20 dicembre 2022

CINQUANT’ANNI DOPO “I LIMITI ALLA CRESCITA”

Dennis Meadows* intervistato da Juan Bordera


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Quest’anno ricorre il 50° anniversario della pubblicazione di una delle opere più importanti del XX° secolo: I limiti alla crescita, che già nel 1972 diede un chiaro monito che il pianeta aveva limiti e poco tempo per affrontarli.

La ricorrenza è stata occasione di importanti riflessioni a scala internazionale, ma pressoché ignorata in Italia. Sembra utile quindi riproporre l’intervista a Dennis Meadows, uno dei principali autori, pubblicata su Monthly Review dell’8.10.2022.

Juan Bodera: Sono passati 50 anni dalla pubblicazione del libro e lo scenario standard di World3, che la crescita si sarebbe fermata intorno al 2020, è molto simile alla realtà.

È quello che stiamo iniziando a vedere ora?

Dennis Meadows: Non abbiamo fatto previsioni, abbiamo detto che è impossibile “prevedere” accuratamente qualsiasi cosa in cui il comportamento umano è un fattore. Quello che abbiamo fatto è modellare 12 scenari coerenti con le regole fisiche e sociali. 12 possibili futuri. Uno di questi, lo scenario “standard”, come noto, mostrava che la crescita si sarebbe arrestata intorno al 2020. Quindi tutte le variabili (produzione industriale, produzione alimentare, ecc.) avrebbero raggiunto il picco e in circa 15 anni avrebbero iniziato a diminuire inesorabilmente.

Assomiglia a quello che stiamo vivendo? Direi di si. Il mondo sta mostrando sempre più le conseguenze di uno scontro con i limiti.

Quello di cui ci siamo presi molta cura, già nel 1972, è stato di chiarire che dopo il picco di qualsiasi variabile tutto diventa ancora più imprevedibile, in quanto entrano in gioco fattori che potrebbero non essere rappresentati nel nostro modello. A questo punto è ovvio che saremo guidati più da fattori psicologici, sociali e politici che da costrizioni fisiche.

JB: Hai chiamato il cambiamento climatico “un sintomo”, di cosa sarebbe esattamente un sintomo? Puoi per favore spiegarlo.

DM: È essenziale riconoscere che il cambiamento climatico, l’inflazione, la scarsità di cibo a volte sono visti come singoli problemi, ma in realtà sono sintomi di un problema più grande.

Così come un mal di testa persistente a volte può essere sintomo di cancro, molte difficoltà attuali sono sintomi di livelli di consumo materiale che sono cresciuti oltre i limiti del pianeta. Ovviamente i sintomi sono importanti. Un mal di testa merita una risposta. Tuttavia, un’aspirina può far sentire temporaneamente meglio il paziente, ma non risolve il problema sottostante. Deve essere trattata la crescita incontrollata delle cellule tumorali nel corpo.

Non puoi sostenere la crescita affrontando i problemi uno per uno. Anche se dovessimo risolvere il cambiamento climatico, continuando a crescere incontreremmo un problema successivo, che si tratti di carenza di acqua, cibo o altre risorse cruciali. La crescita si fermerà, per un motivo o per l’altro.

 

JB: Il mito del progresso, che la tecnologia verrà sempre in soccorso (Idrogeno, Cattura & Stoccaggio del Carbonio …), è una delle idee più paralizzanti per affrontare il vero problema (che la decrescita è inevitabile), perciò quello di cui abbiamo bisogno è una cultura, un cambiamento morale ed etico?

DM: Sì, sono d’accordo, quello era uno dei punti cruciali del nostro lavoro già 50 anni fa. Idealmente, la tecnologia può darti più tempo, ma non risolverà il problema. Può darti l’opportunità di apportare i cambiamenti politici e sociali che sono necessari. Ma finché si avrà un sistema che si affida alla crescita per risolvere ogni problema, la tecnologia non potrà impedire il superamento di molti limiti cruciali, come stiamo già vedendo.

JB: Nonostante l’enorme utilità e importanza del tuo lavoro, tu ed i tuoi colleghi siete stati molto criticati. Questo continua ad accadere a chiunque esca dal discorso dominante del “pio desiderio”. C’è una sorta di impossibilità sociale di parlare di certe questioni perché per la maggior parte delle persone diventi il catastrofista, l’amaro pessimista?

DM: Eravamo molto ingenui negli anni ’70, quando lanciammo il libro. Eravamo scienziati, e avevamo l’impressione che usando il metodo scientifico avremmo prodotto dati indiscutibili, e se li avessimo mostrati alla gente, allora questo sarebbe stato sufficiente per portare un cambiamento nella prospettiva e nelle azioni delle persone. Questo è stato ed è a dir poco ingenuo.

Ci sono due modi per affrontare queste situazioni: in uno, il modo scientifico, raccogli i dati e poi decidi quali conclusioni sono coerenti con i dati. Nell’altro, molto comune, decidi quali conclusioni sono importanti e cerchi dati che si adattino e supportino le tue “conclusioni”.

Questo è ciò che accade con i negazionisti del clima, per esempio.

Non ho cercato di vincere i dibattiti con queste persone, se qualcuno viene da me con rabbia e mi accusa di “qualunque cosa”, dico semplicemente: spero che tu abbia ragione. E vado avanti.

JB: I sistemi, le aziende, le persone, di solito combattono per la propria autoconservazione, spesso sulla base di visioni a breve termine che non consentono alla società di andare avanti a lungo termine. Come combattere queste inerzie e abitudini?

DM: L’unico modo per farcela è allargare l’orizzonte temporale, ma non solo nel tempo, ma anche nello spazio. E quindi vedere i potenziali costi e benefici in prospettiva. Un esempio: la pandemia e la gestione nel mio paese [USA] è stata dolorosa, molto miope. Se non estendi i vaccini a tutto lo spazio, non sono così utili.

Come si estende il lasso di tempo? Con le prossime generazioni. La maggior parte delle persone ha preoccupazioni legittime e genuine per il futuro dei propri figli, nipoti, pronipoti.

JB: In Spagna ultimamente stiamo avendo buone notizie sulla decrescita: la prima assemblea dei cittadini per il clima ha scelto tra le sue 172 misure la necessità di educare alla decrescita, diversi partiti politici -tra cui il ministro dei consumi- si sono pronunciati a favore, aprendo questo inevitabile dibattito. L’IPCC include sempre più questa parola nei suoi rapporti. Siamo più vicini a un Tipping Point sociale -come dice di solito Timothy Lenton, o dovremo aspettare che le crisi diventino ancora più evidenti per reagire?

DM: La risposta ad entrambe le domande è: sì. Siamo più vicini a un punto di svolta sociale positivo, ma d’altra parte temo che dovremo aspettare che le crisi diventino ancora più evidenti per reagire. Ed è anche peggio: se avessero descritto la nostra situazione attuale, diciamo, nel 2000, avremmo preso consapevolezza di essere già una crisi catastrofica. Siamo la rana stracotta che non salta fuori dalla pentola. Purtroppo penso che questa sia la nostra situazione.

JB: Secondo il modello HANDY (Human And Nature Dynamics), un parametro fondamentale della causa dei collassi è la disuguaglianza, che aumenta parallelamente alla mancanza di fiducia tra pari. Il design del nostro sistema economico fa sì che entrambi aumentino ogni anno. E rende impossibile l’adeguamento ai limiti, perché l’élite – che di solito è distaccata dalla realtà e quindi non rileva gli allarmi – è quella che fa da modello. Come districare un tale pasticcio?

DM: La verità non si trova in poche equazioni, ovviamente. Si trova nella storia. E la nostra storia nel corso di migliaia di anni mostra che i potenti cercano più potere e hanno più facilità a trovarlo a causa della loro situazione: è un ciclo di feedback positivo. Nella dinamica dei sistemi questo si chiama “successo per chi ha già successo”. Raramente deviamo da questo fenomeno.

Nessuno può districare questo groviglio. Non credo che ci sia alcuna azione o legge che possa farlo. In alcune culture, tuttavia, sono stati osservati meccanismi di ridistribuzione evoluti. Nel nord-ovest degli Stati Uniti ci sono alcune tribù che hanno un’usanza chiamata “Potlatch”, una cerimonia in cui i capi tribù, i più ricchi, regalavano parte dei loro averi – di sicuro sto semplificando. Anche nel buddismo c’è una tradizione di distacco materiale in molti dei suoi praticanti. Ma queste sono rare eccezioni. Nel nostro mondo la tendenza è quella di accumulare potere e, come dici tu, questo aiuta a distaccarsi dalla realtà. Allora potresti finire con un crollo, anche del tuo potere, e tutto ricomincia da capo. È un processo che avviene in risposta ai limiti.

E la disuguaglianza sta crescendo in tutti i paesi.

JB: Fino a che punto le élite stanno anticipando il bisogno oggettivo di una maggiore uguaglianza e si stanno preparando per questo? Oppure stanno solo pianificando la propria sopravvivenza?

DM: Beh, non si può parlare propriamente di “élite”. Alcune élite sono preoccupate e fanno tutto il possibile per ridurre la disuguaglianza, altre – probabilmente la maggioranza – non ci pensano nemmeno e altre ancora stanno lavorando per renderla sempre più grande. Non c’è certamente alcuna tendenza alla riduzione delle disuguaglianze. Con la giustificazione, a volte, che la crescita aiuti la ricchezza a raggiungere tutti, il che, visto come sono aumentati contemporaneamente i tassi di crescita e di disuguaglianza, è chiaramente e manifestamente falso.

JB: Oggi, nei circoli del potere, economico e politico, si vede maggiore preoccupazione per il collasso della civiltà? O continuano a fare affari a breve termine come al solito? Se sì, fino a che punto lo mettono in relazione con il lavoro che hai fatto in LTG?

DM: Non sono in circoli di potere quindi non posso rispondere. Sono un insegnante in pensione di 80 anni. È il cinquantesimo anniversario de I limiti dello sviluppo e, a parte le interviste che si fanno su un libro che ancora suscita interesse, non c’è tanta attenzione come potrebbe sembrare. [nota dell’intervistatore: e come dovrebbe].

JB: Per quanto riguarda gli attuali miopi confini, spaziali e temporali, di preoccupazione, non pensi che la moderna visione del mondo sia obsoleta? Potresti suggerire alcune intuizioni filosofiche per passare a una nuova cosmologia?

DM: Grazie per aver immaginato che potessi avere la capacità di fare queste cose. Che l’attuale visione del mondo sia obsoleta è evidente solo guardando le notizie. Quasi nessuno può essere contento dello stato del mondo.

Su una nuova cosmologia: c’è un’enorme diversità di filosofie, pratiche spirituali, molte delle quali coerenti con il modo in cui funziona il mondo. Tutto ciò che funzionerà dovrà riconoscere l’interazione e la dipendenza che abbiamo con il mondo naturale. Abbiamo già discusso del mito diffuso che la tecnologia ci porterà a superare qualsiasi ostacolo. Lo vediamo con la sfida climatica: c’è questa cosa chiamata cattura e sequestro del carbonio. Nonostante il fatto inconfutabile che sia più economico, rapido e semplice ridurre i consumi energetici, la tendenza è quella di cercare la soluzione tecnologica che ci permetta di fare ciò che non possiamo più fare senza causare gravi danni. È una fantasia totale. Il meglio che possiamo dire di CCS (Cattura e Sequestro di Carbonio) è che è un’idea che farà guadagnare un sacco di soldi a poche persone.

Siamo come su un tapis roulant che sta accelerando rapidamente. Sai, quei tapis roulant su cui corri ma non vai da nessuna parte. Questo è quello che stiamo facendo. Mentre prendiamo decisioni sbagliate, che ci gettano in crisi, che accorciano forzatamente la nostra prospettiva temporale, tutto diventa reattivo man mano che acceleriamo. Questo a sua volta ci aiuta a prendere decisioni più sbagliate perché restringiamo sempre di più il nostro orizzonte temporale. È un circolo vizioso.

Penso che nei prossimi 20 anni assisteremo a più cambiamenti di quanti ne abbiamo visti negli ultimi 100. Non voglio che ciò che sto per dirvi accada, ma penso che sia molto probabile: ci saranno cambiamenti significativi, disastri dovuti al caos climatico e all’esaurimento dei combustibili fossili, che riporteranno l’umanità a stati più decentralizzati e disconnessi. Lentamente emergeranno culture più preparate ad affrontare la situazione. Solo allora, credo, potrà emergere un’appropriata “nuova cosmologia”.

JB: Credi che una coalizione di élite dotate potrebbe cambiare rotta in quei circoli?

DM: Élite dotate? Mi sembra un ossimoro.

Juan Bodera

*)Dennis Lynn Meadows . Nato nel 1942 è uno scienziato americano Professore Emerito di Systems Management, former director dell’ Institute for Policy and Social Science Research at the University of New Hampshire.[2] Presidente del Laboratory for Interactive Learning

 



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  1. Ennio GalanteOttimo articolo. Io seguo l'approccio dei "Limiti alla crescita" dalla metà degli anni '70, quando ero nel CNR italiano e lanciammo i "Programmi Finalizzati" in molti dei campi socio-economici-tecnologici del nostro Paese. L'effetto sulla ricerca scientifica e tecnologica italiana nelle università e negli altri enti pubblici di ricerca fu abbastanza positivo, durante i tre cicli quinquennali che ne seguirono. Oggi l'allerta lanciata dal "Club di Roma", e da Aurelio Peccei, che finanziò la ricerca del gruppetto di giovani all'MIT, è sconosciuta a molti politici sia nei partiti che nelle istituzioni . Come dice Meadows nell'intervista, è importante ed urgente creare una consapevolezza diffusa sui limiti e sui pericoli di lanciare programmi di "city life", residenze di lusso, "mall" commerciali, olimpiadi invernali ... a Milano! cioè di inseguire il PIL, ecc. Serge Latouche (la decrescita) va rivalutato alla luce degli studi dell'IPCCC ed altre istituzioni scientifiche. Ad esempio il Partito Democratico dovrebbe assorbire questo grande scopo-obiettivo impiegando il metodo dell'INTELLIGENZA COLLETTIVA.
    21 dicembre 2022 • 18:36Rispondi
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