12 aprile 2019

MIART: TRA MECENATISMO, SPONSORIZZAZIONE E PARTNERSHIP

Una pericolosa confusione tra pubblico e privato


La doverosa premessa è che MIART 2019, chiusa il 7 aprile in contemporanea con Milano Art Week e a poco più di un mese da Museo City, è notevolmente migliorata rispetto alle precedenti edizioni non solo per l’ampliata partecipazione di importanti gallerie italiane e straniere, ma anche per la qualità complessiva delle opere esposte.

Quello che, a parere di molti, appariva un limite della nostra manifestazione, proiettata su un’offerta dagli inizi del ’900 fino alle ricerche più recenti intercettando il contemporaneo già affermato, sembra essersi rivelata una risorsa. Come testimonia il direttore artistico, Alessandro Rabottini, “si è lavorato su un mix di storia e sperimentazione, novità e tradizione, pensando sempre che il mondo dell’arte è fatto di tanti mondi e sviluppando un modello inclusivo. Mentre negli ultimi anni alcune fiere concorrenti si sono orientate su un contemporaneo molto stretto, alienandosi il pubblico interessato anche all’arte storica, e altre hanno progressivamente abdicato alla sperimentazione”.

MIART ha anche l’ambizione di essere “un’occasione di conoscenza dello stato attuale dell’arte contemporanea … su come possa raccontare il presente che stiamo vivendo, attraversato da diversi temi e urgenze … nonché sulla responsabilità sociale dell’arte”.

Il 29 marzo ho assistito alla presentazione ai Musei d’Italia, e devo dire che c’è una questione che mi ha sconcertato, consistente nel divario tra l’impostazione manageriale dell’evento rispetto alla soavità del motto abbi cara ogni cosa – preso a prestito dal poema di Gareth Evans con cui si è presentata alla stampa, senza pretendere di esserne il titolo – e rispetto al tema di riferimento, il bene comune, di grande attualità politica.

Infatti la presentazione è stata fortemente caratterizzata dagli interventi sulle questioni di strategia imprenditoriale dei dirigenti di Intesa San Paolo che, essendo main partner per il secondo anno, si è già candidata anche per il 2020. Ma questo interesse della banca ha finito per surclassare i contenuti a favore non solo del legittimo ritorno d’immagine ma anche per l’evidenza dei vantaggi economici derivanti dalle prestazioni offerte nell’ambito dell’art advisory service,al quale è stato dedicato uno spazio in fiera che ha reso la sua presenza particolarmente invadente.

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Accesso Vip Lounge Miart 2019 con indicazione di alcuni sponsor e partner

A differenza degli altri partner e sponsor di MIART, essendo quella di Intesa San Paolo una vera e propria partnership, è giusto chiedersi quanto pesi sui contenuti culturali della manifestazione la mobilitazione di questa potente forza economica.

Si potrà osservare che una fiera serve innanzitutto a vendere e acquistare opere d’arte e che quindi l’aspetto economico fa strutturalmente parte dell’evento. Ma la sua eccessiva enfatizzazione, per quanto messa a confronto con i temi di carattere politico trattati nei tre convegni di Miartalks – che vanno dalla trasformazione sociale responsabile al surriscaldamento globale, dalla decolonizzazione ai beni comuni e all’arte come patrimonio collettivo – risulta un fattore che sottrae a MIART quell’aura che, in quanto evento artistico e culturale, dovrebbe comunque preservare.

E del resto, se le problematiche citate richiedono necessariamente una sistematizzazione per il loro carattere eminentemente politico, in ambito artistico devono restare oggetto della libera, contradditoria e talvolta paradossale interpretazione da parte degli artisti che ne ricavano i messaggi e le provocazioni che spesso ci fanno riflettere più di qualsiasi considerazione razionale.

Inoltre, svelare tutti i retroscena del mercato dell’arte che da pratica riservata agli appassionati si trasforma sotto i nostri occhi in strategia di investimento speculativo per tutti non può non avere effetti sul comportamento degli stessi artisti e sulle nostre capacità di discernimento e valutazione del loro lavoro.

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Paloma Vargas Weiz, Bumpman on a tree trunk, Gladstone Gallery

E sembra che qualche evidente conseguenza di questa situazione si possa già registrare nel fatto che un certo numero di autori più che proporsi di interessare e affascinare, tendono a impressionare e stupire. Inoltre, che la selezione di certi artisti e opere da premiare risponda più a esigenze di mercato per la loro facile apprezzabilità anche da parte di un pubblico non particolarmente preparato. Mi sembra sia questo il caso del riconoscimento tributato a Paolo Bini, già vincitore del premio Cairo, con l’acquisizione da parte di Intesa San Paolo di una sua opera che esprime un sofisticato decorativismo.

Di tutt’altro genere è il sostegno offerto dal Comune di Milano con Art Week che, in concomitanza con MIART, ha attivato decine di gallerie, fondazioni, musei e varie organizzazioni no profit, che hanno animato la città con le proprie iniziative, in molti casi localizzate anche in periferia. E’ questo senza dubbio il modo più appropriato per far partecipare anche le zone meno avvantaggiate della città agli eventi che per ragioni organizzative devono essere confinati all’interno di una struttura fieristica espositiva. Ma questo fatto mette anche in evidenza la presenza di un patrimonio disperso nel territorio che si rende disponibile solo occasionalmente e che sarebbe invece opportuno valorizzare rendendolo accessibile e fruibile lungo tutto l’arco dell’anno.

Ed è anche la dimostrazione dell’effetto rigenerativo che l’arte e la cultura possono avere anche per i luoghi apparentemente meno vocati. Ne sono esempio la Fondazione Prada, l’Hangar Bicocca e la nuova Galleria di Massimo De Carlo in viale Lombardia.

Se si considera che Milano non ha ancora un proprio museo d’arte contemporanea, di cui si parla da anni senza che non si sia ancora neanche pensato a dove localizzarlo, sarebbe opportuno – come abbiamo già trattato su queste stesse pagine – realizzare un museo diffuso del contemporaneo, individuando degli itinerari tematici che, dalla Fondazione Prada all’Hangar Bicocca, dal Museo del Novecento alla Triennale, intercettino anche le molte realtà minori che nell’insieme non sono meno importanti. Tale iniziativa avrebbe il pregio di associare alla nostra città una rete di realtà e ancorare permanentemente un insieme di contenuti che sono assoggettati alla periodizzazione degli eventi ai quali sono collegati.

C’è dunque ragione di riflettere sulla cifra che MIART intende comunicare tra mecenatismo, sponsorizzazione e partnership. Mentre il mecenate si rivolge direttamente agli artisti e ha come unico effetto l’aumento del proprio prestigio sociale e lo sponsor finanzia eventi di vario genere, ricavandone effetti pubblicitari spesso di enorme efficacia, il partner svolge invece la propria attività di stretta collaborazione instaurando rapporti commerciali con i contraenti.

Ritengo che, per come si svolgono le attività di Intesa San Paolo all’interno di MIART, il rapporto instaurato lascia tutti rischi in capo a quest’ultima e quindi al soggetto pubblico, con modalità che riguardano molte situazioni attuali del rapporto tra pubblico e privato. Per cui, Miart produce ricchezza e valore usando risorse pubbliche e il main partner privato ne approfitta estraendo per sé vantaggi e profitti.

Altro che bene comune!

Emilio Battisti



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