14 marzo 2019

SIRENETTE E TARANTELLE: «NAPOLI» DI BOURNONVILLE – HÜBBE

L’italianità tutta danese del capolavoro romantico del Balletto Reale


Quali velette, quali mandolini, «Napoli» di August Bournoville si veste di jeans!

Bournonville, il più importante direttore e maître del Balletto Reale di Danimarca, aveva visto l’italianità soprattutto meridionale, l’aveva amata e indissolubilmente ricreata per la sua compagnia nell’Ottocento, con suo sapore così esotico per il pubblico nordico.

Nella nuova versione di Sorella Englund e Nikolaj Hübbe, già étoile del Balletto Reale e del New York City Ballet e adesso direttore della compagnia danese, quell’italianità assume le sembianze un po’ rétro dei film neorealisti e delle commedie all’italiana di Vittorio De Sica, Federico Fellini, Dino Risi, Totò, Alberto Sordi e tanti altri degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.

Per le donne, abiti a tinta unita pastello, gonne a ruota a vita alta, degni delle forme di Sophia Loren e Gina Lollobrigida. Bermuda di jeans e canotte per i «vitelloni, poveri ma belli» pescatori che vivono nel Golfo di Napoli. Una Napoli che fa sognare anche dallo stretto di Øresund attraversato da correnti e venti di proverbiale ed epica violenza, come narrano le saghe norrene e antico-inglesi.

 

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«Napoli» di Bournonville – Hübbe non ha una trama particolarmente complessa o diversa da quelle dei balletti romantici contemporanei, come «Giselle»: due amanti divisi, un atto ‘bianco’ tra le naiadi, ninfe marine, e un divertissement di riconciliazione.

Le partiture dei balletti romantici raramente erano espressamente composte per la danza, ma risultavano assemblaggi di più compositori, come «Le Corsaire». Seguendo questa tradizione, cui «Napoli» non si sottrae, Nikolaj Hübbe ha deciso di riscrivere l’atto bianco nella grotta azzurra di Golfo e le Naiadi. Ha affidato la partitura alla compositrice danese Louise Alenius, che ha usato ritmi diversi da quelli classico-romantici. È stato dunque possibile disegnare una nuova coreografia dal sapore più neoclassico, a tratti contemporaneo.

Le eteree Naiadi dell’originale del 1842 diventano nella versione di Hübbe delle Sirene, riprendendo così due antiche tradizioni: quella della dolci abitatrici degli abissi, immortalate dalla fiaba danese di Hans Christian Andersen e dal simbolo bronzeo della città di Copenhagen; e quella delle feroci e spietate assassine raccontate nell’epica omerica dell’Odissea. Le Naiadi-Sirene di Hübbe danzano con movimenti fratti e allungati, morbidi, instabili e cangianti, contre-temps come il mare che abitano.

 

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Golfo, signore della grotta azzurra, non è un personaggio di solo mimo come nell’originale. L’accademico con la canotta da una parte garantisce la libertà dei movimenti ed esalta le linee delle braccia e della spalle, ma dallaltra sembra troppo un costume. La stessa veletta color carne con le decorazioni poteva essere estesa alle braccia e forse avrebbe reso meno accademicoil costume. È un demone del mare, un oscuro signore degli abissi, dalla danza muscolare e magnetica, che trasmette il suo potere e il suo carisma sulle Naiadi-Sirene e sul pubblico. Benjamin Buza con il suo accademico che esalta la fisicità è stato padrone assoluto della scena durante gli assoli e i duetti con Teresina.

 

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L’atto bianco, così romantico e ottocentesco, con Hübbe si tinge di noir. Interessante e riuscito sul piano drammaturgico; troppo evidente lo stacco musicale e lo stacco di alcuni passaggi della coreografia che presenta ancora alcuni elementi orignali – come il pas de deux del ricoscimento tra gli amanti –, amalgamati con qualche stonatura con lo stile neoclassico e contemporaneo dell’atto II. Molto chiara e definita è l’iconografia coreutica delle Naiadi-Sirene: usano uno specifico port de bra con un braccio alzato sopra la testa e la mano svirgolata a imitazione di un pinna e l’altro braccio piegato sulla testa che incrocia il gomito del braccio teso. Questo port de bras disegnato dai coreografi Nikolaj Hübbe e Sorella Englund non è uguale a quello delle Ondine, né a quello dell ninfe del Nilo nella «Figlia del faraone» di Marius Petipa, grandi balletti dell’Ottocento zarino. È il port de bras delle Naiadi-Sirene di «Napoli», degno adesso di poter essere studiato tra gli stili coreici.

foto_4_ph_Henrik_Stenberg_Holly_Dorger_Teresina_HSP5879_hiQuello che rende speciale «Napoli» è la sua tecnica di esecuzione. Bournonville ha creato uno stile che ancora oggi è insegnato, lavorato e difeso nella scuola e nella compagnia del Balletto Reale di Danimarca. I Danesi sono famosi per il gusto particolare del dettaglio, per l’isolazione totale del corpo inferiore che mantiene il ritmo della musica con i piccoli salti e le veloci batterie rispetto al corpo superiore che disegna la melodia con i ports de tête e i ports de bras.

 

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foto_6_ph_Henrik_Stenberg_Fransson_Gundorph_atto_1_HSP4936_hiSembra che Bournonville abbia creato una tecnica basata sul salto perché i teatri danesi erano piccoli. In effetti, la Gamle Scene [palco vecchio] del Det Kongelige Teater [Teatro Reale] del 1748 è un piccolo teatro raccolto, a metà strada tra i privati teatri barocchi e i grandi teatri d’opera all’italiana. Questa cura del piccolo e del dettaglio è la firma e la specificità della compagnia di balletto danese e della sua tradizione.

I protagonisti di «Napoli» sono Gennaro e Teresina. Si amano, ma le diverse estrazioni sociali ostacolano il matrimonio d’amore: lui è un pescatore povero, lei una popolana piuttosto benestante.

 

 

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Il solista Jón Axel Fransson è un perfetto napoletano d’Islanda oppure un perfetto islandese di Napoli, biondo, riccio, alto e dal fisico possente. Con la sua tecnica lavorata nell’arco degli studi alla scuola e nella compagnia danese, Fransson incarna con pienezza lo spirito del balletto: salto elegante e forte, dalla grande elevazione e allo stesso tempo di un ottimo ballon.

 

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L’artista di corpo di ballo Stephanie Chen Gundorph sembra aver vissuto la smorfia e la gestualità napoletana da sempre per inscenarla a teatro. Un po’ troppo esagerata se la si pensi al cinema o nella realtà, ma a teatro – si sa– il gesto va reso più espressivo ed esasperato. Gundorph è una danzatrice tecnica e precisa, lirica nell’atto bianco e ritmica con i piedi nella tarantella nell’atto III.

L’atto III racconta il funerale di Teresina creduta morta dopo l’incidente sulla barca, ma subito si tramuta nell’allegra festa di nozze del «Pescatore e la sua sposa» come recita il sottotitolo del balletto. La partitura prevede i ritmi e i colori della famosa tarantella di Lumbye, un danese molto napoletano.

 

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Si alternano giovani e giovanissimi artisti della compagnia in esplosivi assoli di carattere. Gli otto solisti, quattro donne e quattro uomini, sono tutti molto attenti e precisi. Gli uomini con velocissime batterie e ballon precisi, le donne con equilibri sulla punta sostenuti e velocità di basso gamba. Le difficoltà di isolazione della tecnica Bournonville e del carattere italiano della tarantella sono state pienamente superate, nonostante qualche invasione di campo nel carattere spagnolo, che nella condificazione classica si mostra più scattoso di quello italiano, soprattutto nell’uso delle teste e della gonna.

Quale Italia ha esportato a Copenhagen August Bournoville nel 1842 dopo i suoi viaggi nel nostro Centrosud? e quale Italia ha ripreso Nikolaj Hübbe nella sua versione del 2009?

Non l’Italia da «pizza, mafia, mandolino» – non solo, per lo meno. E nemmeno quella del «bunga bunga». È un’Italia un po’ (dis)persa, ma indubbiamente più autentica, più filologica e storica. L’Italia viva, moderna, un pokitsch per esigenze teatrali, nella quale vivono e si mescolano tutti. L’Italia che vive in piazza, l’Italia che sente la comunità, l’Italia generosa che non lesina l’unico guadagno in elemosina, l’Italia dei sentimenti violenti, delle passioni brutali, dell’esclusione e della condivisione, delle ipocrisie e del perdono.

Per questo, il parallelo con l’Italia anni Cinquanta del neorealismo non è solo una scelta scenica ed estetica, ma una verità drammaturgica capace di toccare le corde dell’emozione e della riflessione.

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto © Det Kongelige Teater. Foto 1 di Henrik Stenberg: Stephanie Chen Gundorph (Teresina), Louise Midjord (Veronica, la madre di Teresina), Jón Axel Fransson (Gennaro) nell’atto I. Foto 2 di Casin Radu: Naiadi nell’atto II. Foto 3 di Casin Radu: Benjamin Buza (Golfo), Holly Jean Dorger (Teresina) nell’atto II. Foto 4 di Henrik Stenberg: Holly Jean Dorger (Teresina) nell’atto II. Foto 5 di Casin Radu: pescatori nell’atto I. Foto 6 di Henrik Stenberg: Stephanie Chen Gundorph (Teresina) e Jón Axel Fransson (Gennaro) nell’atto I. Foto 7 di Henrik Stenberg: Holly Jean Dorger (Teresina), Alban Lendorf (Gennaro) nellatto II. Foto 8 di Henrik Stenberg: Jón Axel Fransson (Gennaro) nell’atto III. Foto 9 di Casin Radu: soliste nell’atto III.



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