9 marzo 2019

LA TAV TRA “TECNICA” E “POLITICA”

Tanti pasticci, tanti errori e tante incertezze di là della TAV


La vicenda TAV nella programmazione europea e nazionale.

La linea TAV Torino – Lione è un tratto del corridoio mediterraneo Est – Ovest, Lisbona – Kiev previsto dal progetto di rete europea denominato Trans European Network Transport (TEN – T). Milano è il principale nodo nazionale della rete europea dove si incrociano il corridoio Est – Ovest e i corridoi Nord – Sud, Rotterdam – Genova e Berlino – Palermo.

La rete TEN – T è recepita dall’Italia nel piano nazionale dei trasporti, denominato Sistema Nazionale Integrato Trasporti (SNIT). Un piano fondato sull’integrazione tra le diverse modalità di trasporto, attento alla sostenibilità e al rapporto tra reti nazionali e aree metropolitane. Le priorità dello SNIT sono state finanziate dal DEF 2017, aggiornato dal DEF 2018: un programma di più di 100 opere per 133 miliardi, fino al 2030. (La TAV in discussione costerebbe 8,6 miliardi). L’Italia ha dunque un piano nazionale dei trasporti: merito dei precedenti governi di centro sinistra e in particolare del ministro Delrio. Il Piano prevede che le opere siano sottoposte ad Analisi Costi Benefici (ACB) secondo le linee guida del nuovo Codice degli appalti.

Il tratto Lione Torino è stato sottoposto dall’attuale Governo all’ACB (Il documento e scaricabile dal sito del Ministero). Lo studio è stato affidato a un gruppo di esperti guidati dal prof. Marco Ponti, che a quanto pare, non hanno seguito le linee guida del Codice degli appalti.

L’esito come noto è stato negativo: secondo lo studio i costi supererebbero i vantaggi. Sul risultato e sul metodo si è aperto un conflitto politico nella maggioranza di governo e nella società. Della vicenda discuto qui due aspetti: 1. il rapporto tra “Tecnica” e “Politica”, in particolare nelle decisioni sulle priorità d’investimento in infrastrutture; 2. che fare per le future opere.

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Il rapporto tra “Tecnica” e “Politica”.

Nelle scienza sociali come la programmazione e la pianificazione del territorio, la tecnica non è oggettiva ma assume teorie di valore politico. Le analisi valutative si fondano su dati oggettivi, ma il modo di usarli e i parametri interpretativi dipendono dalle teorie che si assumono come valide. D’altra parte i dati oggettivi possono dialetticamente mettere in discussione le teorie assunte e gli studiosi intellettualmente onesti ne prendono atto. Insomma onestà vorrebbe che si esplicitassero gli assunti teorici alla base delle valutazioni tecniche, così la “Tecnica” risulterebbe chiaramente per quello che deve essere, un supporto razionale alle decisioni che la politica ha la responsabilità di assumere.

Il ministro Toninelli invece, dichiaratamente contrario all’opera, ha nominato una commissione tecnica, omogenea per impostazione teorica, senza un confronto tra esperti di diversa impostazione e ha presentato gli esiti dello studio come prova oggettiva della sua scelta politica, trincerandosi dietro una valutazione che è apparsa subito preconfezionata.

Infatti altri esperti hanno criticato l’impostazione dell’analisi ACB diretta da Ponti e sono giunti a conclusioni diverse: vedi l’articolo di Andrea Boitani su Affari e Finanza di Repubblica del 28 gennaio 2019 o l’articolo di Alessandro Penati su Sole 24 Ore del 28 febbraio 2019 o la posizione di Pierluigi Coppola membro di minoranza della commissione. Non si tratta quindi di errori compiuti dallo studio ACB, ma di teorie e di valori diversi che vanno confrontati.

 

L’influenza delle teorie.

Ponti ha una chiara impostazione teorica: è convinto (mi permetto di sintetizzare a rischio di interpretarne in modo errato la posizione) che la “cura del ferro” sostenuta dalla maggioranza degli urbanisti (o quanto meno dall’Istituto Nazionale di Urbanistica), in generale non regga all’Analisi Costi Benefici. La ferrovia o le metropolitane sono a carico quasi totale dello Stato, sia per gli investimenti sia per i costi di gestione; le autostrade invece si ripagano con i pedaggi. L’inquinamento da “gomma” si risolverà con l’innovazione tecnologica. E’ una teoria decisamente liberista che Ponti sostiene sulla base di dati oggettivi (vedi l’articolo di Ponti su ARCIPELAGOMILANO).

A essa vorrei però contrappore in sintesi, con analogo rischio d’imprecisione, la teoria secondo la quale incentivare il trasporto su gomma, costruendo autostrade anziché ferrovie, moltiplica i costi collettivi per costruire e riservare spazi ai mezzi individuali, anche al di fuori delle autostrade, nelle città e nel resto del territorio (strade, raccordi, posteggi, autoporti, ecc.). Inoltre le strade e gli spazi connessi consumano molto più suolo delle ferrovie; i mezzi individuali congestionano le città e l’inquinamento da gas di scarico, rotolamento dei pneumatici e attrito dei freni, ecc, è lungi dall’essere risolto.

Naturalmente in un territorio ad alta dispersione insediativa, sia di residenze sia di attività produttive, come quello metropolitano, il trasporto su gomma è insostituibile, ma dove possibile va ridotto, integrando i sistemi di trasporto gomma / ferro. Cioè la “cura del ferro” fa ancora bene, e il beneficio supera la valutazione puntuale dell’ACB su una singola opera. Le due teorie portano ovviamente a conseguenze importanti sulle scelte di programmazione e sull’ACB delle opere. In conclusione non condivido la teoria di Ponti, ma penso che vada contrastata sulla base di analisi altrettanto serie fondate su parametri diversi e dati oggettivi.

 

La Politica … 

Matteo Salvini, vice premier e ministro dell'Interno, durante la trasmissione televisiva 'Porta a Porta' in onda su Rai Uno, Roma, 31 gennaio 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

La “Politica” che ultimamente non ha tra i suoi valori fondanti la coerenza, negli anni è passata dall’estremo di ignorare totalmente la “Tecnica”, vedi le opere della Legge Obbiettivo del governo Berlusconi, un mero elenco di opere considerate fattibili, all’opposto estremo, altrettanto fittizio di nascondersi dietro la tecnica per non assumersi la responsabilità della scelta. E’ il caso del contratto di governo tra Lega e 5 Stelle che hanno rinviato la scelta sulla TAV perché non riuscivano a sciogliere il nodo nei tempi stretti per la formazione del Governo e hanno delegato, strumentalmente e provvisoriamente la decisione alla tecnica. L’esito è stato che il dibattito politico di quest’ultimo mese ha denigrato lo studio ACB e ha svilito il ruolo della tecnica, fino al dileggio: per qualcuno “lo studio dà numeri a caso …”. L’opinione pubblica s’è convinta che lo studio non abbia valore perché strumentale alle posizioni politiche predeterminate.

Dalla vicenda TAV Torino – Lione dunque la “Tecnica” esce sconfitta e questo ridurrà ulteriormente la considerazione sociale per le competenze e la razionalità delle scelte per il futuro. Del resto nell’audizione in commissione parlamentare lo stesso Ponti aveva premesso che la tecnica ACB aiuta a scegliere, ma la decisione resta politica, ovvero ci sono altre considerazioni che non rientrano nell’analisi dei dati. Ma la puntualizzazione è rimasta marginale. Oggi Ponti, tecnico di provato valore, ha perso, suo malgrado, credibilità e con lui il metodo dell’analisi comunque fondata su dati oggettivi. Ponti però, uomo di lunga esperienza, avrebbe dovuto immaginare che la vicenda, così impostata, sarebbe finita in bagarre.

Il dileggio delle competenze, oggi di moda, mi preoccupa, anche pensando a esperienze passate cui brevemente accenno perché hanno qualche relazione con quanto si sta discutendo e con la realtà milanese.

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Esempi milanesi del difficile rapporto tra “Tecnica” e “Politica”.

Alla fine degli anni ‘90 la Provincia di Milano, in occasione del primo Piano territoriale di coordinamento, studiò il sistema dei trasporti metropolitani in relazione alla rete nazionale e internazionale, per pianificare il nodo dell’area metropolitana di Milano. Dall’analisi della domanda era emersa la priorità del collegamento ferroviario con il Gottardo e quindi con l’Europa e i porti del Nord. La Svizzera aveva approvato il progetto Alptransit, l’attraversamento ferroviario delle Alpi in previsione di connettersi a sud con l’Italia.

L’Italia invece privilegiò la connessione con la Francia, quindi il tratto di AV Milano – Torino e, in prospettiva, il traforo del Fréjus. Nel 2016 la Svizzera ha inaugurato la galleria di base del Gottardo, la più lunga del mondo (57 Km) ed entro il 2020 sarà completato il traforo del Cenisio verso il confine italiano. Il traforo del Fréjus e il tratto Torino Lione, dopo quasi vent’anni sono ancora in discussione e, se il Governo deciderà di realizzare l’opera, la galleria di base sarà pronta nel 2030. Per la connessione con il Gottardo le prospettive sono vaghe ma la Svizzera oggi chiede il collegamento con l’AV a Milano. (1)

Per il nodo autostradale metropolitano gli studi sulla domanda di mobilità della Provincia avevano individuato la priorità della Gronda intermedia, a nord di Milano, per ridurre la congestione del tratto metropolitano della Torino – Venezia e servire il bacino di maggior produzione di spostamenti, ovvero la Brianza. Invece di quel tracciato la Regione scelse come priorità, l’autostrada BreBeMi e la Boffalora Malpensa, senza analisi comparativa dei flussi, ma sotto le pressioni politiche locali. La BreBeMi è in difficoltà economiche per carenza di domanda e ha chiesto un sostegno pubblico (non sempre le autostrade si ripagano); la Boffalora Malpensa è sottoutilizzata, ma essendo tutta a carico dello Stato non presenta problemi di bilancio.

Sempre in quegli anni la Provincia si era dotata di uno strumento tecnico allora avanzato: un programma di simulazione della distribuzione del traffico sulla rete provinciale, in grado di valutare gli effetti degli interventi viabilistici programmati, per decidere le priorità d’intervento. Il programma e l’ufficio che lo gestiva furono dismessi dalla successiva amministrazione che preferiva basarsi esclusivamente su valutazioni di politica locale.

Sono questi esempi non trascurabili dei difficili rapporti tra Tecnica e Politica. Certo il primato della politica va riaffermato, ma la politica dovrebbe compiere le proprie scelte su basi razionali.

 

Che fare ora e in futuro?

Che fare dunque per la Tav? Non aggiungo alcuna nuova valutazione originale; solo poche righe per rendere chiara la mia posizione rispetto a quanto sopra sostenuto. La Tav Torino – Lione e il relativo traforo vanno costruiti, non ostante l’ACB sia negativa, per questi motivi. Non si può giudicare un’opera per singoli tratti; l’opera da valutare è la rete ferroviaria europea di AV. Per progetti di scala europea i benefici vanno considerati nel lungo periodo e sono difficilmente quantificabili. Infine l’Italia, come dice il ministro Tria, deve rispettare gli accordi internazionali per non perdere credibilità.

Se la politica non avesse solo obbiettivi per il giorno dopo, il Parlamento dovrebbe chiedere al Governo di affrontare la partita decisiva del grande progetto europeo e dell’infrastrutturazione del Paese, con la serietà del caso e gli strumenti intellettuali adeguati; discuterla nel Paese e porre la questione in sede europea. Al Parlamento europeo che sarà eletto il prossimo 26 maggio, si dovrà chiedere di verificare e aggiornare il progetto europeo TEN – T; valutare cosa è stato fatto e quali benefici hanno prodotto le opere realizzate; quali paesi ne hanno tratto maggior vantaggio; come sono state distribuite e utilizzate le risorse; come si sta modificando la domanda di trasporto continentale e intercontinentale, ecc. In quella sede le forze politiche europeiste dovranno chiedere ai “sovranisti” se preferiscono realizzare il grande progetto di una rete europea dei trasporti o se preferiscono rafforzare i muri di confine.

Per quanto riguarda l’Italia lo SNIT, il Piano nazionale dei trasporti, è stato elaborato in anni più recenti rispetto al progetto europeo TEN – T. E’ un elaborato tecnico di valore e un condensato di scelte politiche impegnative che riguardano il futuro del Paese a lungo termine. Come si diceva il DEF 2018 (Governo Gentiloni) ha programmato una spesa di 133 miliardi per più di 100 opere, fino al 2030. Non so quale sia stato il livello del dibattito parlamentare sullo SNIT, certamente fuori del Parlamento è stato nullo. Il Paese non crede ai piani, non crede che le opere si attueranno; il dibattito politico pubblico è interessato ai conflitti immediati, non è interessato alle prospettive future.

Il Governo, se veramente vuole cambiare il Paese come dice di voler fare, dovrebbe dichiarare se condivide l’impostazione del Piano nazionale ereditato dai precedenti governi o intende proporne la modifica. Dovrebbe monitorare l’esecuzione delle opere condivise e finanziate. Dovrebbe verificare quali sono i problemi attuativi. Le difficoltà sono solo di ordine burocratico o l’amministrazione pubblica è tecnicamente inadeguata? E cosa serve per riorganizzarla?

Come urbanista, per esempio, vorrei che le nuove opere fossero preliminarmente verificate in relazione alla pianificazione dei territori interessati. Se no capiterà come per la BreBeMi: i conti non tornano ma la nuova autostrada sta inducendo la realizzazione di impianti di stoccaggio delle merci per milioni di mq, al di fuori di ogni pianificazione di scala adeguata (le localizzazioni le decidono comuni di poche migliaia di abitanti) con buona pace del consumo di suolo e della pianificazione come “Tecnica”.

Ugo Targetti

Note

  1. La Svizzera chiede di realizzare un tratto di AV fino al nodo di Milano e by passarlo per proseguire verso Genova attraverso il Terzo valico dei Giovi, a completamento del corridoio Rotterdam – Genova. Per tale tratta c’è anche la proposta di un gruppo privato (progetto LuMiMed). Per ora RFI ha in programma solamente di migliorare le prestazioni tecniche della linea storica per il Gottardo per adeguarla all’incremento del traffico merci. L’ ipotesi di una nuova linea AV per il Gottardo non è compresa nel Programma per la mobilità e i trasporti della Lombardia (PRMT) e non è prevista nella pianificazione territoriale e urbanistica dell’area metropolitana.

 



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  1. Sergio BrennaLe polemiche sul presunto doppiopesismo del prof. Ponti (ABC negativa nella sua ricerca sulla Torino-Lione per il Ministero italiano; ABC positiva nella ricerca sulla rete TAV europea commissionata dalla UE a una società da lui presieduta) mi pare confermino invece che scrivevo il TAV può portare benefici a lungo termine solo se realizzato a sistema, ma costa anche molto nell'immediato ai singoli Paesi investitori. Alcuni dicono che dovremmo comunque investire subito molto nel tunnel in Val di Susa perchè nel 2050 o giù di lì - quando forse gli altri si decideranno a investire nelle tratte Lione-Lisbona e Venezia-Kiev, per ora fantasmatiche - il tracciato sarà obbligato a passare a sud e non a nord delle Alpi. C''è poi da considerare che se anche l'analisi costi-benefici economici diventasse positiva magari anche solo per l'Italia per maggiori compartecipazioni UE o francesi, non lo sarebbe il "bilancio della CO2", che sembra invece essere tra le motivazioni "nobili" dei sostenitori del tunnel. "Si possono calcolare i costi-benefici delle emissioni? Sì, con quello che viene chiamato il «bilancio del carbonio». (...) Il cuore del TAV è il supertunnel. Conviene? Per non sbagliare, conviene affidarsi non ai dati forniti dai pericolosi NoTav, ma a quelli messi a disposizione dai sostenitori dell'opera. Basta andare a spulciare i Quaderni prodotti dall'Osservatorio Torino-Lione, diretto da Mario Virano, che oggi è il direttore generale di Telt, la società italo-francese che si propone di realizzare la linea. Il Quaderno n. 8, uscito nel 2011 con il titolo Analisi costi-benefici, presenta alcune tabelle assai istruttive. Mostrano che durante tutta la costruzione del tunnel le emissioni aumenteranno a botte di circa 1 milione di tonnellate di CO2 l'anno, accumulando nel tempo oltre 12 milioni di tonnellate. Risultato: l'effetto negativo durerà almeno - ammette l'Osservatorio di Virno - per altri 12 anni dopo la fine dell'opera. Se dunque i lavori inizieranno nel 2020 e dureranno 15 anni (a essere ottimistici), l'apertura del tunnel sarà nel 2035 e poi ci vorranno altri 12 anni prima che si sentano i primi timidi effetti benefici del passaggio (non garantito) dai camion al treno: dunque, superinquinamento (garantito) almeno sino al 2047. solo da quell'anno il bilancio comincerà ad essere positivo, la quantità di CO2 risparmiata sarà maggiore di quella prodotta per realizzare la linea: se davvero il passaggio gomma-ferro avverrà nella misura ipotizzata dai fautori del Tav." (Gianni Barbacetto, Il Fatto Quotidiano, 13.3.2019, p. 2) Facciamo così: firmiamo tutti una cambiale al 2050 con l'impegno che, quando lo faranno anche tutti gli altri, anche noi ci impegneremo a investire di nostro in quel tracciato. Fra partner leali si fa così, no ? A meno che si sia come tra i bari all'osteria...
    13 marzo 2019 • 17:47Rispondi
    • Ugo TargettiCaro Sergio, non credo alle analisi ecologiche puntuali come la produzione di CO2 in fase di cantiere. Qualsiasi cantiere edile produce CO2 e andrebbe quindi visto con sospetto. Ho riserve sull’analisi CB su singoli tratti di reti infrastrutturali; penso che l’analisi CB sia utile per decidere le priorità, non per decidere se fare o no un’opera compresa in una pianificazione più generale (tanto più se è già stata decisa e iniziata). Credo invece nelle strategie e quindi nella pianificazione. L’Europa si è data una strategia, la rete TEN - T per rafforzare le connessioni continentali e per trasferire sul ferro una quota rilevante delle merci sulle tratte di lunga percorrenza. L’Italia si è dotata di un Piano dei trasporti coerente alla strategia europea. Ora si tratta di decidere se tali strategie le sosteniamo o pensiamo che vadano cambiate e come. La domanda di mobilità di persone e merci è in continuo aumento (probabilmente questo modello di sviluppo non è compatibile con la capacità ecologica della terra ma non la risolviamo oggi, qui). La Svizzera ha completato il traforo di base del Gottardo (57 KM) e l’anno prossimo completerà il traforo del Cenisio; le merci dal nord Europa dovranno attraversare la Svizzera in treno e proseguire fino al centro intermodale Hupac (svizzero) di Busto Arsizio per poi proseguire in camion per la maggior parte. Dalla Cina sono in arrivo treni con scalo a Melzo. La nuova “via della seta” si attesterà a Trieste (?). La rete nazionale (intesa come sistema integrato ferro gomma e centri di interscambio) non ostante i miglioramenti è ancora inadeguata e ha diversi punti critici. Venti anni or sono la Provincia, attuale Città metropolitana, aveva sostenuto le priorità del raccordo con l’Alptransit svizzero e della riorganizzazione del nodo ferroviario di Milano compresi i centri intermodali. La scelta nazionale fu di privilegiare l’asse Est – Ovest e quindi la TAV Milano Torino e poi il Fréjus per ragioni sia nazionali (l’asse Torino - Milano -Trieste) che internazionali spostare a sud il corridoio europeo Est – Ovest). La scelta regionale fu di lasciare al mercato le scelte per la logistica. Comunque adesso almeno completiamo la scelta fatta; facciamo il traforo del Fréjus e proseguiamo l’AV –AC almeno fino a Verona. Poi bisognerà decidere se la priorità è proseguire fino a Trieste o connettersi meglio con il Gottardo?
      17 marzo 2019 • 11:08
  2. Gianluca GennaiLa Sua mi trova d'accordo sulla linea del rilancio dei trasporti su ferro, peraltro sostenuta anche dalle recenti tendenze ma non certo dalla realtà dei fatti. Certamente Milano va verso questa soluzione che tuttavia include il coraggio di fare delle scelte assai poco sostenibili politicamente pur essendolo tecnicamente. Riprendendo il suo teorema,non sono del tutto d'accordo sulle autostrade, nel senso che l'Italia ha bisogno di un politica di sviluppo delle vie di grande comunicazione tout court. La strada cesserà di essere un vettore commerciale, quando i settori saranno adeguatamente supportati da tecniche e vie alternative ( mare, aria, ferro ) e da infrastrutture adeguate che tuttavia includono un cambiamento di strategie anche del privato, oggi completamente dipendente dalla gomma, anche solo per l'ultimo Km che domani potrà essere gestito con mezzi elettrici ( Proprio sulla citata Brebemi, dovrebbe partire un tratto sperimentale per mezzi pesanti a trazione elettrica, ibridi connessi tramite pantografo al trefolo come un treno). Insomma, un cane che si morde la coda dove alla fine ne usciamo gattopardiani. Certamente il professor Ponti ha fatto un'analisi difficilmente comprensibile ma che,se non fosse stata legata alla TAV, avrebbe dato una chiave di lettura basata su una realtà oggettiva e anche tecnica, infondo oggi l'Italia è questa, una realtà che non piace ma anche ben lontana dai processi di trasformazione così radicali, quindi bisogna parlare dei tempi in cui viviamo. Purtroppo è stato tirato per la giacchetta e oggi è il capro espiatorio di una posizione politica bieca e totalmente priva di senso strategico nazionale, oltre che europeo.Dal punto di vista personale, sono per le visioni d'insieme e per questo, avendolo vissuto di persona fin dai primi tratti della TAV, il territorio di Venaus e zone limitrofe, andrebbe rilanciato nel suo insieme, ergo : si TAV ma rilanciamo i trasporti in quella zona e ridiamo alla popolazione locale una speranza di rilancio, una prospettiva che si è spenta molti anni fa dopo che l'industrializzazione rese quella zona una miniera d'oro poi diventata una valle della morte.
    13 marzo 2019 • 17:58Rispondi
  3. Franco PugliaIn tutta questa vicenda del TAV (al maschile) mi pare che ci siano da tempo molte distorsioni. 1. La contrapposizione ferro - gomma, che è artificiosa, perché il ferro è "rigido" mentre la gomma è "flessibile" sia in termini di materiale che, e questo conta, di linea di collegamento. I due sistemi si integrano e non ha senso metterli in competizione. Nel conto, inoltre si dovrebbe inserire anche il trasporto aereo, ignorato. 2. L'analisi costi benefici lascia il tempo che trova, anche se va fatta, perché le grandi infrastrutture sono in buona misura scommesse sul futuro e la loro presenza determina una evoluzione del territorio che attraversano non predeterminabile a priori. I benefici potranno esserci oppure no, ma si misurano nell'arco di generazioni. 3. Le scelte viabilistiche vanno formulate in base a ragionamenti di ordine "neurale" , prendendo i grandi insediamenti urbani come NEURONI di un vasto sistema socioeconomico, unendoli con "assoni" principali capaci di trasportare velocemente persone e cose in massa, con una fitta rete di collegamenti sinaptici secondari più flessibili, in cui il mezzo di trasporto può essere solo su gomma. Questo criterio sinaptico dovrebbe valere per ogni territorio urbanizzato, piccolo o grande che sia, quindi a livello europeo, nazionale e cittadino. Perciò è inutile chiedersi se il TAV Torino Lione sia utile o inutile : collega Milano a Parigi attraverso Torino e Lione ? Si. Quindi va bene. E l'analogo serve tra Milano e Vienna, verso est, e poi tra Milano e Zurigo, verso nord. Se ci sono o meno i soldi, tenuto conto di altre priorità, è una questione diversa, ma prescinde da qualsiasi analisi costi benefici.
    20 marzo 2019 • 09:55Rispondi
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