16 maggio 2023

UN RICORDO DI LUIGI MAZZA

Un grande indimenticabile urbanista


Imm. Mazza 

Luigi Mazza, professore emerito del Politecnico di Milano recentemente scomparso, è stato una figura importante per l’urbanistica italiana dell’ultimo mezzo secolo e un punto di riferimento per il dibattito disciplinare, culturale e politico sul governo del territorio. Forse potremmo dire che Mazza è stato profondamente radicato nella tradizione dell’urbanistica del nostro Paese, ed insieme ad essa laterale, incarnando una postura e delle posizioni eccentriche, radicalmente innovative e difformi rispetto al pensiero corrente.

La formazione di Luigi Mazza, che si laurea in architettura con Carlo Mollino al Politecnico di Torino, ateneo dove successivamente è stato Preside della Facoltà di Architettura e la sua lunga e intensa frequentazione e collaborazione con Giovanni Astengo mostrano con chiarezza quanto i temi e le ossessioni di Mazza siano profondamente radicate nel dibattito tecnico e politico dell’urbanistica italiana, ma anche nelle concrete pratiche di regolazione e pianificazione del territorio.

Mazza è sempre stato interessato all’urbanistica come azione intenzionale di governo, in una prospettiva riformista che vede nella regolazione degli usi dei suoli non solo un dispositivo di controllo del mercato urbano, ma anche come una pratica redistributiva in una prospettiva di giustizia sociale e spaziale. Da questo punto di vista, Mazza è stato un uomo di sinistra, per quanto sempre lontano dai furori e dalle facili sicurezze dell’ideologia.

Anche per questa ragione, Mazza ha studiato e praticato i piani, attento ai concreti dispositivi tecnici dell’urbanistica e la loro funzionamento, ma anche ai processi di interazione sociale e politica entro la quale essa si colloca e si dispiegano i suoi effetti. È stato progettista di molti piani urbanistici e territoriali (Alessandria, Lecco, Desio, Pinerolo, Gargano), ma anche di progetti urbani (Cogne) e la riflessione sulle esperienze di pianificazione, proprie e altrui, è stata un nutrimento importantissimo per le sue questioni teoriche, su cui ha lavorato in maniera intensa già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso.

D’altra parte, Mazza è stato anche un innovatore, in esplicita rottura con alcuni codici e tradizioni maggioritarie dell’urbanistica italiana.

Fin dall’esperienza ricchissima del Centro di documentazione di architettura, ingegneria civile e pianificazione territoriale, fondato a Milano negli anni ‘60, Mazza ha cercato da una parte di sprovincializzare l’urbanistica italiana, aprendola alle tradizioni e al dibattito internazionale e in particolare anglosassone. In tempi assai diversi da quelli attuali, Mazza invitava con grande energia a osservare studiare autori, esperienze e teorie che avrebbero potuto arricchire un dibattito e una pratica spesso chiuse nei confini domestici.

La grande apertura internazionale di Mazza è testimoniata tra le altre da esperienze quali la fondazione nel 1988, in stretta collaborazione con alcuni dei più eminenti studiosi di matrice anglosassone, e la direzione della rivista Planning Theory; la pubblicazione di un volume fondamentale come Explorations in Planning Theory (1996) curato insieme a Seymour Mandelbaum e a Robert Burchell; ma anche dalla co-curatela della XVII Triennale di Milano (1988) dedicata a “Le città del mondo e il futuro della metropoli”.

Inoltre, pur essendo pienamente concentrato sul “cuore” della disciplina che negli ultimi anni aveva proposto di definire “pianificazione spaziale” e sulla necessità di consolidarne il sapere tecnico e la cumulatività, Mazza ha sempre frequentato, con curiosità ma anche con grande rigore, altri saperi e altre discipline, allo scopo di costruire una “genealogia critica” della pianificazione spaziale che si è nutrita dei testi degli storici e degli antropologi, dei filosofi politici e dei geografi come dei riformatori sociali.

Questa attenzione alla storia e alle lontane radici del pensiero della pianificazione spaziale è motivata per Mazza da alcune ipotesi di lavoro, che hanno accompagnato più o meno esplicitamente, e con varianti anche significative, i suoi testi più importanti, tra i quali vorrei qui ricordare Trasformazioni del piano (Angeli, 1994); la trilogia di raccolte di saggi composta da Progettare gli squilibriPiano, progetti, strategieProve parziali di riforma urbanistica (Angeli, 2004); Spazio e cittadinanza (Donzelli, 2015) tradotto anche in inglese per Rouledge) e il manuale Governo del territorio e pianificazione spaziale, scritto con Luca Gaeta e Umberto Janin nel 2013 e più volte rieditato.

Tra queste ipotesi di lavoro ricordiamo la centralità della dimensione normativa dell’azione di pianificazione e insieme la concezione della pianificazione spaziale come tecnologia istituzionale di regolazione e controllo sociale; l’attenzione alla relazione tra governo del territorio e articolazione dei diritti di cittadinanza, intesi nella loro dimensione spaziale; la necessità di produrre sapere tecnico ma anche la consapevolezza della natura radicalmente politica delle pratiche di pianificazione.

Questi presupposti, approfonditi con grande ricchezza e raffinatezza teorica, anche attraverso un costante dialogo con il suo pantheon eretico (la triade Geddes, Cerdà, Howard, ma anche Buchanan e Abercrombie, Lefebvre e Harvey), hanno accompagnato tanto lo straordinario lavoro come didatta e docente universitario, quanto le esperienze molto importanti di consulenza per le amministrazioni locali, tra le quali vorremmo ricordare la collaborazione con il Comune di Milano alla fine degli anni ’90, poco compresa e avversata da tanta parte della cultura urbanistica italiana sulla base di interpretazioni largamente riduttive delle intenzioni e degli strumenti sperimentati da Mazza.

Pur essendo influente e rispettato, Mazza è sempre stato una voce originale e relativamente isolata nel campo dell’urbanistica italiana. Tuttavia, le sue riflessioni, le esperienze che ha promosso, il suo atteggiamento intellettuale possono ancor oggi essere di nutrimento per la discussione e per il dialogo disciplinare, professionale e civile.

Gabriele Pasqui

 



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  1. Annalisa FerrarioSpiace sapere della morte di Gigi Mazza, persona simpatica, piacevole, colta. Non condivido invece la valutazione sulla sua collaborazione con il Comune di Milano, che tuttora ritengo abbia portato ad esiti infausti, di cui solo ora forse si iniziano a comprendere i profili.
    16 maggio 2023 • 23:20Rispondi
  2. maria cristina gibelliPur nella tristezza di questi momenti in cui ci lasciano per sempre alcuni prestigiosi intellettuali/docenti universitari, non condivido alcune delle considerazioni di Pasqui. Gigi Mazza è stato un intellettuale di grande cultura e fascino, ma anche di grande ambiguità professionale. Se nei suoi scritti era attento agli “aspetti del piano come regolatore degli usi del suolo e come pratica redistributiva” (cito le esatte parole di Pasqui), nella pratica professionale ha operato in direzione opposta e contraria. Non possiamo dimenticarci che, dopo la prima grande prova di deregulation urbanistica legittimata con la parola incantatrice di Technocity (il progetto Bicocca), la seconda è stata quella della ”Città della moda” il cui concorso è stato affidato dall’amministrazione comunale a Gigi Mazza. E così la grande incompiuta del Centro Direzionale – un’area fra le più accessibili e sottoutilizzate nel cuore di Milano, in attesa da decenni di un vero progetto strategico paragonabile a quello ipotizzato dal gruppo AR nel 1945, è stato dedicata alla più effimera grande funzione urbana: la sedicente “città della moda. Gli esiti li conosciamo bene e non meritano commenti… Ma vogliamo, e dobbiamo, invece sottolineare che quel progetto disinvolto ha aperto una autostrada alla deregulation urbanistica più cinica, al predominio incontrastato degli interessi privati su quelli collettivi, a una cuore urbano che ha inesorabilmente e progressivamente espulso le funzioni e i gruppi sociali deboli. La grande mano data da Gigi Mazza all’amministrazione comunale è stata una vera sciagura e non ho perso occasione di rinfacciarglielo: anche se il suo fascino intellettuale era davvero fuori dal comune.
    17 maggio 2023 • 10:27Rispondi
    • Pietro VismaraRicordo anche il brutto documento di inquadramento PII, che ha esteso le medesime logiche a tutta la città. Se oggi Milano è una capitale della rendita fondiaria, il merito (o il demerito, dipende dai punti di vista) un po' è anche suo (e dei politici di centro destra e funzionari conniventi, a cui ha offerto un "cappello" ideologico)
      17 maggio 2023 • 11:31
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