19 marzo 2024

NON PARLATE AL GUIDATORE

Ovvero l'oligarchia degli eletti


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“Anonimoahimè” commenta l’editoriale “Comune di Milano: psicoterapia di gruppo” di Luca Beltrami Gadola. Gli ha risposto il Direttore, ma qualche parola la vorrei dire anch’io. Lascio da parte il merito della questione: né architetto, né urbanista, né giurista, rimando ad altri contributi già pubblicati, di spessore tecnico disciplinare, articolati e diversamente critici.

Da “uomo della strada”, guardo però con stupore al “tirare su” grattacieli di 25 piani senza altro obbligo che una misera SCIA, e senza che nessuno dei responsabili a vario titolo (legislatori, amministratori, dirigenti, funzionari) si ponga, si sia finora posto, una minima domanda sull’impatto, i servizi, gli oneri e i danni che ne derivano alla città. Né riconosca per sé una qualsiasi responsabilità, anche parziale, anche morale. Mentre Tartufe si auto assolve, Candide fa domande senza risposte. Chiamatela deregulation, ma pare macelleria urbana, e il sospetto che il cittadino non sia il macellaio è molto forte.

Vorrei piuttosto approfondire altri aspetti. Anonimoahimè lancia il sasso ma nasconde la mano e perché poi? Mancano le guarentigie liberaldemocratiche, o si preoccupa di interessi opachi, suoi o di altri, e non vuole che si intendano? Passiamo oltre, ma chi pretende trasparenza deve praticarla per primo. Ringhia dunque l’uomo senza volto a Beltrami Gadola: se ha qualcosa da dire “si candidi” e ce la vedremo in Consiglio Comunale “unico corretto luogo democratico dove dibatterne”.

L’arroganza non basta a coprire la duplice lesione inferta alla minima intelligenza delle cose, sulla natura della democrazia (pur rappresentativa) e sul funzionamento dell’attuale attività consiliare. Anonimo propone una caricatura della democrazia, talmente limitata e afasica da trasfigurarsi in “oligarchia degli eletti”. La restringe all’atto istantaneo con cui si elegge un rappresentante (sempre più spesso un capo), negando però il suo principale motore vitale, la discussione pubblica, ovvero in termini più elevati il “processo deliberativo permanente”.

Deponendo la scheda nell’urna elettorale, il cittadino emergerebbe dalla mota indistinta della società civile (“cosiddetta”) per esserne inghiottito subito dopo, immemore di sé per i cinque anni successivi. Come toccato dallo Spirito Santo, solo nella penombra favorevole della cabina elettorale troverebbe contezza di sé e della trama che lo connette alla città. Solo nel contesto salvifico del “comizio elettorale” sarebbe davvero “cittadino”. Poi basta però, che tocca ad altri, gli eletti, unici legittimati non solo a decidere per conto della città (ci mancherebbe), ma anche a pensare e deliberare per tutti

Spiace, ma le cose non stanno così. La democrazia non si esaurisce il giorno del voto, ma si nutre della continua partecipazione dei cittadini alla vita politica della città. E non come esercizio consolatorio, compensazione fittizia di uno spossessamento reale di diritti originari conculcati (ah Jean Jacques..), ma come la concreta pratica attraverso cui il cittadino realizza la sua natura di “animale politico”. Contribuisce allo svolgersi della vita associata, si informa, discute, valuta, si unisce ad altri, contesta, suggerisce, sostiene, prende posizione, insomma è “soggetto politico” pur operando nella società civile.

Del resto, in termini pratici, neppure sarebbe mai possibile ipotizzare che la “prestazione” del voto possa contenere in sé, per la complessa molteplicità degli interessi e il dinamismo accelerato del cambiamento, l’adesione obbligatoria degli elettori a tutte le decisioni successivamente adottate dagli eletti per ogni questione concreta.

Lo capisce anche un bambino (non Anonimoahimè però): altra cosa è esprimersi a favore di una visione politica complessiva, necessariamente generale se non generica, dei principi, dei valori e di alcuni essenziali orientamenti dell’amministrazione comunale, altra cosa è staccare una delega in bianco, che vorrebbe il cittadino muto destinatario di decisioni sui mille problemi, molti neppure prevedibili, che si presentano nel quinquennio. Senza tornare alle Agorà greche, serve una dialettica costante tra rappresentanti e rappresentati, tra eletto ed elettore, pena lo scollamento tra istituzione e città.

Un esempio per tutti e paradigmatico, San Siro, è storia ormai. Concordata con le S.P.A. Milan ed Internazionale la demolizione dello Stadio di San Siro, naturalmente sub specie “rigenerazione urbana” erogatrice di enormi plusvalenze immobiliari, ne nasce una forte opinione contraria all’operazione, lesiva del sentimento popolare e degli interessi diffusi. Il movimento, trasversale ed espressione di larga parte della società civile, ha trovato risorse e strumenti per farsi valere nella dialettica con le istituzioni cittadine, ben oltre le briglie del preordinato e stucchevole processo pseudo deliberativo denominato “debat public”.

In estrema sintesi, la voce larga e appassionata di tanta parte della città si è imposta sulla concorde volontà della Giunta cittadina e del famelico agglomerato calcistico-immobiliarista. E finalmente ora Beppe Sala si ritrae e ridisegna San Siro come location per i grandi eventi: non lo sapeva prima? E non è stata la pressione dell’opinione pubblica a impedire a lui e alla Giunta un grave passo falso? E chi e come e quando si è fatto carico di questo cambiamento, se non il cittadino?

Se questa dialettica vale in generale per la democrazia rappresentativa, con maggior ragione si impone di fronte alla forma di “democrazia ristretta” o a sovranità limitata, introdotta dalla Bassanini, dove il Sindaco è demiurgo solitario e il Consiglio quasi privo di funzione effettiva che non sia ratificarne la volontà o chiudere l’esercizio. Non c’è qui spazio per procedere oltre, ma il sistema politico istituzionale, nell’assegnare al Sindaco poteri quasi illimitati, tacitate o quasi voci e poteri alternativi in Consiglio, avrebbe dovuto immaginare e legittimare altri sbocchi e canali di comunicazione e condivisione con la città.

Ma il nostro Anonimo finge di non sapere ciò che sanno tutti, e insiste a rappresentare l’attuale pur declassato Consiglio Comunale come luogo centrale della dialettica cittadina. Quanto lo vorremmo, ma di fatto oggi vi si discorre poco e decide quasi nulla. Il “Re è nudo”, oltre al danno la beffa.

Negando la realtà, si ingiunge a chi osa discutere le decisioni in pubblico a candidarsi per presentare le istanze divergenti in questa sola legittima sede. Viene da sorridere per la rozzezza del pensiero, ma Anonimo vuole strafare e intima ai consiglieri che oggi sussurrano perplessità di farsi riconoscere: ”Ci sono già evidentemente componenti del consiglio comunale in linea con questi pensieri. Che vengano allo scoperto e costituiscano un gruppo consiliare nuovo che porti queste istanze nell’unico corretto luogo democratico dove dibatterne”.

Cosa sa Anonimo che noi poveri cittadini non sappiamo e come può chiedere ad altri (esporsi pubblicamente) quanto per sé rifiuta? E infine perché costituire “un gruppo consiliare nuovo”? Di nuovo, cosa sa Anonimo e per quale motivo non lo dice?  “Che vengano allo scoperto” strepita ormai senza controllo e sembra di sentire il Tecoppa (*) lamentarsi comicamente con i suoi avversari: “Se continui a muoverti come faccio ad infilzarti”?

Che dire infine della tesi per cui il Consiglio Comunale sarebbe l’“unico corretto luogo democratico”, dove discutere delle cose della città. Un’enormità, una fesseria colossale, da compatire se non fosse che da qualche tempo tira una brutta aria.

 “Non parlate al Guidatore”: come passeggeri sul tram, così “Anonimoahimè” ci vede e vorrebbe. Con Giorgio Gaber pensiamo invece che, come la libertà, anche “la democrazia è partecipazione”.

Giuseppe Ucciero

(*) antica maschera milanese che millantava grandi virtù schermistiche, senza meriti però.



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