25 gennaio 2022

IL MONDO CAMBIA, ANCHE IL TRASPORTO PUBBLICO DEVE CAMBIARE

Non si vuole un mercato competitivo


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Le caratteristiche della mobilità stanno cambiando, e il cambiamento accelererà. Vediamone i principali fattori. Innanzitutto cambierà la domanda di trasporto: il lavoro in remoto era una tendenza già in atto prima della pandemia, come era già in atto la terziarizzazione delle attività produttive: più lavori di ufficio e servizi sofisticati, meno fabbriche. I due fenomeni sono concomitanti, e le più recenti stime (cfr. The Economist) indicano che prima del virus il circa 20% dei lavoratori era favorevole, oggi ci si avvia al 30%. Gli impatti sulla produttività non sono univoci, ma è certo che le valutazioni delle imprese sono almeno non negative. 

Nelle aree metropolitane come quella lombarda, questo spingerà a residenze in aree più esterne, meno costose e più verdi, e ridurrà la pendolarità. Una serie di servizi urbani (ristorazione ecc.) ne soffrirà, ma se ne gioveranno i centri oggi ridotti a dormitorio, che si vivacizzeranno. Anche gli effetti antropici dell’inquinamento diminuiranno: nelle aree meno dense si riduce “l’effetto canyon” degli inquinanti, più facilmente dispersi dagli agenti atmosferici. 

Minor pendolarità comporta anche minor congestione (fonte primaria dell’inquinamento da traffico in aree dense).

Il secondo cambiamento è tecnologico, ed è anch’esso in atto da anni: l’inquinamento dei veicoli stradali, con l’elettrificazione accelerata del parco (tra ibrido, batterie, e idrogeno) diverrà un problema ambientale del passato (certo ci sono ancora ostacoli da superare, ma se il risultato non fosse raggiunto significherebbe un fallimento sostanziale dello sforzo ambientale europeo). Si tratta solo dell’accelerazione di un fenomeno già in atto; mediamente, i veicoli oggi in produzione inquinano una frazione di quanto inquinavano un decennio fa,

Il cambio modale verso i trasporti collettivi (TPL), venendo meno la motivazione ambientale e riducendosi la congestione stradale, non sarebbe più obiettivo prioritario. 

Peculiare in questo contesto è l’obiettivo dichiarato di una assessora milanese, di voler eliminare l’uso delle automobili “anche se elettriche”. Una visione di questo mezzo del tutto ideologica, che ignora il mercato del lavoro e della casa, ed il suo ruolo per il tempo libero: le scelte dei cittadini devono essere limitate dalla volontà del “principe benevolo”, magari associata ad una versione coercitiva della “città dei 15 minuti” cara al sindaco Sala. 

A fronte di uno scenario dinamico della domanda di mobilità, dell’assetto insediativo, e delle tecnologie sta una gestione del trasporto pubblico fossilizzata e immobile, che punta ad irrigidirsi ulteriormente con costosissime infrastrutture in sede propria, e quindi mai più modificabili.

Oggi l’opinione pubblica è informata sulla scandalosa protezione dalle gare degli stabilimenti balneari, contro un esplicito obbligo europeo, e a fronte di una redditività ridicola per lo Stato di attività private estremamente redditizie.

Bene, una normativa europea del tutto analoga vale anche per le concessioni del TPL (Trasporto Pubblico Locale). Prevede gare periodiche, per ridurre o i sussidi, o le tariffe per i redditi più bassi (fino alla gratuità), o aumentare i servizi, secondo scelte giustamente politiche, che devono essere trasparenti (tutto il contrario di ora). 

Qui il genio italico non è ricorso ad una infrazione frontale contro l’Europa e l’interesse pubblico: la normativa è stata sistematicamente aggirata, soluzione forse anche più ipocrita e “democristiana”. I trucchi sono molteplici: basterà qui citare che la normativa italiana consente che i giudici (comuni, regioni) possano essere anche concorrenti, partecipando alle gare con le proprie imprese. Basterebbe questo per scoraggiare qualunque “nuovo entrante”. 

Si ricorda per inciso che la normativa tutela la socialità del servizio in caso di gare, sia verso i dipendenti, integralmente protetti in caso di azienda subentrante, che verso gli utenti, perché le tariffe, la rete dei servizi, e le frequenze sono decise dal concedente pubblico nel bando di gara.

Gare periodiche (di norma, ogni 5-8 anni) consentirebbero di rendere flessibile il sistema nello spazio (dove la domanda andrà) e nel tempo (quando ci andrà). Le gare dovrebbero essere fatte per lotti di dimensioni limitate, cioè tali da non mettere il committente pubblico nelle mani del vincitore. Per esempio perché non possa paralizzare la città “mettendosi di traverso” con scioperi pilotati (succede, eccome, anche se ovviamente è una di quelle cose che non hanno l’onore della cronaca). Una dimensione fisiologica dei lotti potrebbe essere quella dei depositi dei mezzi, (circa sei per l’area milanese), in modo da non generare diseconomie di scala (ottima l’esperienza londinese in proposito).

Una realtà frazionata consentirebbe di modificare tutto allo scadere delle concessioni, per esempio per aprire sperimentalmente a nuovi soggetti se portatori di innovazioni tecnologiche, dilatare o contrarre le aree servite dai singoli operatori al fine di migliorare l’integrazione tra servizi urbani ed extraurbani, rimuovere quelli meno efficienti, ecc.. Di fatto, rendere flessibile il sistema, oltre che diminuirne i costi.

Una precondizione di questa auspicabile evoluzione sarebbe che la legge sulla concorrenza modificasse con coraggio la normativa esistente. E’ stata rimandata dal governo Draghi per l’ennesima volta, formalmente perché i partiti non si erano messi d’accordo, in realtà parche di concorrenza non ne vogliono sapere né loro né le imprese. In Italia le rendite, pubbliche e private, sono molto più amate dei profitti.

In questo quadro purtroppo non sembra nemmeno che i denari provenienti dall’Europa (con il PNRR) abbiano destinazioni orientate all’innovazione. In particolare per la Lombardia la maggior parte delle risorse destinate alla mobilità (più di mezzo miliardo di Euro) sono destinate ai trasporti ferroviari, per regioni ambientali. Peccato che non vi sia traccia di una stima del traffico toglibile alla strada, quindi dei benefici ambientali dichiarati, che da questo cambio modale dipendono. E ben si capiscono le ragioni di questa vaghezza: se gli obiettivi europei di elettrificazione del parco veicolare venissero conseguiti anche solo parzialmente, i benefici ambientali di tale strategia tenderebbero a sparire.

Marco Ponti

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  1. Cesare MocchiAggiungerei che la flessibilità delle attività, dei tempi e delle localizzazioni renderà più diffusi i microspostamenti causuali piuttosto che i grandi movimenti sulle direttrici casa-lavoro maggiormente intercettabili dal TPL. Questo rinforza l'impressione che dal mezzo individuale di trasporto (l'automobile) non ci si allontanerà nei prossimi tempi, anzi. Curiosamente il Comune di Milano, tanto codino e asservito agli interessi dei gruppi immobiliari per quanto riguarda l'urbanistica, per una strana forma di asimmetria è stranamente "talebano" quando si parla di automobili (zero parcheggi, zero auto...). Vanno un po' a luoghi comuni, mi sembra
    26 gennaio 2022 • 11:03Rispondi
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