5 marzo 2024

IL PROBLEMA SOCIO-ECONOMICO DELL’ABBANDONO SCOLASTICO

L’Italia registra numeri preoccupanti legati alla qualità dell’istruzione


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Nelson Mandela diceva che “l’istruzione è l’arma più potente da utilizzare per cambiare il mondo”. Investire sulla scuola significa investire sul futuro: garantire una formazione di qualità dovrebbe essere una priorità di ogni Stato. Da questo punto di vista, però, il nostro Paese fa registrare numeri preoccupanti, risultando indietro rispetto al resto d’Europa.

Come spiegato dall’Istat, la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni che ha conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore è pari al 63%, contro una media UE del 79,5%. Numeri negativi anche per quanto riguarda la percentuale di laureati – 20% contro il 34,3 europeo – e quella relativa all’abbandono scolastico, 11,5% contro 9,6%.

Proprio quest’ultimo dato, di cui spesso si parla troppo poco, deve far preoccupare, costringendo a riflessioni politiche, culturali e sociali. La dispersione scolastica rappresenta infatti una sfida significativa nel panorama educativo italiano: il fenomeno registra una delle incidenze più alte d’Europa, con numeri lontani dall’obiettivo del 9% entro il 2030 stabilito dalla UE. A far riflettere è poi il divario tra nord e sud. Se in Lombardia la percentuale di studenti che abbandona la scuola è pari al 9,9% (dati del 2022), la Sicilia raggiunge un picco del 21,1%, seguita da Puglia (17,6) e Campania (16,4).

Il fenomeno riguarda soprattutto maschi e alunni stranieri, nella fascia di età tra i 13 e i 15 anni: il momento più critico è il passaggio tra le medie e le superiori. Nonostante sia un tema complesso, comprendente situazioni diverse tra loro, alla base ci sono spesso motivi socio-economici: povertà (anche culturale) dell’ambiente familiare o del territorio di origine, incertezza delle prospettive occupazionali e carenza di spazi e servizi educativi adeguati. Importante anche la dimensione psicologica degli studenti, spesso alle prese con difficoltà di apprendimento e sensazioni di disagio e inadeguatezza.

Per questi motivi, insegnanti ed esperti del settore sottolineano l’importanza di un approccio più mirato all’integrazione degli alunni vulnerabili e la creazione di contesti coinvolgenti, per un percorso educativo che chiami in causa anche le famiglie.

Il fenomeno della dispersione scolastica, oltre ad avere conseguenze negative sul singolo individuo, si riflette anche sulla società, comportando costi per lo Stato in termini di lavoro e protezione sociale. Non è un caso che la percentuale di NEET (15-29enni che non studiano e non lavorano) nel nostro Paese raggiunga il 18,8%, contro una media UE dell’11,7%.

Secondo il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, per la scuola in Italia “più che spendere poco si è speso male”: la spesa pubblica per l’istruzione rappresenta il 4,1% del Pil, contro una media europea del 4.9%. Il sistema italiano, invece che creare circoli virtuosi, contribuisce a incrementare le disuguaglianze (evidenti soprattutto tra nord e sud), venendo meno alla missione fondamentale della scuola: fornire a tutti le stesse opportunità.

Questi problemi, come detto prima, si riflettono anche sulla società. Un alto numero di ragazzi che lasciano precocemente gli studi implica uno sviluppo economico e sociale limitato. Scarsa formazione vuol dire scarsa capacità di giudizio e scarso senso critico, con problemi anche per la futura classe dirigente. Ecco perché formare in modo adeguato i nostri giovani, investendo sulla loro crescita, deve diventare una priorità della nostra politica. Che ha il compito di garantire gli strumenti per creare cittadine e cittadini consapevoli, che abbiano i mezzi “per cambiare il mondo”.

Gabriele Lussu



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