7 dicembre 2019

L’ENERGIA DI MILANO: TROPPA NEI CAMINI, POCA NELLA POLITICA

Più ombre che luci nella politica energetica del Comune


Quali sono i veri colpevoli della malsana aria milanese? Un’occhiata superficiale indurrebbe a rispondere: i riscaldamenti e il traffico, vale a dire i cittadini. Giuseppe Santagostino va invece più a fondo, mostrando come l’inquinamento cittadino sia soprattutto frutto di appalti poco trasparenti e di “non politiche” del Comune, che rendono gli edifici – soprattutto quelli popolari – inefficienti, nonostante l’attitudine al risparmio energetico-economico dei milanesi.

Santagostino

Raramente i grandi problemi, sia pur circoscritti, hanno soluzioni semplici, ma ciò non significa che non vadano perseguite tutte le strade possibili: l’accumulo degli inquinanti nell’atmosfera milanese (PM e NOX), unito all’elevata CO2 generata dall’impiego di energia fossile non rinnovabile, è sicuramente legato alla posizione di Milano al centro di una pianura scarsamente ventosa, ma è al contempo indice di un eccessivo utilizzo delle fonti energetiche sbagliate su impianti ed edifici obsoleti.

Quali sono i veri nemici dell’aria. La coscienza del problema è ormai acquisita dalla politica e dal sentire comune e, almeno dal PAES (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile) 2015, sono noti pure i fattori che determinano l’inquinamento milanese sul lato aria dove, in ordine decrescente, troviamo i riscaldamenti degli edifici, il traffico veicolare, le produzioni industriali e da ultimo l’illuminazione sulla cui parte pubblica è già stato operato un grande efficientamento grazie al Project finanziato da A2A che ha di fatto sostituito con i Led tutte le lampade stradali.

Vi è dunque un fattore di inquinamento d’elezione su cui concentrarsi ed avviare politiche drastiche di contenimento, al quale si affianca un inquinante silenzioso, perché non adeguatamente censito, ovvero il raffrescamento che essendo prevalentemente elettrico sfugge alla vista di chi indaga sulle emissioni, ma che contribuisce al bilancio energetico complessivo.

Cosa facciamo in concreto. La domanda sorge spontanea: c’è una politica cittadina per ridurre al minimo gli inquinanti connessi alle varie forme di condizionamento? La risposta è “no”: il Comune, a dispetto dei proclami e della Delega Ecologica assunta dal Sindaco con lo scorso rimpasto di Giunta a valle delle Europee, non mostra di avere una sua politica, non ha un indirizzo chiaro e degli obiettivi da raggiungere certi o, meglio, si è impegnato ad aderire a tutti i protocolli ambientali esistenti a livello internazionale confidando essenzialmente dell’operatività delle leggi nazionali che incentivano le trasformazioni energetiche con gli sgravi fiscali.

Questa è in realtà una non politica, fondata com’è sull’operosità milanese che, a fronte di un evidente vantaggio economico, fa di suo la cosa giusta: quindi gli effetti milanesi di tali scelte originano da decisioni romane e riguardano esclusivamente le parti private. O meglio, sarebbero state incentivanti anche del lato pubblico se non fosse che una ottima legge del Governo Letta, il DL 63/2013, venga sin qui così mal presidiata da Milano e da Regione Lombardia tanto da non avervi visto la possibilità di mettere mano agli edifici più inquinanti oggi presenti in città, ovvero le case popolari.

È dovuto cambiare il CdA di MM per accorgersi di quanto contenuto in questa legge che permetterebbe di mettere mano a tutte le case di edilizia pubblica (e dei buchi milanesi che vi erano contenuti, grazie ad un presidio insufficiente dei parlamentari che non ne avevano compreso allora la portata e svegliandosi solo ora a sei anni di distanza stanno provando a metterci una pezza, trattandosi di operazione che per noi vale 800 mln di riqualificazione delle Periferie). A parziale giustificazione del Comune di Milano c’è da dire che ALER e Regione Lombardia non hanno ancora capito di cosa si trattasse e dormono tuttora il sonno dei giusti.

Per il resto Milano sul fronte della politica è al momento chiacchiere e distintivo, mentre sul lato amministrativo si assiste allo svolgersi di due politiche contrastanti proprio sugli edifici pubblici, dove invece la supposta sonnolenta burocrazia mostra segni di vita, sia pur in direzioni opposte.

Quali obiettivi e quali azioni. Andiamo per gradi: l’inquinamento da condizionamento degli edifici è legato all’impiego prevalente di fonti fossili non rinnovabili; la quantità di queste è direttamente proporzionale all’efficienza energetica degli edifici, delle masse radianti e degli impianti, la quale da ultimo premia o meno la diversa efficienza delle fonti rinnovabili.

Di fatto mettere mano a tetti, involucri, serramenti, masse radianti porta ad un risparmio nella quantità di energia necessaria a condizionare gli ambienti, utilizzando per prima la fonte meno inquinante che esista, ovvero il risparmio, che va a compensare in un periodo più o meno lungo gli investimenti necessari, ed in seconda battuta rende più efficienti e preferibili le fonti alternative con ulteriore beneficio complessivo: che tu sia un privato o un ente pubblico esiste sempre un punto di equilibrio in cui, anche in assenza di benefici fiscali statali, europei o regionali (che pure ci sono) puoi fare la cosa giusta, ovvero smettere di inquinare.

Esiste, evidentemente, un problema finanziario non indifferente perché si deve capire chi può finanziare operazioni di portata ultradecennale: il nostro Codice degli Appalti, a fronte di molte manchevolezze e burocrazie inutili, prevede la possibilità di operare con lo strumento del Project Financing anche in assenza di una precisa programmazione ed oneri a carico del Pubblico se l’assunzione in carico ai privati di tutti i costi di trasformazione avviene a fronte di un canone che non modifichi gli attuali oneri già iscritti a bilancio.

Risparmio, finanziamenti, incentivi fiscali e il ruolo della finanza di progetto. A tutto quanto detto sin qui si aggiunge una forte politica di incentivazione per le trasformazioni energetiche a suon di finanziamenti, sgravi fiscali e contributi a fondo perduto da parte della Comunità Europea e, mediatamente, anche di Regione Lombardia cui Milano incredibilmente non ha mai fatto ricorso, se non per raccattare in modo poco dignitoso alcune briciole.

Nel 2019 si annuncia una svolta ormai improcrastinabile dalle due facce se guardiamo Milano e Città Metropolitana che ovviamente procedono indipendentemente l’una dall’altro (per non parlare degli altri Comuni presi singolarmente che dormono inevitabilmente, mancando una cornice di riferimento): Città Metropolitana (di seguito CM), con un bilancio a dir poco problematico, non avendo che pochissimi soldi per l’ordinaria manutenzione degli edifici scolastici di sua pertinenza si è trovata costretta a fare la cosa giusta: grazie a Fondazione Cariplo che finanzia lo studio di un modello per l’efficientamento degli edifici in Project e integrando fondi regionali disponibili, avvia una gara da 57 mln di euro proprio per la riqualificazione energetica, chiamando a partecipare tutte le aziende operanti sul mercato attraverso una prequalifica e frazionando il tutto in tre lotti aggiudicabili solo a raggruppamenti differenti nei vari lotti.

Il Comune, che ha in scadenza un tragico appalto Consip del 2012 e che ha portato ad un livello infimo la manutenzione degli impianti comunali, farà la stessa cosa?

Nonostante il modello di CM, facilmente replicabile, e senza che alcun rappresentante politico ci metta becco, né il Sindaco con la Delega Ecologica, né l’Assessore con delega sui Lavori Pubblici, né una qualsiasi delle variegate forze che sostengono Sala, pur dotate di forte impronta ecologista, ma soprattutto senza un preliminare confronto con la Città (Enti partecipati, Università e stakeholders) con una decisione in via autocratica la Direzione Impianti in accordo con la Direzione Generale, stanno orientandosi per un’operazione in lotto unico sui 700 impianti affidando lo studio della Finanza di Progetto ai due attuali appaltatori, con successiva gara e diritto di prelazione al proponente (il modello S.Siro per intenderci): questa operazione ha un valore almeno dieci volte superiore a quella di CM ed apre scenari particolari per le politiche del Comune nei prossimi quindici/venticinque anni (ovvero l’orizzonte inevitabile se il Comune insistesse nel non far ricorso ai finanziamenti europei in modo massiccio) nei quali l’Ente non avrà più potestà sui propri edifici avendone affidata la sorte ad un interlocutore unico che, tra l’altro, già oggi è oggetto di un nutrito contenzioso mai approdato a nulla per la banale mancanza di un affidabile inventario iniziale su cui misurare le condizioni di appalto.

Lo stato delle scuole materne, elementari e medie che ogni genitore conosce, testimonia la validità sia dell’appalto che dei controlli.

Due modelli a confronto. Qual è la differenza sostanziale tra i due modelli?

Nel primo di Città Metropolitana le regole e gli obiettivi vengono messi dall’Ente che però preliminarmente ha censito i suoi stabili ipotizzando un risultato virtuoso certo da mettere al centro della gara, nell’altro il privato stabilisce lui questi obiettivi, le strategie e la durata dei contratti, di fatto imponendo il suo modello di Finanza di Progetto, riservandosi pure la prelazione in caso di ribasso nella gara che seguirà.

Finiscono qua le diversità? In un certo senso sì ma l’ultima considerazione, che è relativa alla democrazia economica e al rapporto tra Ente e Città, è che in un Project cadono le barriere al subappalto, oggi previste dai contratti Consip, sicché gli stabili del Comune potrebbero finire così gestiti da un General Contractor che, a seconda del risultato economico della gara, potrà riversare sul mercato il ribasso ultimativo, imponendolo di fatto ai subappaltatori e costringendo questi ultimi a garantire la profittabilità dell’iniziativa (cioè, per garantirsi dei profitti, erodere quelli dei loro subappaltatori): finché si tratta di strangolare russi e arabi per le forniture di combustibili andrebbe anche bene, meno bene invece se ciò capiterà a imprese di costruzioni e impiantistiche, milanesi e non, escluse dalla possibilità di aggiudicazione per la dimensione incongrua del lotto unico e che potrebbero finire a fare gli zerbini mal pagati dei vincitori.

Così in assenza di obiettivi indipendenti stabiliti dall’Ente, in assenza di un logico frazionamento in lotti non aggiudicabili contestualmente per evitare una sorta di monopolio innaturale in un settore di concorrenza, e senza una modalità esportabile al resto della città, ecco che il primo tassello di una possibile politica ecologica del Comune di Milano viene consegnato ad uno strano Partito informale che corre tra gli uffici Comunali ed alcuni operatori di mercato.

I vincoli alle politiche ecologiche imposti dalla burocrazia e non dalla politica. Se a tutto ciò si aggiunge che i passaggi successivi (ovvero la trasformazione degli Edifici di Residenza Pubblica e di quelli privati secondo un programma di riduzione drastica degli inquinanti, come pure lo spostamento dalla combustione alla produzione in pompa di calore su scala urbana attraverso l’uso razionale della risorsa geotermica) farebbero inevitabilmente parte di un disegno che potrebbe essere unitario, moderno e condivisibile, risulta ancor più incomprensibile il silenzio rumoroso dei partiti di maggioranza, cui queste scelte ecologiche e di economia locale farebbero solo onore, e contestualmente quello della Giunta milanese che finisce per delegare la più importante scelta ecologica ad una struttura interna la quale, alla data odierna, non è nemmeno stata capace di inventariare in modo approfondito e successivamente monitorare i propri impianti, figuriamoci governarne la transizione energetica (per conoscenza a MM è stato chiesto il censimento degli impianti pochi mesi orsono, ovvero sei anni dopo l’inizio dell’appalto attuale costato in varianti 5 mln di euro, già erogati).

Non è nemmeno escluso che alla fine, come d’uso in Italia (e Milano non fa eccezione come dimostra la recente sentenza sulla Rete del Gas), arriverà qualcuna delle varie Autorità che presidiano gli appalti, almeno a dirimere gli aspetti più sconcertanti di questa assenza di decisioni alla luce del sole e di procedure discutibili, rimandando sine die la soluzione del problema.

Giuseppe Santagostino
Esperto di sistemi geotermici e idraulici



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