6 dicembre 2019

L’ICTUS E LA MEDICINA DI GENERE

Intervista alla dottoressa Maria Vittoria Calloni


La Medicina di Genere è una disciplina che indaga la diversa efficacia di determinate terapie negli uomini e nelle donne. Per malattie come l’ictus, alcune variazioni possono rivelarsi fatali per la diagnosi e la cura della malattia. Nel giugno 2019 è stato firmato il decreto con cui viene adottato in Italia il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere: un passo necessario, ma non sufficiente.

L’ictus è la prima causa di disabilità permanente ed è un’importante causa di decadimento cognitivo. Si presenta più frequentemente negli anziani, ma non solo. Ha caratteristiche di genere diverse.

Guiso

L’ictus è una malattia cerebrovascolare frequente e grave, le cui conseguenze sono spesso drammatiche e possono protrarsi anche per tutta la vita. Per tale motivo è considerata un’emergenza sanitaria. È possibile prevenirla controllando i fattori di rischio e adottando un sano stile di vita. È possibile curarla intervenendo tempestivamente con una terapia idonea nelle strutture ospedaliere specializzate: il risultato è una notevole riduzione della mortalità e della disabilità.

L’ictus è considerato un problema di salute pubblica per l’elevata incidenza di casi per anno (in Italia circa 200.000 nuovi casi), per gli esiti spesso invalidanti che rendono la persona dipendente da un badante e per l’elevata mortalità (20% nel primo mese, un altro 10% nel primo anno). Il suo costo in fase acuta si aggira intorno a 10-12mila euro, spesa a carico del Servizio Sanitario Nazionale, che aumenta sensibilmente negli anni successivi per l’assistenza e la cura del malato (spesso istituzionalizzato).

L’ictus coglie impreparati due terzi della popolazione poiché la maggior parte dei cittadini non riconosce i possibili sintomi del danno cerebrale.

Riconoscere rapidamente i sintomi di questa malattia induce il malato ad allertare subito il 112 ed evitare così eventuali ritardi che potrebbero pregiudicare la possibilità di essere curati tempestivamente con una terapia idonea.

È importante sapere che, in alcuni casi, l’ictus si presenta con caratteristiche diverse secondo il genere. È altresì importante che i medici abbiano consapevolezza delle differenze associate al genere ovvero delle differenze biologiche, socio-economiche e culturali che influenzano lo stato di salute e di malattia di ogni individuo. Con tale consapevolezza potranno garantire a ogni persona il miglior percorso di diagnosi e cura, così come raccomandato dal Piano socio-sanitario per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, firmato dall’ex Ministro della Salute Giulia Grillo lo scorso giugno.

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Maria Vittoria Calloni, neurologa, già direttore della Stroke Unit, dell’Ospedale di Legnano (Milano).

Dottoressa Calloni, che cos’è l’ictus cerebrale?

L’ictus è definito dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) un’ “improvvisa comparsa di segni e sintomi riferibili a deficit delle funzioni cerebrali focali o generalizzate (coma), di durata superiore a 24 ore, non attribuibile ad altra causa apparente se non a vascolopatia cerebrale”. Può essere ischemico (chiusura di un’arteria per trombosi o embolia) o emorragico (intraparenchimale o subaracnoideo a seguito della rottura di un’arteria). L’ictus ischemico rappresenta la forma più frequente di ictus (80% circa), mentre le emorragie intraparenchimali riguardano il 15%-20% e le emorragie subaracnoidee circa il 3%.

È possibile prevenire l’ictus?

Certamente, attraverso il controllo dei fattori di rischio (pressione arteriosa, colesterolemia, glicemia, fibrillazione atriale), evitando di fumare e consumare alcool (vale a qualsiasi età), adottando un’alimentazione sana ed equilibrata (dieta mediterranea a basso contenuto di sodio e grassi saturi), svolgendo una regolare attività fisica (una passeggiata a passo veloce per almeno 30 minuti, preferibilmente ogni giorno), controllando il peso corporeo.

Come si manifesta?

Si manifesta con la perdita della forza degli arti di un lato del corpo, la riduzione della vista, difficoltà a comprendere il linguaggio o esprimersi, difficoltà a sorridere per deviazione della rima labiale o perdita improvvisa dell’equilibrio con difficoltà a mantenere la stazione eretta e a camminare. Nel caso di emorragia cerebrale, con una violenta e inusuale cefalea.

Cosa fare appena si avvertono i sintomi?

Chiamare subito il 112. In questo modo si attiva il sistema di soccorso, si aumenta la probabilità di una diagnosi precoce e di un adeguato trattamento, e si riduce il rischio di disabilità.

Cosa non fare?

Non si deve perdere tempo! Ad esempio: attendere i familiari (l’ictus è una patologia tempo-dipendente), recarsi autonomamente al Pronto Soccorso, assumere farmaci o altri rimedi casalinghi.

A quali esami è sottoposto il paziente all’arrivo in ospedale?

Gli esami fondamentali sono quelli ematici, elettrocardiogramma (ECG), tomografia assiale computerizzata (TAC encefalo), controllo dei parametri vitali (pressione arteriosa, saturazione di ossigeno, respirazione, temperatura corporea).

Quali terapie sono adottate ed entro quanto tempo dall’insorgenza dei primi sintomi?

Oggi, nell’ictus ischemico, si effettuano terapie atte a disostruire rapidamente l’arteria trombizzata attraverso farmaci fibrinolitici (cioè in grado di “sciogliere” il trombo) o direttamente con procedure meccaniche di disostruzione attraverso cateteri nell’arteria (trombectomia); ciò deve avvenire entro 4.5 ore, e per le procedure endovasali entro 6 ore.

A seguito di un ictus quale percentuale di pazienti rimane disabile in modo irreversibile e reversibile?

Il ministero della Salute stima che circa 1/3 dei pazienti sopravvissuti all’ictus presenta un elevato grado di disabilità (dipendenza), 1/3 presenta un grado moderato che permette di rientrare al proprio domicilio in modo parzialmente autonomo, 1/3 dei pazienti, colpiti in forma lieve, rientra al domicilio in condizioni di autosufficienza.

Quale forma di disabilità è determinata da questa patologia?

In genere, i pazienti presentano deficit neurologici quali emiparesi, deviazione della rima labiale, disturbi del linguaggio (afasia /disartria), disturbi di metà campo visivo (emianopsia), difficoltà e instabilità nel cammino (atassia).

L’ictus ha gli stessi sintomi in entrambi i generi?

In genere, i disturbi sono simili, ma nella donna sono talvolta presenti già nelle prime fasi dell’ictus il dolore, il sopore e la difficoltà a deglutire. Non ci sono sintomi specifici ma qualche caratteristica diversa.

Qual è l’origine biologica della differenza di genere dell’ictus?

Vi sono molte cause nelle differenze di genere: ormonali, genetiche, metaboliche.

L’assunzione di contraccettivi o della terapia ormonale sostitutiva può aumentare il rischio di ictus?

Oggi i preparati estroprogestinici sono farmaci molto sicuri, tuttavia vi è un rischio di ictus aggiuntivo nelle donne fumatrici, ipertese e diabetiche.

Soffrire di emicrania può aumentare il rischio di ictus?

Si, nella forma con aura, specie se associata ad altri fattori di rischio vascolare.

Quali sono i fattori di rischio cerebrovascolare comuni tra i due generi?

Ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete mellito, fumo, sedentarietà, fibrillazione atriale e obesità.

Gli esami diagnostici e le terapie sono le stesse?

Sì.

Hanno uguale successo nel limitare i danni cerebrali?

In genere, si. La terapia trombolitica venosa sembra essere lievemente più efficace nella donna per una forse migliore e più rapida ricanalizzazione del vaso.

I danni possono essere diversi nei due generi?

Spesso nella donna anziana l’ictus è più grave e più esteso e ciò comporta un maggior tasso di istituzionalizzazione rispetto all’uomo.

Qual è il ruolo della Medicina di Genere nell’identificazione dei diversi sintomi?

Aiuta a capire le differenze fisiopatologiche, cliniche e terapeutiche nei due generi al fine di garantire i migliori percorsi di cura nell’uomo e nella donna.

Tra i medici di famiglia è sufficientemente diffusa?

No, purtroppo vi sono ancora scarse conoscenza, cultura e consapevolezza.

E negli ospedali?

Da qualche anno Regione Lombardia ha inserito nel piano sociosanitario lo studio e la divulgazione della Medicina di Genere. I direttori generali si sono attivati nel promuovere corsi, aggiornamenti e percorsi dedicati per il personale sanitario, medico e infermieristico.

Cosa occorre fare per diffonderla ulteriormente?

Studiare la Medicina di Genere già durante il corso di laurea e implementarla negli ambulatori, negli ospedali e nei setting assistenziali e di ricerca.

Giovanna Guiso



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