9 novembre 2019

L’ECONOMIA DELLA PROSSIMITA’ VS L’ECONOMIA DELLA MOBILITA’

L'esempio di Città Studi a MIlano


Vorrei proporre alcune riflessioni sulla sostenibilità di quanto sta accadendo a Milano, in particolare nel quartiere di Città Studi perché chi segue ArcipelagoMilano sa che i Dipartimenti della Università Statale, che hanno contribuito a dare il nome al quartiere di Città Studi e ne costituiscono un’importante risorsa per l’economia della zona, lo abbandoneranno. Non solo, ma se ne andranno anche due importanti strutture ospedaliere in esso presenti, il Neurologico Besta e l’Istituto dei Tumori. Gli uni, seguendo un’analisi benefici e costi di tipo aziendale, migreranno a ripopolare il deserto del dopo Expo, gli altri invece si sposteranno nella nuova Città della Salute a Sesto San Giovanni, operazione per ora impantanata e di interesse soprattutto immobilare.

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Le riflessioni che seguono per essere comprese appieno mi impongono di partire dal concetto, piuttosto alieno per noi, di “economia di prossimità”: ovvero del valore economico prodotto dalle attività che si sviluppano sul territorio a distanza pedonale da dove si abita o si lavora, e ottimizzano il tempo e l’energia dedicati alla propria sopravvivenza.

Attività commerciali e artigianali, dalla tintoria al panettiere al bar, che danno lavoro e fanno circolare risorse sul luogo, in sinergia con scuole, giardini, servizi pubblici, e contribuiscono a generare identità di territorio, sicurezza e coesione sociale.

In Francia, dove questa economia di prossimità o “presentielle” è stata studiata, il suo valore riconosciuto è importante, rappresenta in termini occupazionali e produttivi da un minimo del 40% (nelle aree industriali urbane) ad un massimo del 80% (nei paesi) del valore economico totale delle attività su un determinato territorio.

Fino al secolo scorso l’economia di prossimità e quella che invece chiamerò “economia della mobilità” si bilanciavano. Ma ora la seconda, grazie all’enorme sviluppo del sistema dei trasporti su gomma e su ferro, ha preso il sopravvento sulla prima e la sta schiacciando.

La chiamo economia della mobilità perchè sfrutta le infrastrutture e mezzi di trasporto sempre più diffusi ed efficienti per delocalizzare attività produttive, commerciali o di servizi in aree a basso costo, creando centri commerciali, di svago, centri direzionali lontani dalle aree urbanizzate, raggiungibili quindi solo con mezzi di trasporto e del tutto indifferenti a ciò che sta loro intorno.

Nell’economia della mobilità l’impresa si insedia dove le conviene, senza rapporto organico con il territorio circostante, grazie alla presenza di strade, autostrade, linee di trasporto pubblico su ferro o su gomma che non ha dovuto pagare, e di cui non pagherà la gestione e l’uso, a carico del pubblico, tenendo per sè i vantaggi, cioè economie di scala, profitti, e bacini di forza lavoro sempre più estesi e meno competititivi.

Spesso all’economia della mobilità concorrono iniziative immobiliari, che proprio nello sfruttare il plusvalore dell’urbanizzazione vedono convergere l’interesse di imprese e amministratori pubblici, i quali, guardandosi bene dal percorrere la via del recupero edilizio ma attenti alle ricadute economiche e di immagine (la mobilità, la costruzione di nuovi edifici e l’espansione dei consumi è sinonimo di progresso), investono volentieri a garantire le infrastrutture necessarie.

Tutti noi peraltro siamo indotti ad apprezzarne i vantaggi dell’economia della mobilità quando andiamo in auto all’Ikea o all’Iper, ma non sembra che siamo altrettanto consapevoli dei valori che essa distrugge.

Infatti l’economia della mobilità a parità di ricavi rispetto all’economia di prossimità produce molto più inquinamento, con un consumo del suolo enorme (pensiamo ai parcheggi dei centri commerciali) occupa meno addetti, ed è direttamente responsabile dello spopolamento quindi dello spreco edilizio di una miriade di piccoli centri urbani esistenti, abbandonati perchè senza più negozi, nè redditi, nè relativi posti di lavoro.

Inoltre a differenza dell’economia di prossimità essa sottrae definitivamente risorse economiche al territorio, poichè i suoi profitti come ben sappiamo finiscono altrove.

Spero che questa lunga digressione aiuti a capire alcune cose.

L’economia della mobilità si diffonde erodendo l’economia della prossimità, e lo fa grazie a sinergie articolate, potenti e inarrestabili. Queste sinergie agiscono in direzione opposta a qualsiasi idea di sostenibilità ambientale e di giustizia sociale.

Nel caso specifico dell’abbandono di Città Studi da parte degli istituti anzidetti, per salvare la sostenibilità economica di iniziative discutibili, di scarso vantaggio per la collettività e tutte costruite sull’economia della mobilità, si tagliano le gambe all’economia di prossimità, già efficiente e ben sviluppata, di un intero quartiere.

La convenienza dei poteri forti, economici e politici, agisce in spregio a qualsiasi criterio di riuso dell’esistente, che dovrebbe oggi invece essere una priorità imposta dalle autorità, e scaricherà su studenti, professori, medici, pazienti l’onere del “progresso” (ovvero il prezzo dei lunghi trasferimenti pendolari e il relativo tempo impiegato).

Confidiamo nella capacità di resilienza di chi continuerà a vivere e operare a Città Studi, e dell’interesse insediativo che il quartiere, centrale e ottimamente servito, potrà avere per nuove attività.

Ma spero si capisca che a Milano come altrove siamo ancora molto ma molto lontani dal percorso di sostenibilità ambientale, di difesa del territorio e della qualità della vita della sua popolazione che invece la maggior parte degli amministratori e grandi operatori economici dichiara di perseguire.

Giorgio Origlia

Presidente della Commissione Pianificazione Territoriale dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura e membro del direttivo della sezione di Milano



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  1. Fiorello CortianaNon smettiamo di provarci. Il racconto a senso unico prodotto dalla consociazione che attraversa trasversalmente i governi, locali e nazionali, propone ai residenti di essere tali e, quindi, spettatori dei giochi del risico internazionale che interessa Milano. Proporre una cultura dell'abitare e una consapevolezza civica richiede tenacia e intelligenza feticolate, fuori da ogni elogio autocommisetativo della marginalità. Un'altra visione, fondata sulla partecipazione, l'interesse generale e la bellezza costituisce una ambizione possibile.
    13 novembre 2019 • 14:42Rispondi
  2. xavier vigorelliScritto appena prima del Coronavirus appare profetico. Le uniche attività rimaste in piedi sono quelle di prossimità.
    28 marzo 2020 • 20:56Rispondi
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