7 maggio 2020

DIETE ALIMENTARI E COVID-19

Cosa vorremmo e cosa dovremmo mangiare dopo questa pandemia


Un’interessante carrellata su dibattito sempre aperto tra onnivori, vegetariani e vegani. Dibattito spesso aspro e con toni da fondamentalismo. Eppure molte delle diete storiche si avvicinano al vegetanesimo e al veganismo. Da domani cosa dovremmo mangiare?

ceriani

Nei primi giorni di aprile, in piena emergenza COVID-19, è stata resa nota la sentenza di un Giudice del Tribunale di Bologna che trova eguali solo in Inghilterra dove la filosofia alimentare Veg da tempo non scandalizza nessuno. Secondo la sentenza del giudice Filippo Palladino, appena pubblicata, “il regime vegano appare determinato da convinzioni di natura filosofica o religiosa che appaiono meritevoli di tutela nell’ambito di ampio riconoscimento del diritto alla libertà di pensiero riconosciuto dalla Costituzione italiana”.

Dunque la scelta vegana non è un semplice rifiuto o peggio un banale capriccio, ma è invece equiparabile a una scelta più alta di natura filosofico – religiosa. Essere vegani significa andare oltre al concetto vegetariano che non prevede carni animali, di terra e d’acqua, ma dà via libera ai suoi derivati come latte, formaggi e uova: è un modello di vita basato su risorse non provenienti dal mondo animale. Non solo il cibo, ma anche vestiti e accessori devono essere animal free.

Non voglio qui dibattere dell’eterno conflitto ‘mangiatori di carne vs mangiatori di vegetali’, la guerra santa tra regime carnico e vegetariano/vegano. Il comune sentire vuole da sempre i primi guerrieri e virili (spargono e mangiano sangue) e i secondi più eterei e contemplativi (non uccidono e dunque non spargono sangue). La carne più che un semplice alimento era, già a far data dall’alto Medioevo, un valore simbolico per eccellenza. Il linguaggio del cibo che ci è stato tramandato vede la carne animale ‘calda e umida’ come un valore di nobiltà e potere. Il nobile, il potente, l’uomo forte, si ciba di carne e mangia molto.

La funzione sociale dell’alimento è più forte del suo valore nutritivo (R. Barthes.)

Non è degno di regnare su di noi chi si accontenta di un pasto vile da pochi soldi. Fu questa la sentenza del vescovo di Metz nell’888, che preferì incoronare Re dei Franchi Eude, nobile parigino, e non il predestinato Guido da Spoleto per via delle sue parche abitudini alimentari.

La dieta vegetariana, e a maggior ragione quella vegana, è più legata ai valori del digiuno e dell’astinenza come mezzo per raggiungere la spiritualità in contrapposizione alla carnalità che la dieta carnica comportava. A differenza del potente che deve mangiare (e bere) molto per esprimere il suo rango, il regime vegetariano è sinonimo di un modello di vita pacifico e spirituale. Mangiare in solitudine era un segno di espiazione. Lasciare la tavola o non frequentarla ancor oggi è atto di disaccordo, protesta ma anche di colpa ed espiazione come per i bambini in punizione, come accadeva ai monaci oggetto di scomunica, allontanati dalla tavola.

I valori della dieta proteica carnica e vegetale possono essere contrapposti anche con le codifiche caldo-umido (declinabile anche in lesso/arrosto) vs freddo-secco. La dieta vegetariana più ascetica spegneva dunque gli umori caldi-umidi legati alle carni perché il cibarsene induce la lussuria. La cultura monastica considerava l’astinenza dalla carne come elemento distintivo e caratterizzante per raggiungere un modello di vita superiore se non santificabile. Resta da definire il ruolo del pesce (carne animale a pieno titolo eletto a cibo monastico) simbolo della dieta quaresimale del monaco, opposta a quella carnica laica.

Tu che hai mangiato carne come un laico, perché ora guardi al pesce come un monaco?

(Montanari, pag. 48)

Il pesce è un cortocircuito dell’interpretazione della carne e del suo ruolo nella filosofia dietetica. Una grammatica filosofica che vedeva contrapposti da un lato cibi ‘innocenti’ come legumi, ortaggi e frutta, dall’altra cibi satanici come carne e insaccati.

Animale – vegetale, una contrapposizione feroce anche sugli acidi grassi per formare e guarnire le pietanze: da un lato lardo e strutto, dall’altra olio extravergine di oliva e semi. Tra l’altro in epoca di pandemia da coronavirus, una dieta light basata più su grassi vegetali, più salutari, consente all’organismo un maggior benessere a vantaggio anche del sistema immunitario (per carità, nessuna dieta anti COVID-19 o per vivere in eterno: solo un pochino meglio).

Carne contro verdure, grassi saturi contro olii mono e poli insaturi: una guerra infinita che presto risulterà datata e finita, grazie ai nuovi alimenti (i famosi future food anticipati da ExpoMilano2015).

Latto-ovo-vegetariani e vegani: due filosofie-religioni a confronto

A mio avviso più interessante è invece discorrere e argomentare delle differenze tra il mondo latto-ovo-vegetariano e quello vegano.

Il regime latto-ovo vegetariano esclude gli alimenti ottenuti mediante il sacrificio di animali, terrestri e marini, ma comprende, oltre ai vegetali, i prodotti derivati animali, come latte, formaggi e prodotti lattiero caseari, il miele e i prodotti di alveare (propoli e pappa reale). Le uova sono consentite (bandite solo nella dieta latto-vegetariana e vegana), ma solo quelle di animali di terra, proibite quelle dei pesci perché per l’estrazione prevedono la morte). Ok anche per alghe, funghi, lieviti e muffe. Nella latto-vegetariana invece, oltre alle uova sono proibiti anche i prodotti da apicoltura e altri alimenti ritenuti impuri per motivi filosofici, come funghi, aglio, cipolla e tartufi.

Il latte è per eccellenza nutriente e cibo totale (opzione vegetariana, ma non vegetale, alla carne). Il suo rifiuto provoca infatti, nella prima età, malessere e dimagrimento, quasi un sortilegio praticato contro la vita. Il latte, fermentando, diventa una sorta di vino bianco analcolico che fermenta e assume lo stato di yogurt, panna acida, kefir: i primi nutraceutici (alimenti a cavallo tra cibo e farmaco) della storia umana.

L’uovo invece risulta essere la proteina di riferimento per il suo elevato contenuto in aminoacidi essenziali (non sintetizzabili dal metabolismo umano), i body builders infatti nelle loro diete iperproteiche fanno incetta di albume d’uovo (più magro e privo di colesterolo rispetto al tuorlo), e questo in barba alla credenza storica che la carne fa sangue e costruisce i muscoli.

Non solo il cibo separa le due filosofie latto-ovo-vegetariana e vegana. I praticanti di quest’ultima non si curano solo della propria dieta ma dello stile di vita nel suo insieme. Nessun vestito, scarpe e accessorio può essere di cuoio e ovviamente di pelliccia animale. Essere vegan (scelta che comprende anche i crudisti e i fruttariani) è quindi una visione più completa e restrittiva del panorama vegetariano.

Nord e Sud Italia diete vegetariane e vegane, ma non chiamatele mediterranee

In Italia una delle zone a maggior vocazione vegetale e vegetariana era quella di Napoli. Il capoluogo campano, prima di divenire terra di mangiamaccheroni, era noto come luogo di mangiafoglie o mangia verdure; in Napoli non si mangia generalmente se non foglie, broccoli e frutti in quantità, senza moderazione (Camporesi, pag. 105).

La famosa dieta mediterranea (aritmeticamente codificata in 55% di carboidrati, 30% di grassi e 15% di proteine) era in realtà, oggi come allora, più un codice dietetico teorico che una vera e propria pratica alimentare, che nessun popolo mediterraneo ha mai realmente conosciuto e attuato nei termini diffusi oggi, con grano e mais al posto dei cereali minori e legumi, latte e uova in sostituzione di carne e pesce. Anche il Nord Italia era contaminato dalle usanze vegetariane e vegane, tanto che uno dei piatti tipici invernali, il minestrone di risi e verdure, poteva essere considerato un’eccellenza botanica per il palato.

I fasoeu de l’oeucc negher (fagioli dall’occhio nero) e il “borlotto” (fagiolo di Spagna) costituivano nuovi alimenti proteici di importazione per la Milano inserita nel “nuovo Mondo” così come pietanze innovative come il ris e tomates. Ricette e piatti di provenienza spagnola, meridionale ed esotica, totalmente estranei alla cultura gastronomica milanese, lombarda e settentrionale. Cultura che imponeva, come alternativa proteica alla carne, nutrienti tradizionali della terra padana come fagioli, ceci, fave, piselli, ma anche carboidrati alternativi come zucche, patate, rape e angurie.

Né ossa, né lische, né radici: la nuova frontiera del cibo

In un futuro molto prossimo (entro il 2030) le filosofie alimentari potrebbero essere sconvolte dall’arrivo di future food come insetti, alghe, funghi-muffe e carne in provetta. Se per insetti, alghe e micoproteine si tratta più che altro di un problema di tradizione-accettazione poiché alghe, insetti e proteine da funghi, che in realtà sono delle muffe, non appartengono certo alla cultura gastronomica dei nostri padri e nonni, per la carne ottenuta in laboratorio la strada sembra essere più facile e semplice.

La carne in provetta è in realtà un gel proteico ottenuto per la prima volta nel 2013 da cellule staminali di manzo. Pochi grammi: per la precisione solo 160 grammi di hamburger ottenuto in laboratorio al prezzo non banale di 250.000 euro. Ma con il manzo la somiglianza era davvero poca: la simil carne risultava un composto bianco e non rosso (colpa dell’assenza di emoglobina) con un sapore neutro, davvero poco invitante.

Ma i ricercatori hanno migliorato il progetto e cambiato il modello di riferimento: non più bistecche di bovino ma di pollo. Oltre a non avere più problemi di colorazione, i nuovi ‘allevamenti’, grazie a strutture biocompatibili di gelatina commestibile, producono in laboratorio proteine animali (aspettiamo la loro commercializzazione per definirle ‘carne’), dotate di una texture (struttura e consistenza) molto più simile alla carne di pollo e coniglio.

E il gusto? Beh, al momento è affidato alle salse di accompagnamento …

La carne di laboratorio, già ribattezzata da alcuni tradizionalisti-diffidenti come la bistecca di Frankenstein, più propriamente coltura di cellule muscolari, non essendo ottenuta da animali morti, ma da cellule di animali vivi non allevati in modo dolorosamente crudele (per dare il via all’allevamento è necessario solo un piccolo prelievo cellulare a livello cutaneo per dare il via a infinite coltivazioni in vitro) mette a disposizione dell’umanità una fonte proteica animale, illimitata e cruelty free.

Una rivoluzione-evoluzione alimentare enorme, assimilabile a quella di Internet, che può risolvere la fame e denutrizione globale, rendendo meno forti e virili i carnivori e meno celesti e ascetici i vegetariani.

È la scienza, bellezza, ma trattandosi di gusto e palato, non a tutti piace.

Marco Ceriani

Materiali:

P. Camporesi Le Vie del Latte, dalla padania alla steppa, Garzanti, 1993
M. Montanari Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, 1988
L. Muleo Il pasto vegano è un diritto, il giudice dà ragione alla maestra, Corriere della Sera 11/03/2020, p. 29



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