3 maggio 2020

NON C’È FUTURO SENZA RICERCA SCIENTIFICA

Ci voleva il Corona virus per capirlo?


Il dramma dei ricercatori tra chi se ne va e chi resta a subire umiliazioni pur di realizzare il suo sogno scientifico. La speranza di un cambiamento che ha un prezzo altissimo: i morti nelle strutture sanitarie e quelli deceduti in casa.

guiso

Oltre a tagliare fondi alla sanità, uno degli errori più gravi che il nostro Paese ha compiuto nel corso del tempo è stato non investire sulla ricerca scientifica. Lo dimostrano i terribili numeri che caratterizzano la pandemia di Coronavirus, contro la quale la medicina non ha (ancora) armi efficaci. I governi che si sono succeduti da vent’anni a questa parte hanno progressivamente messo in ginocchio la ricerca italiana e favorito così la fuga degli scienziati, alcuni dei quali per nostra fortuna hanno trovato opportunità professionali nelle migliori università internazionali e oggi stanno preparando un vaccino contro questo terribile virus che si sta riproducendo molto rapidamente.

Un esempio è il dott. Andrea Gambotto, laureato in medicina all’Università di Bari e poi emigrato negli Stati Uniti, e ora a capo del gruppo che ha preparato un potenziale vaccino contro SARS-CoV2 all’università di Pittsburgh, nello stesso ateneo dove è stato scoperto il primo vaccino antipolio.

Scienziati che, anno dopo anno, scelgono di trasferirsi all’estero per continuare le proprie ricerche, consapevoli del valore delle proprie idee e dell’impossibilità di esercitare in Italia una professione che non è per tutti e che è osteggiata dalla continua mancanza di fondi, dal baronato e dall’indifferenza di numerose generazioni di politici ottusi.

Sono stati proprio gli scienziati italiani a lanciare l’allarme in Italia: senza fondi non esiste ricerca scientifica e senza ricerca la medicina è penalizzata. E sia ben chiaro: la ricerca scientifica non può privarsi della sperimentazione animale perché è solo sugli animali da laboratorio che si possono svolgere gli studi che portano alla scoperta di nuovi farmaci e vaccini. Senza ricerca non c’è progresso nella cura delle malattie oggi incurabili. Gli scienziati lo hanno reso noto attraverso tutti i mezzi di comunicazione, in taluni casi perfino in Parlamento, di fronte a una platea vuota perché ai politici evidentemente l’argomento non interessa.

La fuga di tanti ricercatori all’estero è anche causata dal baronato, ovvero dallo scorretto comportamento dei cosiddetti “baroni” della ricerca, che ostacolano la carriera professionale dei più giovani, soprattutto quando questi giovani sono preparati, mostrano idee innovative e l’ambizione di fare carriera in una professione difficile che richiede impegno, studio, tanto lavoro e dedizione, che è poco retribuita e per diversi anni non prevede contributi previdenziali, ma che offre la possibilità di imparare continuamente cose nuove e di insegnare agli altri le proprie scoperte, di confrontarsi con gruppi di ricerca sparsi in tutto il mondo, di essere stimolati da nuove persone e nuovi concetti.

Una giovane ricercatrice che riponeva grandi speranze nella ricerca italiana e che ha collezionato cocenti delusioni nel suo percorso di dottorato mi ha così confidato: “L’anno scorso mi sono finalmente dottorata in neuroscienze, dopo anni davvero difficili finalmente sono riuscita a chiudere quel capitolo con ottimi risultati. L’esperienza di dottorato è stata davvero difficile da un punto di vista umano e straziante. Dal punto di vista scientifico ho imparato molto, ma diciamo che a conti fatti, il gioco non vale la candela. Purtroppo il mondo della ricerca è pieno di arrivisti e quando chi ti fa le scarpe e si appropria dei tuoi risultati è il tuo capo… ecco che decidi che non ne vale la pena”.

È una realtà che conosco bene poiché mi sono occupata di ricerca scientifica per gran parte della mia vita professionale e ho avuto un capo come quello citato dalla giovane ricercatrice.

Ricordo un‘esperienza di tanti anni fa, quando ero come lei. Era uno studio su un potenziale farmaco, che avevo condotto in prima persona per lungo tempo assumendo l’incarico di organizzarlo, della sperimentazione in vivo, dell’elaborazione dei dati, della stesura dell’articolo scientifico. L’articolo era stato pubblicato su una importante rivista scientifica internazionale, ma il mio nome non risultava né come primo autore, né tra gli autori. Avevo affrontato il mio capo laboratorio per chiedergli spiegazioni e la sua risposta era stata: “C’erano troppi nomi, dovevo sacrificarne uno e ho scelto il tuo”. Non scorderò mai la delusione che mi ha condotto alla stessa conclusione della giovane ricercatrice di oggi. Della scorrettezza del mio capo avrei potuto avvisare il direttore dell’istituto in cui lavoravo, ma chi avrebbe appoggiato? Me, o uno dei suoi dirigenti?

Sono convinta che il nostro Paese debba investire nella ricerca scientifica se vuole progredire, poiché la ricerca è indispensabile per la salute dell’uomo e la medicina dipende della ricerca. Sono anche convinta che i giovani ricercatori vadano sostenuti e incoraggiati a proseguire nel loro percorso professionale. Occorre riconoscere la loro grinta, la disinteressata passione, la tenacia, la freschezza delle loro idee e la nuova visione che offrono delle cose perché spesso sono proprio queste caratteristiche a originare nuove idee.

I ricercatori senior così come i responsabili dei laboratori di ricerca, forti della loro maggiore esperienza e conoscenza, devono permettere ai giovani di poter fare la carriera professionale che meritano.

É arrivato il momento di renderci conto che abbiamo bisogno della ricerca scientifica se vogliamo avere un futuro migliore. É importante riconoscerne l’enorme valore, sostenerla e giudicarla dai fatti e dai risultati, in un reciproco dialogo fondato sulla trasparenza e sul rispetto di chi dedica la propria vita alla cura dei malati.

Giovanna Guiso

 



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