9 febbraio 2020

INFRASTRUTTURE: LO STATO DEVE IMPARARE A REGOLARE

Una annosa questione che riguarda il futuro del Paese


PER COMINCIARE: Come quasi spesso in Italia il buco sono le manutenzioni e la sorveglianza su chi le fa. Pianificare la manutenzione ma soprattutto osservare i "protocolli" non è né semplice né banale, è fondamentale.

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La vicenda delle autostrade, ma anche quella delle ferrovie Nord affidate dalla Regione Lombardia a se stessa, o quella degli incidenti ferroviari di Lodi e Pioltello, pur non gravi, suggerisce una riflessione sul ruolo dei poteri pubblici nella gestione delle infrastrutture. Lo Stato sembra poco efficiente sia come regolatore di concessionari che come gestore in prima persona (si pensi alla viabilità ordinaria e alla manutenzione del territorio).

Occorre un minimo sindacale di teoria per spiegare il problema: le infrastrutture sono “monopoli naturali” per i quali il libero mercato non può funzionare. Rimangono due alternative: o si affidano in concessione (soprattutto se sono a pedaggio, cioè se rendono soldi) o lo Stato le gestisce direttamente in proprio. Nel primo caso deve poi controllore che il concessionario sia efficiente e non derubi gli utenti o i contribuenti.

La gestione diretta tende storicamente a non funzionare, e questo per solidi motivi: lo Stato, cioè la sfera politica, tende a far prevalere gli obiettivi di consenso su quelli di efficienza. Le gestioni pubbliche tendono ad avere troppo personale, ad essere di manica larga con i fornitori, a non avere incentivi adeguati per produrre innovazioni tecniche ecc.. (Le pur lodevoli eccezioni confermano la regola).

Questi meccanismi sono noti nella letteratura economica con il termine “cattura”.

Rimangono allora le concessioni, e diviene essenziale, di conseguenza, il loro controllo, cioè la funzione pubblica di “regolare”.

La regolazione pubblica a sua volta dovrebbe far capo ad Autorità indipendenti, per evitare la citata “cattura”. Autorità che in Italia esistono (ART per i trasporti), ma per le infrastrutture alcune non sono abbastanza indipendenti e ad altre non sono stati dati poteri sufficienti, qualunque fosse stata la volontà di indipendenza dei responsabili.

Vediamo ora cosa in pratica i regolatori dovrebbero fare, cioè alcuni principi-base, che in Italia sono generalmente ignorati o resi impossibili dalla normativa.

Le concessioni devono durare il minimo tecnicamente possibile (poi la gara va ripetuta), e anche riguardare dimensioni economiche che tecnicamente siano le minori possibili. Questo sempre per minimizzare i rischi di “cattura”: perché Autostrade ha fatto quel che voleva, e la rete ferroviaria di fatto fa quel che vuole? Perché sono realtà economiche con tali dimensioni da poter condizionare pesantemente i loro regolatori. La prima ha il 60% del mercato, la seconda il 90%. Davide e Golia, in questi casi le norme non pesano più della carta su cui sono scritte.

Con queste premesse, vediamo più da vicino il da farsi nel settore delle infrastrutture di trasporto “a rete”, strade e ferrovie. Innanzitutto occorre abolire gradatamente le concessioni autostradali eterne, e dedicate sia alla gestione che alla manutenzione che alle nuove costruzioni. Essendo le autostrade già tutte praticamente ammortizzate con i soldi degli utenti (alcune più volte date le tariffe stratosferiche), il pedaggio è diventato una tassa iniqua ed arbitraria.

Il pedaggio va mantenuto solo in un’ottica di riduzione della congestione (“road pricing”). Questo significa che rimane solo la costruzione di qualche tratta nuova, la manutenzione, e l’esazione dei pedaggi di congestione. Tutte attività da mettere in gara periodica (per la costruzione questo ovviamente succede già nella viabilità ordinaria). Nessun rischio di cattura, bandi modesti e ripetuti nel tempo, e soprattutto omogeneizzazione della pianificazione e della gestione di tutta la rete viaria del paese, oggi assurdamente separate, persino tra strade con caratteristiche tecniche del tutto simili (autostrade e strade statali maggiori). Il controllo, essendo gli attori privati, deve ovviamente essere pubblico. Al limite anche questa funzione può essere affidata a terzi, con gare periodiche internazionali.

La rete ferroviaria è tecnicamente assai più complessa (stazioni, centri merci, energia elettrica, sistemi di controllo della circolazione ferroviaria, rotaie oltre che opere civili).

Oggi è un sistema addirittura verticalmente integrato con i servizi ferroviari, mentre non ce n’è alcun bisogno, anzi. Basta vedere tre esempi chiarissimi: l’Alta Velocità, dove l’avvento della concorrenza ha funzionato benissimo, abbattendo le tariffe, le merci, ormai al 50% private, e il caso tedesco per i servizi pendolari, dove a parità di servizi lo Stato ha risparmiato il 20% mettendoli in gara. Quindi basta seguire questi esempi, e incominciare separando definitivamente servizi e rete ferroviaria.

Per la rete, in un tempo successivo, occorre fare lo stesso: non certo privatizzarla, ma metterne la gestione in gara periodica, non certo in blocco per non perpetuare fenomeni di cattura, ma per esempio per quattro tranches, nord, centro, sud e isole (data la complessità tecnica, bisogna mantenere lotti più consistenti che per le strade). Il Giappone è un ottimo esempio che per certi aspetti si può seguire. E persino un ministro italiano, Padoan, aveva accennato, prima di essere zittito, alla possibilità di una ipotesi simile.

Per i lotti della rete ferroviaria poi il controllo potrà essere pubblico, o in gara anch’esso, come per quella stradale.

Ma questi sono sogni (“pipe dreams”) in Italia, dove la parola “concorrenza” è uscita totalmente dal dibattito politico….Il monopolio, pubblico o privato, piace molto di più, si sta tutti più tranquilli, no?

Marco Ponti



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  1. Cesare MocchiMi sembra ragionevole pensare che mettendo a gara le prestazioni queste siano meno costose e di maggiore qualità. Poi vedo la posa e manutenzione dei lastricati a Milano: un tempo monopolizzati da una cooperativa (che si chiamava credo dei selciatori e posatori), e i lavori erano perfetti; da quando sono messi a gara, i lavori sono un disastro. Come lo spieghiamo? La mia idea (banale) è che sia proprio il controllo da parte dell'ente pubblico a non funzionare, per un motivo banale: è "noioso". Nessuno ha voglia di controllare il lavoro altrui, non c'è gloria né divertimento. Nessuno controlla, e quindi la riduzione dei prezzi viene recuperata nel tracollo della qualità. Questo è il problema.
    12 febbraio 2020 • 07:54Rispondi
  2. Cesare Prevedinicaro Marco, il tuo pezzo dimentica che le concessioni in Italia, esistono da sempre. L’Aiscat, l’Associazione dei Concessionari autostradali esiste dagli anni ‘60. È stato questo sistema finanziario che ha permesso il nostro sviluppo autostradale, che è cominciato addirittura nell’anteguerra con la Milano-Como e la Milano-Torino e l’Autostrada dei Giovi. Poi negli anni le concessionarie di sono estese, in parte private derivanti da società finanziarie come la Centrale e la Bastogi, che hanno costruito la Torino-PIACENZA, la Torino-Savona e la Roma-L’Aquila e altre nell’Italia Centrale , le Autostrade Tirreniche e della Liguria e poi quelle della Val d’Aosta. Le Società del gruppo Centrale-Bastogi, erano azioniste di Società di Ingegneria, l’Alpina e di grandi Imprese di Costruzioni come la Cogefar. La Società Autostrade, era dell’Iri e aveva costruito l’Autosole e poi le autostrade venete. La Società Autostrade possedeva una società di progettazione che è la Spea e le imprese di costruzione dell’IRI, cioè Italstrade e le sue derivate. Tutto il sistema autostradale si è finanziato “sul mercato” con un contributo variabile dello Stato. Il sistema era complesso, perché poi nascevano su iniziative locali anche altre operazioni, dove magari il concessionario era formato da Province e Comuni, come per esempio l’Autostrada della Cisa. Solo le Autostrade del Sud erano escluse, perché sulle stesse non è stato messo il pedaggio, per esempio la Salerno- Reggio Calabria e le Autostrade Siciliane, esclusa la Messina-Palermo andarono all’Anas. È stato un mondo complesso e articolato, che ha avuto negli anni vari attori finanziari. Come tutte le storie poi le Imprese chiudono e falliscono e qualcuno altro le rileva. Oggi la Centrale e la Bastogi, per anni regine della Borsa, non esistono più, come non esistono più le Grandi Imprese, una volta glorie nazionali, come là Lodigiani, la Girola, la Condotte d’ Acqua, le grandi imprese siciliani, Rendo, Graci e Costanzo e mille altre realtà. Le altre Concessionarie private oltre ad Autostrade sono il Gruppo Toto nel Centro Italia e il Gruppo Gavio, che ha la Milano-Torino e altre realtà per più di 1500 Km in Italia e 3000 nel mondo. La Società Autostrade e quelle del Gruppo Centrale erano concentrati di cultura ingegneristica e il sistema sommariamente sopra descritto è stato anche un esempio di efficienza e valore. Perché oggi le concessionarie di siano ridotte a poche non è un caso: oggi i concessionari rimasti sono tre. Il Gruppo Autostrade, che è un public Company quotata in Borsa e che fa parte del gruppo Atlantia, che come noto, ha principale azionista al 30% circa, la società finanziaria della famiglia Benetton. Il gruppo Atlantia è un colosso, che è un leader mondiali nelle concessioni ed è articolata in 11 Paesi, possiede Pavimental, impresa che è l’erede di Italstrade, la Spea Engineering, La Società Autostradale spagnola Abertis Holdco SA, l’Autogrill, gli Areoporti di Roma e altre sciocchezze di questo tipo. Ha un capitale sociale di 700 milioni di €, un fatturato 2018 (nel mondo) di 11 miliardi di Euro e nel medesimo anno ha avuto un utile netto di 818 milioni di €! È presente in 11 Paesi, di cui in Europa, Francia, Italia, Spagna, poi Regno Unito, e nel mondo Argentina, Brasile, Cile, Colombia, INDIA e Portorico.il risultato operativo è, come si vede dai numeri eccellente, avendo un utile netto di percentuali a due cifre. La tua idea di cercare di attuare “concessioni piccole” è al di fuori di ogni realtà e impossibile da attuare. La concentrazione attuale è frutto della realtà economica ed è ormai universalmente realizzata. Io rispetto naturalmente tutte le idee, ma certamente trovo patetico e ridicolo pensare che anche un solo metro delle nostre autostrade possa andare all’Anas, che non ha nessuna struttura si Engineering e nessuna capacità gestionale. L’idea di ritornare a vecchie concessionarie è pure impossibile, perché sono morte lungo il tragitto della storia del Paese. Fare un decommissioning della Società Autostrade vuol dire distruggere una realtà economica brillantissima e consolidata. Vorrebbe dire farsi vera e del male. Io mi terrei orgogliosamente questa realtà, che credo sia in gran parte dovuta al brillantissimo manager che l’ha sviluppata, che è Giovanni Castellucci, recentemente costretto alle dimissioni, un ingegnere che viene dal Boston Group Consulting, una delle più note imprese di consulenza strategica del mondo. Io certamente credo che Autostrade abbia commesso gravi errori nella gestione del ponte Morandi e poi anche nella gestione delle pubbliche relazioni dopo la sciagurata vicenda di due anni fa. Però ricordo a te e a chi mi legge che Autostrade si offrî di ricostruire subito il ponte per poco più di cento milioni e che invece il ponte nuovo, quel ponticciattolo di 12 campate da 50 metri di luce ci viene a costare, senza le demolizioni 250 milioni di €!
    12 febbraio 2020 • 19:35Rispondi
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