5 dicembre 2023

UN MODELLO LABILE CHE LASCIA SOLA LA CITTÀ

Dopo Sala possibile un “Papa straniero”?


Copia di Copia di rification

La ragione dell’offuscarsi del “modello Milano” starebbe proprio nel non costituire affatto un modello bensì un pezzo unico non imitabile, e tuttavia deteriorabile. Il suo declamato successo è risultato da un evento, l’EXPO 2015, di grande rilevanza e conseguenze ma pur sempre un fenomeno eventuale, non fondato su solide radici. Siamo ben lontani dal modello esemplare che la città aveva percorso nel secolo passato, basato su un robusto radicamento industriale e commerciale e una memorabile lungimiranza tecnico-politica delle amministrazioni municipali e provinciali.

Certamente sullo sfondo domina la trasformazione del quadro socio-economico complessivo, l’inedita distribuzione globale delle funzioni e dei poteri che condiziona scelte e decisioni locali.

Il passaggio della “Milano da bere” ha per altro ben rappresentato il trait d’union nel cambio di scenario tra i due secoli, con un mutamento significativo riguardo le politiche del territorio.

Vedi la decisione del sindaco Tognoli e dell’assessore Mottini di equiparare le destinazioni d’uso secondarie – industriali dismesse o da dismettere –  con quelle terziarie. Una volta aperta la stalla, la fuga dei buoi è risultata massiccia e irreversibile. Accanto alle destinazioni terziarie si è affiancata e sovrapposta  l’edilizia residenziale intensiva.

Intanto si affaccia la fase post-urbanistica. Ai vecchi e solidi PRG subentrano  flessibili “piani di governo del territorio”, peraltro svincolati da ogni inquadramento sovra-comunale. Il declino del PIM (Piano Intercomunale Milanese) fino alla sua riduzione ad innocuo “centro studi” ha disperso la visione d’insieme e le linee guida per un regolato sviluppo dell’ampia area metropolitana.

La sopracitata svolta operata dalla giunta Tognoli-Mottini ha infatti alterato unilateralmente i rapporti tra la città e la sua provincia. La corsa alla terziarizzazione nel centro ha spiazzato le fasce esterne, deprezzandone i relativi valori immobiliari. La massiccia espulsione di residenti verso i comuni circostanti ha accresciuto pendolarismo e conseguenti disagi (traffico, inquinamento, trasporti extra-urbani insufficienti e inefficienti a fronte dell’intenso sviluppo intra moenia della rete MM).

La protesta ed il risentimento verso il capoluogo hanno avuto conseguenze politiche pesanti,  prendendo forma sia con la secessione brianzola che col rovesciamento dei rapporti elettorali nell’hinterland. La “cintura rossa” si scolora e comuni-simbolo come Sesto, Cinisello, Cologno non casualmente passano al centrodestra.

Significativa la vicenda della scissione della provincia monzasco-brianzola, nata all’insegna dei “padroni in casa propria” di Bossi e passata senza discussione pubblica né verifica popolare: escluso a priori ed all’unanimità dei partiti un doveroso referendum! Scissione per altro ingenua ed illusoria, stante l’ineliminabile appartenenza ad un mercato –  immobiliare e del lavoro – del tutto integrato nella dimensione metropolitana. (Utile solo a esponenti di enti e ordini professionali interessati a creare ex-novo incarichi e cariche “provinciali”!)

Tuttavia queste evenienze, per altro guidate da orientamenti leghisti e di destra, non hanno scalfito l’interesse della Milano non solo politica ma anche intellettuale e professionale, stante una incontenibile assuefazione a rimirare il proprio ombelico, ovvero “il modello” di città tanto straordinaria quanto autoreferenziale.

Una città paradossalmente aperta al mondo ma chiusa al vicinato, accessibile alle più ampie relazioni esterne riguardo economia, cultura e innovazione ma solitaria – all’interno della centenaria cinta daziaria – sotto il profilo politico e amministrativo.

Ora il nodo viene al pettine. Dai sottotitoli degli ultimi editoriali qui apparsi: “agonia del modello Milano” (L. Beltrami Gadola), “dove trovare il futuro di Milano?” (M. Garzonio), “dalla sofferenza sociale la spinta verso una nuova governance cittadina?” (G. Ucciero).

Come se ne esce? Azzardiamo due ipotesi:

– alzando lo sguardo verso la “città infinita” (*); cercando la riconciliazione con il proprio intorno; riconoscendo che il secolare confine amministrativo vigente è del tutto obsoleto; recuperando pari dignità con i coinquilini metropolitani, riconsiderando la frattura con una provincina sorta al grido di “Milano matrigna!” (al netto della miope mossa di auto-esclusione );

provando, dopo Sala, un “papa straniero”. Se la stessa Chiesa cattolica per volersi rigenerare ha chiamato “un Papa venuto dalla fine del mondo” perché non aprire le future “primarie” a candidati europei provenienti (a eleggibilità compatibile) da Lione o Barcellona o Copenaghen, ovvero città a struttura metropolitana sperimentata da mezzo secolo?

Valentino Ballabio

 

(*) “La città infinita”, XX Esposizione internazionale della Triennale di Milano, 2004.

 



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