più). E perché la BEIC finirebbe per essere solo la biblioteca del Municipio 4? La Sormani è frequentata da studenti di tutta Milano. E anche l'esempio della TGB mi sembra fuori luogo: non è solo per esperti, è anzi aperta a tutti e molto frequentata. Insomma, in grande sintesi le biblioteche non sono affatto solo santuari per esperti, ma anzi grandi catalizzatori di socialità - e non attorno al consumo e al divertimento, ma alla cultura (vedi anche le biblioteche rionali tipo quella del Parco Sempione, Vigentina, Affori, Porta Venezia... tutte piene di gente lì a leggere e incontrarsi). Mi sembra molto bello, perché tanta acrimonia? La Sormani oramai scoppia, perché no allora ad una nuova grande biblioteca a scala urbana e metropolitana, per esperti ma anche per curiosi e apprendisti? Forse il progetto originario della BEIC è superato dalle nuove tecnologie, forse molto può essere fatto con maggiore organizzazione e collaborazione fra le strutture esistenti, forse il Covid ci rinchiuderà per sempre nelle nostre case... ma perché rinunciare anche a un luogo fisico di incontro? E' una bella idea, non è facile e come per tutte le cose belle e difficili ci vorrà tempo. Ma ne varrà la pena.
    13 maggio 2020 • 15:06Rispondi
  2. letiziaUna grande biblioteca cartacea onnicomprensiva serve sostanzialmente solo a chi fa ricerca per mestiere e avrebbe tanto bisogno di trovare "tutto" in un unico luogo aperto 24 ore su 24, o aLMENO 16/24. cosa che avviene in USA, UK e forse altrove. o magari anche a roma, per le biblioteche di istituti culturali stranieri. Ma va ricordato che il "tutto" cartaceo finisce rapidamente per interessare solo chi studia la "storia di" qualsivoglia disciplina. E fornire ex niovo una biblioteca di testi stampati nei secoli pregressi sarebbe costoso e impossibile. Queste necessità si affrontano meglio investendo in campagne di digitalizzazione massiccia e con una legge che imponga agli editori di rendere disponibile contemporaneamente al cartaceo e_book, anche a pagamento, ma privi delle attuali limitazioni d'uso. Per il grande valore sociale, culturale, civile delle biblioteche vanno molto meglio (come osservato sopra) potenziamento delle biblioteche rionali e di municipio di cui vanno potenziati ambienti, orari di apertura e personale
    14 maggio 2020 • 10:59Rispondi
    • Cesare MocchiNon sono tanto d'accordo, mi sembra che sotto sotto si riproponga ci sia sempre l'idea di una biblioteca "alta" solo per esperti e di biblioteche popolari con ruolo sociale. Ma l'idea della commistione, perché non piace? Perché sempre questa idea della cultura elitaria? All'estero non mi sembra che sia così, poi certo gli esperti ci saranno sempre e avranno comportamenti ed esigenze particolari, ma perché questa distinzione anche fisica? Ci farei una riflessione sopra.
      18 maggio 2020 • 17:39
  3. AdrianaSono assolutamente d'accordo con Cesare Mocchi. La biblioteca parigina è una città nella città. Chi ha bisogno di sapere e consultare va lì, in qualsiasi punto della città si trovi. La Sormani è davvero inconsultabile. Code infinite e tempi Infiniti. Forse è vero che il progetto vada aggiornato ma ai tempi la Beic sembrava un sogno. Che poi l'abbiano pensata quando erano sindaci i due citati e che sia costata tanto per nulla e che tuttora in quell'area non esista che un immenso prato, sono fatti che semmai una giunta di sinistra potrebbe cancellare riproponendo un progetto rivisitato in modo più gestibile e onesto.
    14 maggio 2020 • 19:08Rispondi
  4. Stefano PariseGentile Direttore, come direttore dell'Area Biblioteche del Comune di Milano mi corre l'obbligo di informare i suoi lettori che l'estensore dell'articolo ha espresso opinioni personali che nulla hanno a che vedere con le strategie e i progetti del Comune di Milano in ambito bibliotecario.
    15 maggio 2020 • 15:44Rispondi
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