11 gennaio 2020

IL GRANDE SONNO DELL’EDILIZIA SCOLASTICA MILANESE

Predicar bene e razzolar male


Gli enti pubblici proprietari di immobili dovrebbero essere i primi ad affrontare il problema dell’inquinamento dell’aria, soprattutto a Milano città che recentemente ha raggiunto un livello di ricchezza che non ammette ritardi negli investimenti. Questo ci dice Giuseppe Santagostino nel suo articolo.

Santagostino

Nella politica del Comune di Milano vi sono vuoti d’iniziative difficilmente spiegabili, specie se posti di fronte a un’emergenza come quella relativa alle emissioni che somma problemi mondiali ben noti a problemi locali altrettanto ben noti: la felice posizione economica di Milano fronteggia un’infelice posizione territoriale, posta com’è al centro di una Pianura scarsamente ventosa che favorisce l’accumulo degli inquinanti.

Il Comune di Milano aderisce a tutte le convenzioni internazionali e quindi i suoi delegati in tali consessi conoscono perfettamente lo stato dell’arte della lotta alle emissioni nei vari altri Paesi aderenti, che non riguardano solo le produzioni industriali, dove il problema della decarbonizzazione è quello principale, ma anche l’inquinamento urbano nella sua maggiore componente che è legata anche qua all’uso dei fossili non rinnovabili e dove le fonti sostitutive poco possono a fronte della politica più incisiva possibile, in altre parole quella della riconversione edilizia del patrimonio abitativo e residenziale.

Ora il Comune conosce, sia pure in modo imperfetto, lo stato dei suoi edifici, siano essi destinati ai servizi, all’uso scolastico o abitativo e conosce anche quanto questi costino per venire condizionati (malino e solo in caldo) essendo in carico al suo bilancio o, fatto ancor più specioso, agli inquilini del suo sgarruppato patrimonio edilizio, vittime predestinate del teleriscaldamento i cui veri vantaggi (concentrazione delle emissioni in pochi e controllati luoghi, recupero dei cascami termici dall’incenerimento dei rifiuti e da altre attività industriali) non si riverberano certamente nei costi applicati e comunque non determinano nessun percorso possibile per una diminuzione assoluta, stante appunto un patrimonio edilizio datato.

Se a ciò si somma che il Sindaco ha avocato a sè la delega ecologica, che il suo Capo di Gabinetto viene dall’Autorità dell’Energia, che la Città Metropolitana ha la delega regionale sul controllo delle emissioni, che una sua partecipata gestisce le Case Popolari di proprietà comunale e che un’altra redige il PAES, ovvero il piano per l’energia sostenibile, dove sono richieste le cose banali sopra riportate e che sono patrimonio comune della Comunità Europea da molti anni, ecco che l’immobilismo assoluto nell’aggredire il problema delle emissioni nel modo militare che sarebbe richiesto dalla situazione, si colora del grigiore diffuso di quelle belle nebbie padane di un tempo, ora in regressione grazie al passaggio a combustibili maggiormente produttivi di NoX e parimenti produttivi di Co2, rispetto ai vecchi combustibili solidi o liquidi che contribuivano ad addensare in modo sostanzioso le molecole di vapore acqueo.

Nel secondo e significativo rimpasto della Giunta Sala, col passaggio dell’edilizia scolastica a Paolo Limonta è messa in luce l’altra faccia dell’immobilismo milanese sul patrimonio edilizio, ovvero quella strutturale e di organizzazione degli spazi (ci metterei pure dentro anche il sottoutilizzo delle strutture scolastiche negli orari post-lezioni): ecco che delega ecologica al Sindaco e focus sull’edilizia scolastica finiscono per raccontare la stessa storia, ovvero che occorra mettere mano all’edilizia scolastica sfruttando quel che è possibile dei piani di finanziamento previsti dallo Stato e ancora in lentissima carburazione, ma soprattutto l’opportunità che il risparmio energetico consente di pagare la sostituzione delle parti principali (tetti, serramenti, facciate, masse radianti, impianti obsoleti, illuminazione) senza tirare fuori un euro, addossando ai privati, dopo articolata e regolare gara, il rifacimento e la gestione energetica delle scuole.

Perché una cosa così banale e semplice non viene fatta dal Comune?

Io non posseggo risposte esatte, salvo rumors che giungono dall’interno, ma è evidente che, come ho suggerito sin qui inascoltato nonostante la semplice chiarezza delle politiche proposte, si devono compiere alcuni passi fondamentali per poter garantire un risultato che abbatta le emissioni cittadine almeno del 50% nei prossimi cinque anni; pochi sono i passi da compiere in modo però deciso e limpido.

  1. Portare il problema delle emissioni legate al riscaldamento degli edifici, alla sua scala di riferimento che è quella metropolitana e conferire a Città Metropolitana non solo il compito di controllare caldaie ma anche quello di stabilire i valori consentiti, quindi andando oltre alle regolamentazioni nazionali o regionali per superare definitivamente l’imbuto rappresentato dalle combustioni fossili incapaci alle tecnologie attuali di produrre maggiori risparmi rispetto allo stato delle cose e aprire la strada alla produzione in pompa di calore.
  2. Istituire presso l’Ufficio del Sindaco un Consiglio Ecologico che raggruppi anche in modo abbastanza informale tutti gli attori pubblici metropolitani (Comune, Città metropolitana, ATO, MM, AMAT, CAP), istituzionali (le Università) e gli stakeholders energetici e edilizi (a partire proprio da A2a) e delineare una politica energetica e di riconversione di tutto il patrimonio edilizio milanese avendo per focus il controllo sui consumi energetici.
  3. Data l’urgenza nazionale e locale del problema, partire proprio dalle Scuole con un programma di riconversione edilizia pagata dal risparmio energetico, magari immaginando anche, proprio grazie a questi risparmi, un diverso e più intenso utilizzo pubblico delle strutture introducendo da subito anche il condizionamento estivo (la prossima emergenza legata al cambiamento climatico): avviare alla luce del sole una stagione di Project sulla falsariga di quanto sta facendo Città Metropolitana.
  4. Avviare definitivamente la stagione delle energie alternative, a Milano principalmente la pompa di calore geotermica, ovvero l’unico modo, assieme al risparmio generato dall’edilizia riconvertita, in grado di abbattere al valore minimo le emissioni per il condizionamento.

Toccasse a me, la cosa sarebbe già fatta ma, per la sfortuna di questa città, così non è e quindi mi limito a far notare come le preoccupate e reiterate dichiarazioni up to date sulla lotta al cambiamento climatico prive però di incisive azioni conseguenti, assomiglino alle lamentele dei mariti sulla scarsa moralità delle mogli fedifraghe attribuendola alla corruzione dei tempi, ma a fronte del perdurare imperterrito delle infedeltà, ti viene il dubbio che detta colpa appartenga invece in gran parte al godimento del tradito, cornuto e contento: non è possibile che il più progredito Comune d’Italia sia ancora assediato senza speranza da emissioni incontrollate se non dalle piogge.

All’alba del 2019 ancora trentasette scuole e strutture pubbliche milanesi, erano ancora alimentate a gasolio e le altre condotte in modo micragnoso grazie ad un appalto mal gestito; così com’è questo Comune non è in grado di mantenere nessun impegno concreto e, conseguentemente, nessuna promessa e quindi raggiungere nessun obiettivo: è giunto il momento di suonare la campanella e chiedere soluzioni concrete, chiare, universali e rapide.

Giuseppe Santagostino



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  1. Tipaldi lucioContinua a farti sentire. La tua voce critica è costruttiva.
    15 gennaio 2020 • 13:10Rispondi
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