23 gennaio 2020
HAMMAMET
Favino alla miglior interpretazione
Regia di Gianni Amelio
Con Pierfrancesco Favino, Renato Carpentieri
Genere: drammatico, biografico
Produzione: Italia, 2020
Ancora nelle sale, a pochi giorni dal ventennale della morte di Bettino Craxi, la pellicola di Gianni Amelio che ne raffigura gli ultimi mesi di vita. Da subito il principio di fiamma di una “polemica Craxi”, tra sentimenti di condanna o glorificazione, fin troppo usuale modo d’esprimersi dell’opinione pubblica italiana, che vede tutti incerti sull’effettivo valore delle sue azioni.
Bettino Craxi, interpretato da Pierfrancesco Favino (Il traditore, World War Z), corre incontro alla fine nella sua villa di Hammamet in Tunisia, a discrezione latitante o esule politico, dopo lo scandalo che lo vide coinvolto nell’inchiesta Tangentopoli. In rotta di collisione con il passato, tra malattia e recriminazioni, lo seguiamo nel lento dissiparsi della sua volontà di potenza, nei complessi rapporti con la famiglia, succube e bistrattata dal carisma di un padre lontano, ancora nel rapporto con Fausto (Luca Filippi), figlio del segretario amministrativo suicidatosi per le tangenti, prima pieno di rabbia, poi ammaliato da Craxi stesso.
Inevitabili l’accalcarsi di voci e sentimenti contrastanti sul ruolo storico e politico dell’ex Segretario del PSI. Il Ghino di Tacco, come lo definì Scalfari, è per gli italiani tutto malfattore o tutto statista, polarizzato nell’immaginario come capita solo a poche figure, trascese ad icone, prigioniere ad aeternitatem della questione morale. Il suo status pare, dunque, dimenticare il fattore umano. Quello che mischia bene e male, pregi e difetti. Gianni Amelio (Il ladro di bambini), tuttavia, fa eccezione, provando a ricordarsi della penombra umana. Nel modo in cui decide di narrare Bettino Craxi nessuna assoluzione, nessuna condanna. Un uomo politico in tutto il suo essere, certo, ma pur sempre un uomo che rovina verso la fine dei sui giorni.
Ciò nonostante il regista non riesce ad evitare la trappola di questo chiaroscuro craxiano, che lo spinge all’indefinitezza narrativa e al timore forse di esprimersi. Amelio sceglie di non usare nomi nel film, (Craxi sarà sempre chiamato il Presidente, come Di Pietro il Giudice) e di inserire una componente onirica, specialmente nel finale, forse nel tentativo maldestro di sospendere il giudizio nel sogno. Da questo pasticcio lo salva solo l’interprete.
Favino è infatti l’uomo giusto per questo complesso spettro emotivo. Due sono le ragioni: in primo luogo la grande sensibilità di cui si nutre il suo talento attoriale, in secondo luogo il carisma che gli permette di sorreggere il peso del Presidente, così discusso, così storicizzato. Favino conquista la miglior interpretazione della sua carriera fin qui. Magistrale nel dettaglio e nella cura, scioccante nel complesso. Talvolta Craxi pare rivivere, non solo nella plasticità del soma, merito del trucco di Andrea Leanza, ma nell’intimità di persona, inedita all’uditorio politico, così come mostra la scena con l’amante, interpretata da Claudia Gerini.
Se il nostro protagonista non alimenta il minimo dubbio, ciò non si può sempre dire per il film nell’insieme, il quale, come dicevamo, pare reggersi esclusivamente sulle sue capacità, deficitario a livello di narrazione e cointerpreti convincenti. La volontà di dare pellicola a qualcosa di interessante alle volte naufraga, molte di queste volte, proprio per il fattore umano.
Andrea Borsotti
Voto (da 1 a 10): 6
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