26 aprile 2020

QUEL CHE DOBBIAMO COMBATTERE DOPO IL VIRUS

Un’occasione per scegliere le proprie “battaglie”


Il Coronavirus ha portato sofferenza e morte, ma anche molte rivelazioni sulla natura del sistema socioeconomico che abitiamo e sulla sua sostenibilità, ambientale e morale, a lungo termine. Lasciarci sfuggire l’occasione di aprire gli occhi, e di farli aprire a chi ci circonda, sarebbe un grosso errore.

Foto di Nicolò Maraz

Foto di Nicolò Maraz

1. Dobbiamo combattere uno Stato informatizzato con tecniche modernissime, che non deve poterle usare contro di noi. Si pensi all’ungherese Orban, subito lodato dal nostro Salvini, che ha di fatto stabilito un regime dittatoriale “per combattere meglio il virus”. Il nuovo “capitalismo di sorveglianza”, incarnato da Google, Amazon ecc. si può combattere finchè rimane privato, ma se si allea con lo Stato (ed è facile, gli Stati sono buoni clienti…) diventa molto pericoloso. Quelli al massimo manipolano le nostre scelte di consumo, ma lo Stato eliminerebbe il dissenso e manipolerebbe l’informazione. Anche la solidarietà, bellissimo sentimento se spontaneo, avverrebbe in modo politicamente e fiscalmente pilotato.

I “padri fondatori” americani, fondatori anche di molti principi delle nostre democrazie, esagerarono persino nel garantire i cittadini dai possibili eccessi del potere statale: il diritto americano di possedere armi e girare armati, forse non tutti lo sanno, discende proprio da quel principio.

2. Dobbiamo combattere il rinascente nazionalismo, ammantato ovviamente da forti ragioni “sociali” (l’accostamento del nazionalismo con il socialismo non vi ricorda niente?). Noi siamo “buoni”, i paesi nordici sono “cattivi e egoisti”. Di nuovo Salvini e Meloni ci istruiscono, con un linguaggio molto aggressivo. Sul piano economico, i turbokeynesiani di destra e di sinistra, uniti nella lotta, annuiscono: la spesa in deficit, indispensabile ora, può diventare la nuova regola anche in futuro.

Corollario indispensabile di uno stato forte è poi l’abolizione di ogni potere regionale, che renderebbe meno governabile il Paese, che invece deve essere unito sotto una comune, ferrea volontà e controllo. Certo che le regioni non si sono mosse in modo unitario contro il virus, ma si sono anche imparate cose da questa diversità: Zaia in Veneto ha puntato subito, autonomamente, e con successo, su un amplissimo uso dei tamponi. C’è solo da sperare che altri lo imitino al più presto, soprattutto per gestire la fase di uscita dalla crisi.

3. La concorrenza, secondo chi scrive, è contemporaneamente ciò che rende tollerabile il capitalismo e ciò che lo rende un motore di crescita del benessere collettivo. Ma non piace né agli industriali né ai sindacati: il monopolio, pubblico o privato, è molto più rassicurante. Si è già osservata in questi ultimi anni, più o meno sovranisti, una loro crescente alleanza. La favola di un’Italia neoliberista ha preso piede contro ogni evidenza empirica, come in parte quella delle diseguaglianze. Per la prima favola, basta ricordare che il 45% del PIL transita per mani pubbliche, e siamo tra gli ultimi per libertà di impresa tra i paesi sviluppati.

È vero che le diseguaglianze sono lievemente aumentate, ma il sistema fiscale rimane tra i più progressivi (come confermato dall’indice di Gini che lo misura, che è allineato a quello degli altri paesi europei, ed è cresciuto di molto poco).Padroni e sindacati sarebbe meglio tornassero a parlare di lotta di classe, invece di continuare questo miope e comodo abbraccio sotto gli occhi benevoli della politica. Il termine “consociativismo” ricorda troppo il “corporativismo” di infausta memoria.

4. Ovvio corollario di politiche anticoncorrenziali è la creazione del capitalismo di Stato, con nuovi colossi pubblici tipo IRI, nei quali, sempre per il superiore bene della Patria, nessuno potrà guardar dentro, e saranno fertili pascoli di sottogoverno. Dei dubbi? Alitalia è stata subito pubblicizzata, lo stesso ha fatto il Salvini inglese, Boris Johnson, con le ferrovie, e noi abbiamo subito promulgato norme per proteggere dai cattivi stranieri i nostri asset strategici (cioè quasi tutte le grandi imprese). Ma questa tentazione a creare colossi pubblici era emersa già negli ultimi governi di centrosinistra: il leviatano FSI + ANAS + Alitalia + autobus + metropolitane si è andato potenziando negli anni, senza alcuna giustificazione industriale, avendo contenuti innovativi nulli, ed è diventato davvero una grande potenza politica (tecnicamente questa potenza si chiama “clout”).

Questa blindatura verso l’esterno, ma con gravi conseguenze anche interne, genererà ovviamente comportamenti simmetrici da parte degli altri paesi. Tutti chiusi nelle proprie fortezze, che saranno poi molto difficili da smontare. Chi dispone di tutti i mezzi, decide tutti i fini”, non è uno slogan liberale, è un’ovvia realtà. Un altro Johnson inglese, l’illuminista Benjamin (un po’ migliore di quello prima citato), diceva: Il patriottismo è l’ultimo rifugio dei vigliacchi.

Marco Ponti



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  1. Francesco MolinariTutte preoccupazioni fondate. Il pericolo è il nazionalsocialismo in versione aggiornata. Non si vede ancora la propensione alla guerra, ma in una societa' fatta da concentrazioni corporative ci sarà.
    4 maggio 2020 • 05:29Rispondi
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