19 febbraio 2021

BACH E VACCHI A CONFRONTO

Un meraviglioso video


Come è difficile in questi tempi scrivere di musica. Parliamo tutti, sempre, solo della tristezza di vivere così come stiamo vivendo. Tristezze diverse, ma sempre di tristezza si parla. Cattivo umore, stanchezza di vivere, mancanza di energie vitali, noia esistenziale e chi più ne ha più ne metta. A parte coloro che hanno ragioni obiettive, reali e gravi di sofferenza, c’è chi si lamenta di non poter avere una vita familiare (“Maledetto virus, mi hai insegnato ad avere paura dei miei figli”… scrive Francesco Piccolo sul Corriere della Sera del 31 gennaio scorso), chi si addolora di non vedere gli amici, di non avere rapporti sociali, inviti a cena, aperitivi e cose simili, ad altri mancano i viaggi, i weekend al lago, le gite in montagna e al mare, per non dire dello sci e delle settimane bianche. È tutta una noiosissima lamentela.

viola

Ebbene, confesso che di tutte quelle cose lì posso tranquillamente fare a meno, senza disperarmi, perché il confinamento e le restrizioni ovviamente mi infastidiscono molto ma fortunatamente non si accompagnano a timori ed apprensioni. Quel che mi manca è invece la musica, ed intendo la musica dal vivo, perché dopo non pochi tentativi di sostituire i concerti con i CD, le radio, la televisione, il computer e qualsiasi altro strumento capace di riprodurre suoni, la musica – sì proprio lei, la musica, quella musica! – mi è venuta terribilmente a noia e mi provoca gravi e dolorose crisi di rigetto. Ho totalmente perso la voglia di ascoltarla, meglio il silenzio, privilegio tutto da scoprire, assenza di rumori, di parole, di suoni. Che meraviglia, il silenzio. Ma non sostituisce la musica. Si limita a lenire il dolore della sua mancanza.

Alcuni sorrideranno e penseranno che sia nevrastenico o peggio che sia snob. Ma garantisco che si tratta di uno stato d’animo sincero, spontaneo, istintivo, riconoscibile solo ex post come oggi usa dire. Ho bisogno di concerti e di opere, di musica da camera, sinfonica, lirica, di sentire violini, pianoforti, trombe, soprani, baritoni. Insomma ho bisogno di ascoltare musicisti in carne ed ossa che suonino o cantino o dirigano un’orchestra per me, per tutti noi che stiamo lì ad ascoltarli. Da un anno questo non accade più ed è come se la musica fosse morta, mi chiedo se potrà mai rinascere, se “tutto sarà come prima”, o se invece sta finendo un’epoca e la musica la sentiremo provenire solo da un altoparlante. Sarebbe una tragedia.

* * *

In tutto questo però è capitato che un’amica, non casualmente architetto e violoncellista, mi abbia girato il link di un filmato dal titolo imprescindibile, che non ho potuto fare a meno di aprire e che poi – smentendo tutto ciò che ho scritto fin qui! – mi ha letteralmente rapito. Se volete cimentarvi anche voi, ecco il link: https://youtu.be/0qHltFNXxyY

Si tratta di un concerto – organizzato dalla Società del Quartetto, inserito nel cartellone del festival “Silenzio in sala a tempo di musica”, trasmesso in streaming a sala vuota e registrato il 21 febbraio scorso in Sala Verdi del Conservatorio – in cui il Quartetto di Cremona esegue “L’arte della fuga” di Bach preceduta dal Quartetto per archi n. 6Lettera a Johann Sebastian Bach” di Fabio Vacchi.

Non so perché l’ascolto mi è parso totalmente diverso da quelli “subiti” da un anno a questa parte, tutti ovviamente registrati e da me aborriti. Credo che a far la differenza sia stata la somma di tre circostanze e cioè: (1) quell’opera di Bach, fra le più concettuali e penetranti che sia dato di ascoltare, (2) il Quartetto di Cremona che ha raggiunto livelli tali da essere diventato oggi “il Quartetto” per antonomasia, e (3) la prima esecuzione assoluta di un’opera di Vacchi, evento sempre emozionante. Un insieme del tutto fuori dal comune.

Cominciamo da quel semplice tema in re minore, composto da dodici note ed esposto attraverso tutti i modi di elaborazione consentiti allora dalle regole della Fuga: il movimento diretto, il movimento inverso, il processo di aumentazione e di diminuzione, la derivazione di temi dal tema principale, la mutazione del ritmo o l’ingresso di temi nuovi: una sistematica esplorazione di tutte le possibilità contrappuntistiche di cui Bach era maestro sommo e universalmente riconosciuto. “L’Arte della fuga” sembra fatta apposta per obbligare l’ascoltatore alla concentrazione totale, a penetrare il processo compositivo e a scoprire come si scrive la musica. E tutto questo senza far mancare momenti di grande lirismo.

Poi gli esecutori – Cristiano Gualco e Paolo Andreoli violini, Simone Gramaglia viola e Giovanni Scaglione violoncello – che hanno raggiunto un livello di fusione e di intesa tali da sembrare un solo musicista che con otto mani suona un unico inverosimile strumento!

E infine l’opera di Vacchi, scritta in questi giorni di confinamento, costruita come un serrato dialogo con il tema bachiano del quale continua l’esplorazione, utilizzando il linguaggio attuale senza abbandonare il filo conduttore della sua originale struttura. Questa “Lettera a J. C. Bach” è preziosa proprio per la qualità del confronto – e per l’equilibrio che la permea dalla prima all’ultima nota – fra barocco e contemporaneo.

Forse il fatto che sia una musica tanto concettuale (così poco “fisica” che lo stesso Bach non si preoccupa minimamente di dire su quali e su quanti strumenti vada eseguita!) permette un godimento pieno, cerebrale più che emotivo, ed offre uno spunto straordinario per riflettere sulla evoluzione del linguaggio e sulla perenne contemporaneità della musica (dice Gramaglia nella simpatica introduzione “la musica nasce sempre contemporanea”), sul rapporto fra forma e contenuto, fra diverse tecniche compositive e fra diverse prassi esecutive.

Una grande lezione per tutti gli amanti della musica cosiddetta “colta”, di quella in particolare che va “capita” prima ancora di essere “goduta”.

Paolo Viola



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