5 novembre 2019

BARCELLONA: A SPASSO PER L’ACAMPADA 

I diritti vengono prima dell'indipendenza nella Barcellona accampata a Placa Universitat 


5 Novembre 2019 – Lo shock del turista arriva la domenica mattina.  Dopo 981 km in auto, due giorni passati a vagabondare tra spiagge, tapas bar e negozi chiusi por vacaciones, decido finalmente di dirigermi, dal tranquillo e residenziale quartiere di Les Corts dove sono alloggiata verso il fulcro odierno del movimento indipendentista nella capitale catalana, Plaça Universitat

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L’agitazione è cominciata nell’ottobre 2017, quando il voto – illegale – per il referendum sull’indipendenza catalana, promosso dalla coalizione Junts pel Sì* e dalla CUP* , è stato interrotto dalle forze di polizia, invalidato dal governo centrale e il movimento è stato privato dei suoi leader, tra cui gli attivisti Jordi Cuixart e Jordi Sànchez, che hanno preso insieme a decine di altri il malaugurante titolo di presos politics (prigionieri politici), come si legge su bandiere e striscioni appesi ai balconi di Barcellona, a fianco della bandiera della Catalunya. 

Il movimento ha iniziato a organizzarsi mercoledì (15 Ottobre) mattina, a seguito del verdetto emesso il 14 ottobre che condanna i 12 principali leader catalani a pene dai 9 ai 12 anni di carcere. Cesar, che esce dalla tenda segnalata come “press point”, da un foglio attaccato con lo scotch, ha 23 anni ed è qui dall’inizio. 

Non è la prima volta che in Spagna non solo si scende in piazza, ma si pianta addirittura la tenda: già nel Marzo 2011, con il movimento 15M (dalla manifestazione indetta appunto il 15 Marzo 2011, detta anche degli “Indignados”), in diversi punti della Spagna si erano svolte manifestazioni contro il bipartitismo (che qui è frutto della corruzione e non di una tradizione come nei paesi anglosassoni) di PP (Partido Popular) e PSOE (Partido Socialista Obrero Espanol), per un ritorno ad una democrazia più partecipativa e il controllo del capitalismo finanziario. 

Come allora, anche oggi l’acampada che mi trovo davanti – più di 700 persone che hanno piantato la tenda in Plaça Universitat a Barcellona fin dal 30 Ottobre – è nata non da un partito politico ma da un movimento grassroots portato avanti tramite i social media (allora, Facebook; oggi, Telegram). Di conseguenza, associare questi giovani (giovanissimi, andiamo dai 16 ai 25 anni circa) scesi in piazza all’indipendentismo catalano è un errore, almeno in parte: “Non è per l’indipendenza che siamo qui. I cambiamenti sociali e politici che chiediamo – maggiore attenzione all’ambiente, alla parità di genere, alla “povertà energetica” – non possono avvenire nella Spagna di oggi: saranno quelli il vero motore dell’indipendenza catalana.”

Molti i movimenti coinvolti in “14O” – la generazione del 14 Ottobre, in italiano – ma quasi nessuna bandiera sventola sull’accampamento, a dimostrazione delle parole di Cesar. La bandiera è sostituita da un manifesto, nel pieno stile dei movimenti alla “Extinction Rebellion”, che riporta le richieste dei manifestanti, indipendentemente dai gruppi che decidono di sostenere ufficialmente la protesta.

Mentre io e Cesar parliamo, seduti per terra in un angolino dell’accampamento, l’assemblea generale inizia al centro della piazza, e inizio a scoprire com’è organizzato questo sit-in. Ogni giorno i pasti, cucinati grazie alla generosità dei cittadini di Barcellona e dintorni, sono distribuiti gratis ai protestanti dal comitato logistico, che si occupa di tutte le necessità pratiche e economiche dell’ “acampada”. Me lo racconta Pol, 21 anni e un inglese invidiabile, e mi indica anche il “Punto Lilla”, dove chi è vittima di abusi o molestie sessuali, dentro e fuori le manifestazioni, può cercare supporto. Durante l’assemblea generale, un gran cerchio di persone rispettosamente sedute e silenziose, si espone il programma della giornata, le manifestazioni cui i protestanti vogliono dare supporto, i dibattiti etc. 

Al centro di Plaça Universitat staziona un tendone di “Street Medics”, un’associazione di volontari che supporta il servizio sanitario nazionale durante le proteste: è davvero necessario, chiedo? Il ragazzo con cui parlo mi butta un’occhiata un po’ storta: “Sì.”. Lo sa Eudald, 18 anni, arrivato ieri a Barcellona da Capellades. “Sono qui per fermare la repressione. Non solo liberare i prigionieri politici, ma proteggere la libertà dei cittadini di manifestare. Tutti coloro che sono qui (in Plaça Universitat) sono convinti di avere dei diritti, e siamo qui per difenderli insieme”. Eudald non ha riserve sui metodi impiegati nelle manifestazioni del 14 Ottobre dagli stessi manifestanti, le cui immagini (di incendi per strada e brutalità varie) sono arrivate anche in Italia:”In Catalogna diciamo: “Un peix que es mossega la gua” – “è un pesce che si morde la coda” – “se la polizia usa la violenza contro di noi, che reazione si aspetta di generare?”

Strano, per chi di politica spagnola sa solo quello che riportano i grandi media, non vedere Podemos (il cugino di Syriza e M5S, quindi un partito politico formatosi più o meno come un movimento spontaneo anti-sistema) rappresentato tra le tende. Serve un gruppetto di ragazzi tra i 17 e i 20 anni, impegnati a dipingere uno striscione con le parole “Feminisme” e “Socialisme”, per spiegarmi l’arcano: “Podemos non ha preso posizione contro la repressione dell’indipendenza, e neppure sull’argomento dell’indipendenza stessa; sono il classico partito di sinistra che però, almeno in Catalogna, non sostiene politiche di sinistra”. Mi ricorda qualcosa. 

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Onofre, Pol, Oriol ed Emma mi raccontano la politica spagnola degli ultimi cent’anni, per arrivare ad una conclusione: “Lo Stato Spagnolo è una costruzione politica. Siamo per l’indipendenza di tutte le nazionalità spagnole, perché la lingua, la cultura e la storia di ogni comunità siano rispettate. La Catalogna è solo il primo passo.”, dice Emma mostrandomi il bracciale con la scritta “Galicia” che porta al polso, gesticolando intanto verso una bandiera della Castilla indipendente appesa su una tenda poco lontano. 

Gli occhi di chi si affaccenda in questa ventosa domenica pomeriggio sono tutti molto vigili: non gli sfugge il telefono che ho sfoderato per fotografare la piazza, e mi becco un po’ di “Not the face!” preoccupati dai non intenzionali protagonisti del mio reportage. Perché se la storia dietro l’ “acampada” è una di speranza – Onofre alza la voce eccitato quando mi racconta che la prima mattina erano in 100 e ora (usando un po’ di fantasia) in 1000! -, è anche un racconto di violenze e repressione inaudite per un paese civile, dove la polizia utilizza anche i social media per riconoscere visivamente gli organizzatori delle proteste. 

Martedì mattina il PP e Vox (estrema destra) hanno un rally elettorale programmato in Plaça Universitat, proprio dove questi ragazzi campeggiano per difendere la – o meglio, un certo tipo di – democrazia. Alla domanda “Avete un piano?” la risposta è rimasta la stessa, con un sorriso e una scrollata di spalle: “Noi non ci spostiamo. “.

A Barcellona, sopra gli odori acri che le città portuali portano con sé, c’è profumo di anarchia.

Elisa Tremolada

 

Per maggiori informazioni sulla protesta, seguite @AcampadaUni su Twitter, Instagram e Telegram

*Junts pel Sì: CDC – Partito Democratico Europeo Catalano, ERC – Sinistra Repubblicana di Catalogna, DC – Democratici di Catalogna, MES – Movimento delle Sinistre); CUP (Candidatura d’Unitat Popular)



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  1. marco romanoUna volta - lo abbiamo imparato fin da scuola - c'erano in Spagna due regioni tradizionalmente riconosciute, la Castiglia e l'Aragona, e metterle insieme sarà l'esito a un accordo matrimoniale che non so quanto condiviso dagli aragonesi: quanto meno gli aragonesi avranno un ruolo politico di prim'ordine. La ribellione catalana è radicata da sette secoli, e si capisce come sia difficile averne ragione
    6 novembre 2019 • 15:53Rispondi
    • Elisa TremoladaTutto verissimo. Peccato sia inutile, a mio avviso, cercare di risolvere una ribellione vecchia di secoli con strumenti antichi quanto essa. La repressione di questa ribellione si è svolta in modo oramai anacronistico, sia per la sua violenza - fisica sui manifestanti, psicologica tramite la condanna dei leader catalani, di cui si è voluto fare un "esempio" - sia per il tipo di accusa: parliamo ancora di "sedizione" nel 2019?
      10 novembre 2019 • 12:18
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