15 febbraio 2020

UN NUOVO WELFARE, UN’ECONOMIA PIÙ LIBERA E COESA

Una sfida da non perdere per crescere


PER COMINCIARE: Serve un welfare che prima orienti e promuova (dia dignità). Il contrario è sudditanza illiberale. Per la produttività d’impresa e l’autorealizzazione nel lavoro, direbbe Bruno Trentin. Per la libertà di entrambi. La Flexsecurity non può avere uno stigma sacrificale. Individuiamo il Rischio che scioglierà il groviglio. Candidiamo Milano, Monza e Lodi a fare un test di Politiche attive europee. Elinor Ostrom ci dice come.

bizzotto

Al cuore delle società, c’è l’Economia (impresa e lavoro), intrecciata alle scelte politiche. Ribadisco la mia tesi: se qui miriamo a relazioni più libere, sciolte e collaborative, diventiamo imbattibili e troviamo l’equilibrio. Servono Istituzioni convergenti per la libertà; per uscire da logiche di “Populismo industriale” (crescita e consumi pur che sia; ossessione quantità e costi; inquinamento e precarietà del lavoro). Curare le relazioni e puntare a qualità e sobrietà, all’armonia, articolerà, renderà sostenibile e diffonderà il fare impresa (il bel rischiare su idee e progetti) anche in ambiti ora esclusi: il sociale e la PA, ad esempio. Ripartirà il liberalismo.

Ora, solo l’armonia relazionale d’impresa formerà la cultura di gestione dei rischi indispensabile a reggere quelli in cui siamo (e valutare i pericoli, ed evitare gli azzardi). Accenno ai primi due rischi: trovare, formare e trattenere un capitale umano che concorra a innovare l’offerta, connettere i prodotti ai soggetti e dialogare per competere; gestire i Big data e il Cyber risk (privacy e abuso). E solo questo retroterra ci consentirà di gestire altri, evidenti grandi rischi (o pericoli?) che ci volteggiano sulla testa: la ricerca di base e la bio-tecnica (a chi rispondono?), le pandemie (quali le cause? Come e dove sarà la prossima?) e il climate change (Siberia, Amazzonia e Australia vanno a fuoco: cosa aspettiamo?).

Sì, forse siamo già oltre il Rischio (che è misura, si regge); siamo in Pericolo (non sappiamo, non decidiamo) o Azzardo (dismisura). Rientrare, valutare, decidere, sarà difficile. La Politica è chiamata a cogliere il bandolo della matassa: il rischio che scioglierà il groviglio, che ci darà una misura sostenibile. Qual è? Si parla di dimensione delle aziende: è importante, ma può essere ovviata con forti reti d’imprese. Oppure di formazione dei lavoratori: può essere isolata, slegata da motivazione e soddisfazione? Dove sta, dunque, il bandolo della matassa?

Sta nel delicato intreccio tra due libertà: d’impresa e del lavoro. Sono le fondamenta. La libertà e autorealizzazione della persona nel lavoro è il sofferto lascito di Bruno Trentin (1926–2007, nella foto), segretario Cgil dall’88 al ’94: partigiano e studioso, critico verso la tradizione del lavoro (redistributiva) dei partiti di sinistra; sottostima l’armonia relazionale.

Bizzotto_1Mauro Magatti (Università Cattolica) ha scritto: “Nessuno si salva da solo. Un’economia più avanzata ha bisogno di una società più integrata”. E le imprese? Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda (Milano, Monza e Lodi), ha detto bene nella assemblea 2019: “Costruiamo fondamenta civili ed economiche di un’Italia nuova e più giusta dal basso, tutti insieme”.

Dunque, dobbiamo curare meglio (rendere più armonioso e produttivo) il tessuto umano d’impresa: liberare, integrare e soddisfare; nessun perdente. Come, in sostanza? L’impresa deve poter assumere, organizzarsi e licenziare più facilmente. E il capitale umano (l’Offerta di lavoro) va sostenuto con Politiche attive in tre momenti: le scelte di base (l’Orientamento), la Formazione (aperta a Industry 4.0) e l’Accompagnamento al dialogo con la Domanda delle imprese. Insieme fanno dignità. Si propongano di anticipare, non aspettare le crisi produttive o di relazione. Anticipare traccia la via, costa la metà, libera risorse, scatena la produttività.

Mirare a più libertà d’impresa e insieme all’autorealizzazione del lavoratore (alla reciproca soddisfazione) è innovazione matura. Il re, infatti, è nudo: tre quarti dei lavoratori dipendenti non sono soddisfatti e (credo) viceversa. Inciderà sulla produttività? Se soddisfatti cosa succederà? Se non lo sono, si deve poter cambiare: ci si licenzia, d’amore e d’accordo; l’imprenditore cambia collaboratore e il lavoratore cambia imprenditore.

La relazione di due libertà è il nodo: crescere e cercare accordi veri, coltivare significati e prospettive, dare spazio alla creatività e al bel rischio del conflitto di merito, portare fuori dall’impresa le crisi di mercato e i conflitti di relazione. Significa come prima cosa investire per rafforzare il punto di forza (l’apprezzamento per la novità, la qualità e la bellezza dei nostri prodotti e servizi) e la produttività di sistema, e come seconda cosa abbandonare il Populismo industriale e attrarre investimenti. Perché è chiaro che questi arrivano soprattutto per il capitale umano dipendente e autonomo che trovano. Quello del Nord Milano, ad esempio, è il più qualificato d’Europa, ha detto l’Ocse. Se liberiamo insieme l’impresa e il lavoro, crescerà la fiducia in ogni ambito.

Si può, si deve fare a livello europeo: creare un libero mercato d’Impresa – Lavoro, cioè mettere (per entrambi i soggetti) le Politiche di attivazione e promozione davanti ai sussidi e alle tutele. E orientare il mercato con chiare Politiche fiscali di vantaggio. È un modo per riportare la Politica a rischiare, a essere libera: se non fa scelte, se non rischia, è populista, cioè schiava del consenso. Riformiamo, dunque, le Agenzie preposte. Le AFOL (Agenzia Formazione, Orientamento e Lavoro) di Monza e Milano sono buone basi. Vanno aperte alla partecipazione dei soggetti interessati, a partire da Sindacati e Confindustria, e alla convergenza delle molte iniziative sociali e culturali in campo.

E innoviamo! Un esempio: assicuriamo il lavoro. Chiamiamo l’Assicuratore, che è interessato al lavoro e non alla disoccupazione (al “sinistro”), a fare la sua parte (dare garanzie di reddito). Sarà attivo nell’anticipare i problemi con i suoi “investimenti infrastrutturali prospettici” (un vero asso europeo).

Interpreto così le indicazioni (per la gestione dei beni collettivi) della prima donna Nobel per l’Economia (‘09) Elinor Ostrom (1933–2012, nella foto): unire le forze, creare infrastrutture sociali ad hoc e procedere per gradi (convergere) sulla base di obiettivi condivisi; contaminarsi, arricchirsi. Nella separazione, solo inefficienze e sofferenze.

Bizzotto_2L’idea chiave della Ostrom è la “adattabilità istituzionale come prerequisito per la sopravvivenza e il successo nell’assicurare l’uso di risorse comuni nel lungo periodo”1. Una “alternativa empirica (per il governo delle realtà sociali complesse) basata sulla valorizzazione delle istituzioni collettive (e, dunque, né “pubbliche” né “private”, nel senso voluto dall’armamentario ideologico dei sostenitori dello “stato” e del “mercato”), costruite in maniera incrementale, per tentativi ed errori, da attori pubblici e privati”2, sulla base di scelte strategiche condivise. Dal government alla governance: il potere pubblico si orienta “a fare sistema, a operare in modo condiviso in contesti di incertezza e scarsità di risorse, a relazionarsi piuttosto che a dare ordini, a far fare piuttosto che a fare”. Verso “nuovi paradigmi di processi decisionali inclusivi” per “una amministrazione condivisa”3.

Con quale obiettivo? “Cercare di risolvere i problemi comuni per migliorare nel tempo la propria produttività”4, dice la Ostrom. Per evitare (cita Garrett Hardin, Science, 1968) la “tragedia dei beni collettivi”. E ricorda5 che già Aristotele diceva: “Ciò che è comune alla massima quantità di individui riceve la minima cura. Ognuno pensa principalmente a se stesso, e quasi per nulla all’interesse comune”6.

Si può fare. È nel cuore della cultura europea (è il suo stigma, la sua forza) ed è il vero significato della flexsecurity, che non può avere un valore sacrificale, essere contro il lavoro. Ed è nelle corde della nuova presidente della Commissione (dal primo dicembre 2019) Ursula von der Leyen. Parliamone in Europa e candidiamo Milano, Monza e Lodi a fare un test di Politiche attive avanzate e innovative per la produttività d’impresa e per l’autorealizzazione nel lavoro. Ormai è chiaro: alla libertà e dignità di entrambi – alle loro relazioni – serve un welfare che prima orienti, liberi e promuova, e solo dopo tuteli. Il contrario è sudditanza illiberale.

Francesco Bizzotto

1A. Ristuccia in E. Ostrom (2006), Governare i beni collettivi, ed. Marsilio, Introduzione, p. XVII
2 G. Vetritto e F. Velo in E. Ostrom (2006), Governare i beni collettivi, ed. Marsilio, Introduzione, p. XXIX
3 Idem, p. XXXI
4 E. Ostrom (2006), Governare i beni collettivi, ed. Marsilio, p. 44
5 Idem, p. 13
6 Aristotele, Politico, libro II, cap. 3



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


23 aprile 2024

IL BOOM DELLA DESIGN WEEK

Gabriele Lussu






19 marzo 2024

STRUZZI, SQUALI E AVVOLTOI

Giuseppe Santagostino



5 marzo 2024

MODELLO MILANO DOVE SEI?

Licia Martelli






20 febbraio 2024

URBANISTICA SOTTO INCHIESTA A MILANO

Ugo Targetti


Ultimi commenti