26 gennaio 2020

QUARTIERE GIAMBELLINO, CHI NON ASCOLTA I CITTADINI

Un'operazione di riqualificazione calata dall'alto


PER COMINCIARE: Anche questo programma di riqualificazione ha tutti i difetti classici: si incaglia nelle pastoie burocratiche, spesso nasconde finalità poco confessabili ma certamente è frutto di convinzioni scarsamente attinenti alla realtà sociale sottostante.

Pujia

Avevamo già raccontato del Giambellino a giugno 2019, in occasione della sua sagra estiva1. Dopo sei mesi che cosa è successo? Come sta procedendo il più importante piano di riqualificazione di un quartiere di edilizia pubblica avviato in Italia? Il progetto, 100 milioni di euro in gran parte provenienti da fondi europei, è coordinato da Regione Lombardia insieme con il Comune di Milano.

Un programma complesso che comprende la ristrutturazione edilizia di alcuni stabili, il recupero di alloggi sfitti, la ridefinizione dello spazio pubblico urbano, interventi sociali rivolti agli abitanti, la realizzazione di un nuovo polo bibliotecario con un investimento di 6 milioni di euro.

Il piano è inserito in un processo di trasformazione urbana più generale che riguarda la zona. Il quartiere di case popolari è infatti situato accanto allo scalo ferroviario San Cristoforo, a nord dell’area del Vodafone Village e a sud della zona di via Savona ed è attraversato dai lavori di costruzione della linea 4 della Metropolitana. Una zona, inoltre, a cui guardano con interesse anche gli investitori immobiliari: a un convegno organizzato a maggio 2019 da Scenari Immobiliari, Sigest Real Estate dichiarava: “2020-2030. La domanda residenziale non può trovare risposta nella parte più centrale della città. La sfida è realizzare un prodotto «top» al di fuori della 90-91. Gli interventi extra Circonvallazione dovranno cercare nuove identità”.

Nella città di Milano la crescita degli investimenti e dei valori immobiliari va però di pari passo con l’aumento delle diseguaglianze: il 9% della popolazione detiene infatti più di un terzo delle ricchezze ed è in crescita il numero delle famiglie che vive sotto la soglia di povertà. Anche il rapporto 2019 dell’Osservatorio Milano, coordinato dal Centro Studi di Assolombarda, riconosce come l’incremento del costo della vita (21,6 punti percentuali nel triennio 2017-2019) non sia bilanciato da un uguale aumento del salario medio.

E la prima voce di incidenza sul reddito famigliare è proprio l’affitto o la rata del mutuo. Questo comporta che in città avere un lavoro non sia condizione sufficiente per evitare la povertà. Nel quartiere di case popolari Giambellino-Lorenteggio, 2700 alloggi, il 70% delle famiglie ha un reddito che non supera i 15.000 euro di isee-erp. Non è inusuale conoscere famiglie che vivono senza gas e, per alcuni periodi, anche senza elettricità, perché non sono riuscite a pagare le bollette. Il sostegno che viene dato dai Centri Ascolto Caritas delle Parrocchie e dal Ristorante Sociale Ruben in molti casi rappresenta il discrimine tra riuscire a nutrirsi o saltare il pranzo e la cena.

Dal quadro descritto, anche se per pochi sommari elementi, emerge quanto sia cruciale il ruolo che l’Istituzione Pubblica intende assumere nel governare e orientare processi di trasformazione urbana così complessi. Lo “scopo” è permettere una rivalutazione delle aree con conseguente espulsione delle famiglie più povere e dei ceti medio – bassi, assimilando il Giambellino al centro della città? Oppure sperimentare nuove relazioni tra centro e periferia, tra istituzioni pubbliche e abitanti, tra poteri e soggetti diversi in modo da reinventare la città, accogliendo ciò che le persone che vivono al Giambellino potrebbero avere da dire all’altra Milano?

Puja2

Ad oggi, a più di tre anni dall’avvio del progetto, possiamo dire con certezza che non esiste una visione strategica del Piano di Riqualificazione.

I lavori di abbattimento e ricostruzione del caseggiato di via Lorenteggio 181, vuoto da un anno, non sono ancora iniziati. È in corso invece il piano di mobilità degli abitanti del caseggiato di via Manzano 4, un altro stabile coinvolto dal progetto, che a breve sarà quindi vuoto.

I ritardi nei lavori sono stati giustificati dai tecnici di Regione Lombardia con il fatto che si sono resi necessari interventi di bonifica di terreni che non erano stati preventivati e inseriti nel cronoprogramma. Il sospetto, però, che questa modalità di svuotamento degli stabili non sia determinata da eventi fortuiti imprevedibili, ma sia una scelta ben precisa per impedire di coordinare i piani di mobilità degli abitanti con i lavori di ristrutturazione/ricostruzione degli stabili già svuotati e con il conseguente processo di riassegnazione, non sembra essere infondato, Che si voglia, cioè, lasciare che il quartiere perda una parte dei suoi abitanti storici, i quali comprensibilmente scelgono di spostarsi altrove, per decidere come utilizzare e assegnare i nuovi alloggi successivamente.

Non è ancora stato spiegato alla cittadinanza come mai i progetti di ristrutturazione degli stabili previsti dal Masterplan siano stati trasformati in opere di abbattimento e ricostruzione, sebbene questa decisione comporti una perdita di 160 alloggi e una dilatazione dei tempi di realizzazione delle opere. E non è stato neanche presentato alla cittadinanza il piano di accompagnamento sociale, sebbene in estate siano stati inaugurati gli spazi alla presenza degli assessori comunali e regionali. Continua a mancare qualunque dispositivo che faccia interagire le misure previste dall’imponente piano di riqualificazione con le politiche ordinarie di Aler e del Comune.

Il senso del progetto sembra quindi essere rintracciabile solo nei documenti tecnici elaborati dagli uffici di Regione e Comune. Più volte rivisti e modificati, rimangono chiusi a chiave negli archivi, quasi fossero secretati. Finora i responsabili istituzionali hanno preferito diffondere le (poche) informazioni relative al progetto tramite sempre entusiasti comunicati stampa, ripresi da giornali e social network, piuttosto che aprire un vero confronto con il quartiere sulle politiche che hanno creato e ora consolidano l’esclusione e sulle possibili vie d’uscita.

Il Giambellino è così intrappolato nel racconto o del quartiere degradato, pericoloso, assediato da occupanti e morosi, o del quartiere che cerca il riscatto, che ambisce a unirsi al modo di vivere più decoroso del centro. Immagini stereotipate che sono ben lontane dal restituire la complessità del quartiere: delle storie e delle vite che lo animano e lo rendono bello, delle contraddizioni e delle sconfitte, di quanto la violenza delle politiche che producono esclusione, rassegnazione, ghetto, diventi visibile e prenda corpo.

È in questo contesto che l’Assessore regionale Bolognini a novembre si è presentato in via degli Apuli per partecipare a un’iniziativa di pulizia delle facciate di due stabili: “Tutto si è svolto in un clima di amicizia e serenità. Vedere ragazzi, adulti e anziani darsi una mano per ‘ringiovanire’ le facciate delle loro case – ha detto l’assessore – è stato significativo e, per certi aspetti, commovente”2.

Perché le Istituzioni continuano a negare agli abitanti, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni, alle tante organizzazioni e realtà che da anni lavorano in quartiere un confronto vero sui temi del progetto? A chi sta a cuore il Giambellino? I piani di riqualificazione europea prevedono per legge la partecipazione degli abitanti, non devono essere progetti calati dall’alto. Pulire i muri, condividere colazioni, rassicurare attraverso mezzi di informazioni che il progetto procede ed è il migliore dei piani di riqualificazioni possibili non può certo essere una risposta sufficiente.

Ignorare e non ascoltare quanto gli abitanti e le realtà del territorio hanno da dire, escludendoli da ogni vero ambito decisionale; recepire ogni critica, ogni richiamo alla necessità di cambiamento delle politiche che hanno causato il degrado e consolidano il ghetto, come un attacco o una polemica; ridurre l’informazione a qualche sporadica assemblea affollata dai nutriti staff di assessori e politici, più che dagli abitanti, è questa la concezione e la pratica della partecipazione secondo il Modello Milano? Quale relazione c’è tra quanto accade in Giambellino e le politiche cittadine per i quartieri e le periferie?

Chiudiamo ricordando Raffaele Ielpo, caposquadra degli operai che stanno costruendo la linea della Metropolitana 4, morto pochi giorni fa nel cantiere di piazza Tirana, al Giambellino. A lui va il nostro pensiero con la consapevolezza che nessuno deve morire mentre è al lavoro e che la vita umana vale più di ogni investimento o merce.

Veronica Pujia

 



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