26 novembre 2019
CASE POPOLARI: L’ETERNA ALLUSIONE
Inutile alludere, il problema si aggrava. Solo parole
26 novembre 2019
Inutile alludere, il problema si aggrava. Solo parole
L’effervescente Milano non manca mai di stupire un vecchio spettatore: sarei io. Facebook ci ha portato le immagini che l’assessore Maran ha postato mentre mette a dimora un acero nella “nuova” Piazza Sant’Agostino. Mossa incauta perché sono piovuti commenti da levare il pelo. Ma negli ultimi tempi non è il primo post di illustri cittadini, benefattori, volonterosi che fanno la stessa cosa: piantare un albero è diventato una sorta di rito pagano propiziatorio per placare il dio ambiente che ci sta punendo con durezza. Quando avranno finito di piantare alberi, faremo i conti di quel che costerà mantenere questo verde e ci dovranno pure dire quanto intendono accantonare annualmente per la sua manutenzione.
Non sono un nemico del verde, quanto mai, ma mi piace fare i conti: la promessa del verde va “mantenuta” in tutti i sensi e ben collocata nell’elenco dei “bisogni” della città. Rincorrere Green City fa notizia e da visibilità. Ecco quello che conta.
Ma lasciamo da parte il verde e non parliamo nemmeno del Circo a tre piste “Milano Partecipa” organizzato dall’assessore Lipparini. Aspettiamo gli echi e le ricadute per parlarne e veniamo invece a un contemporaneo ma meno noto convegno alla Casa della Cultura di venerdì scorso 22 novembre dal titolo “MILANO CITTÀ ESCLUSIVA – MILANO CITTÀ CHE ESCLUDE”, tutto incentrato sul problema dell’edilizia sociale, quella che una volta con più affetto chiamavamo edilizia popolare, oggi declinata in tanti modi e in tante fattispecie che frammentano il problema ma non lo risolvono.
Il sottotitolo del convegno, organizzato da SICeT – Sindacato Inquilini Casa e Territorio – chiarisce bene i contenuti: “Emergenza abitativa a Milano: analisi e proposte per un welfare abitativo”, il che vuol dire non solo case ma anche società, perché la crisi non concerne solo la disponibilità di alloggi ma anche la crisi sociale, in tutte le forme di disagio, che investe i quartieri popolari.
I quotidiani milanesi hanno ripreso del convegno sostanzialmente solo i dati “quantitativi” emersi in particolare dalla relazione di Mattia Gatti che sottolinea l’assoluta inadeguatezza (il 3,4%, ossia il nulla) della risposta alla domanda di alloggi ma hanno trascurato il contenuto di altre due relazioni, quella introduttiva di Ermanno Ronda e quella di Gregorio Praderio che allarga l’orizzonte agli aspetti urbanistici del problema.
Per non dilungarmi in un puntuale report sugli argomenti trattati nel convegno, allego le tre relazioni più significative – Ronda, Gatti e Praderio – e arrivo subito all’estrema sintesi. (Relazione Ronda | Relazione Gatti | Relazione Praderio)
La politica della casa è un rosario di fallimenti a partire almeno dal 1980 e da allora si è addirittura svenduto una parte importante del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, chiedendo ai Comuni e alle ALER – aziende locali per l’edilizia residenziale – di mantenere il proprio patrimonio in pessime condizioni facendo cassa con le vendite di parte dello stesso, quando anche i sassi sapevano che il problema era invece di dedicare nuovi fondi pubblici per questa manutenzione per non corrodere così lo stock di edilizia pubblica.
Da allora si è parlato di edilizia pubblica solo per allusioni, inserendola in tutti gli strumenti urbanistici come obiettivo mai nemmeno lontanamente raggiunto ma solo evocato, vedi il recente PGT milanese, col pensiero che gli operatori immobiliari provvedessero alla bisogna piegati dall’obbligo di destinare una parte delle cubature concesse a questo tipo di edilizia. Da anni si inventano questi strumenti con risultati irrilevanti rispetto alle reali necessità.
Forse è arrivato il momento di affrontare il problema con un’ottica totalmente diversa.
L’edilizia sociale va considerata come una infrastruttura abilitante al pari delle strade, degli ospedali, delle ferrovie o degli aeroporti. Oggi si parla giustamente d’infrastruttura abilitante come la banda larga, le reti cablate, le piattaforme digitali con un’ottica tutta volta a dotare il Paese degli strumenti che favoriscano la crescita ma mai si parla dell’edilizia sociale in questi termini.
A cosa “abilita” l’edilizia sociale? Alla decrescita delle disuguaglianze che oggi invece crescono, all’integrazione, alla soluzione del problema delle periferie: insomma a far crescere la civiltà urbana e con essa la prosperità delle comunità locali.
Un effetto non trascurabile sarebbe, tra l’altro, quello di calmierare la rendita immobiliare che oggi con canoni di locazione e prezzi di vendita fuori portata drena risorse economiche alle famiglie sottraendole ai consumi dei quali si lamenta il calo. Lontani e irraggiungibili i traguardi di un tempo, quando si diceva che il costo della casa non dovesse superare il 20% del reddito. Oggi si è aperta la forbice: i redditi da lavoro sono diminuiti i prezzi delle case sono aumentati.
Una situazione insostenibile che fa’ a pugni con le dichiarazioni di attenzione agli strati meno fortunati della popolazione, con l’attenzione ai giovani che devono vivere di un lavoro sottopagato ma anche all’impoverimento dei ceti medi.
Luca Beltrami Gadola
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