22 giugno 2019

NONNA CI SONO DEI GRILLI NELLA PURÈ!

Come essere "à la page"


Où sont, mon ami, les potages d’antan? C’era una volta la minestrina, intervallata di tanto in tanto dal passato di verdure, oppure dal puré con prosciutto cotto, per spezzare la monotonia di cene sempre uguali. Ma da qui non si scappava, che piacesse o no. E in genere non piaceva: era la solita minestra, in senso letterale. Alzi la mano chi non ha dovuto sottostare a questa regola alimentare antica e incompresa dai più giovani, a prescindere dall’appartenenza sociale, dal reddito e dalla formazione culturale. Tutti hanno avuto una nonna o una vecchia zia metodiche interpreti e riconosciute sacerdotesse dell’old food, altro che novel. Esempi? Riso e latte con verdure cotte, pallide carni con verdure cotte, frittatine con verdure cotte. Molto sano, anche troppo.

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Oggi, almeno nelle città, non è più così: le coste – le tremende coste che ci venivano servite lessate, quasi stremate, condite con un filo d’olio e limone – sono sparite dai nostri orizzonti, così come le pastine, i formaggini e tutto ciò che faceva tristezza al solo pensiero. Ma, come spesso accade nelle vicende umane, il rischio oggi è quello di finire dalla parte opposta.

Arriveremo davvero ad avere cene con hamburger di carne-non-carne, realizzati cioè sintetizzando in laboratorio un prodotto il cui gusto “assomiglia” a ciò che ci piace mangiare con patatine e ketchup? Oppure alghe, insetti di varia natura e in varie forme? In queste ultime settimane, gli interventi di Luca Barbieri e Food S. Hero su Arcipelago Milano hanno provato a indicarci quella che potrebbe essere la strada del futuro per ciò che riguarda il nostro (necessario) approvvigionamento di proteine senza perdere di vista l’impatto negativo sull’ambiente degli allevamenti intensivi e dei mari saccheggiati.

Vedremo quel che succederà. Intanto, come avrete notato, già da tempo il cibo sta riempiendo ogni spazio libero delle nostre esistenze: programmi tv dedicati, rubriche quotidiane, dispense a puntate, fascicoli di varia consistenza, intere sezioni di importanti quanto (un tempo) paludati giornali. Tutto food oriented, tutto food experience.

Gli chef più celebrati godono della stessa visibilità e considerazione sociale che un tempo – quando erano soltanto cuochi e non facevano tendenza – si riservava agli intellettuali o alle star del cinema. Il binomio bistecca-insalata, altro must dell’alimentazione di un tempo, ha lasciato il posto a cotolette destrutturate con spuma di patate fritte insaporite da sale dell’Himalaya, oppure a pinnette di sardina marinate in aceto di zenzero, ideali – dicono – per chi vuole tenere sotto controllo i livelli di colesterolo.

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Personaggi di cui spesso ignoriamo l’esistenza ci raccontano con quanta cura e con quali ingredienti preparino il loro ragù domenicale, o il piatto preferito, quello che faceva la nonna ma con quel tocco in più che oggi lo rende decisamente moderno e trendy. Nelle grandi città, Milano in testa, gli indicatori del settore ristorazione ogni anno fanno segnare incrementi percentuali a doppia cifra. Cucina etnica? L’ampiezza dell’offerta lascia senza fiato. Una volta c’erano solo i ristoranti cinesi, oggi possiamo scegliere fra una selva di locali: coreani, vietnamiti, ovviamente cinesi ma di regioni sconosciute ai più, non soltanto cantonesi, giapponesi (siamo circondati dal sushi), indiani, thailandesi, indonesiani e via orientaleggiando. Solo per parlare di ciò che proviene dalla sponda asiatica della tavola.

Guardi un programma qualsiasi e trovi un signore che ti spiega la vera ricetta dei gamberi in tempura; cambi canale e ne trovi un altro che ti racconta tutti i segreti delle carni alla griglia con indicazioni relative a temperature, salse, vini o birre da abbinare. I reality sul cibo, sulle sue innumerevoli interpretazioni, sui ristoranti italiani e stranieri o sulla pasticceria, sono da anni format importati con successo dalle nostre reti televisive. Abbiamo davvero così bisogno di parlare ogni giorno di cibo, di assistere a spettacoli in cui si discute di cibo, di ascoltare ricette per cucinare in fretta quel che si trova nel frigorifero? Chissà. Forse no.

Forse si tratta di uno dei tanti giochi di prestigio di cui è capace la televisione, che riesce a far sembrare nuovo un argomento antico quanto la storia dell’umanità, un argomento identitario e universale come è ciò che mangiamo, su cui nei secoli si sono addirittura costruite fortune editoriali, ormai dimenticate. Oggi sembra non esserci nulla al di fuori del cono di luce di Masterchef e dei suoi innumerevoli tentativi di imitazione. Ma, se ci pensiamo, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi è datata 1891, anno 74 a.C., avanti Cracco (che è nato nel 1965). Così, per dire.

Ugo Savoia



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  1. Cesare MocchiGiustissimo e divertente. Anche a me piace mangiare bene, ma ultimamente siamo arrivati al fanatismo. È davvero così importante mangiare? O è una delle tante forme del panem et circensensem? Non avrei mai pensato di arrivarci, ma forse un po' di sobrietà in più potrebbe essere recuperata.
    26 giugno 2019 • 20:29Rispondi
  2. giovanna franco repelliniMi piace tanto la minestrina nelle serate invernali
    27 giugno 2019 • 09:36Rispondi
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