5 dicembre 2023

MILANO E LA SCALA: AMORE E ODIO

Una storia senza fine


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Da molti anni a questa parte ovvero da quando la prima della Scala è stata spostata dal 26 dicembre a Sant’Ambrogio in questo periodo è tutto un fiorire di racconti, memorie, celebrazioni quasi sempre encomiastiche attorno al “tempio della lirica”, Milano celebra sé stessa in un rito quasi sacro, ma non è stato sempre così anzi il rapporto tra la Scala e il Comune è stato molto spesso conflittuale.

La ragione più che questioni artistiche, politiche, sindacali è fondamentalmente una: i danè.

Dal giorno nel 1815 in cui fu proibito dagli austriaci il gioco d’azzardo nel ridotto (“l’esecrabile ridotto laddove un uomo ricco sfondato, sur una carta spiantasi di botto” dicea il Parini), che i francesi più libertini avevano legalizzato e che era fonte di guadagni sicuri, la Scala ha avuto quasi sempre bilanci in perdita che venivano “ripianati” grazie al contributo pubblico in pratica comunale.

Nel 1897 i palchettisti di fatto i veri proprietari/gestori del teatro intentano causa al Comune affinché contribuisse alle spese di gestione in modo obbligatorio, la causa  fu persa ma magnanimamente il Comune si offrì di versare 150000 lire. La vicenda però si intrecciò con la politica comunale, infatti, il 18 dicembre 1899 venne eletto sindaco Giuseppe Mussi appoggiato dai socialisti che di fronte alla richiesta di quattrini del teatro risponde convocando il 4 dicembre 1901 un referendum.

Il quesito pur con molte subordinate implicite che tendevano a lasciare mano libera all’amministrazione era chiaro: “Se il Comune abbia a concorrere nelle spese di esercizio del teatro alla Scala.”, la votazione “si fa a mezzo di scheda in carta bianca, dalla quale risulti chiaramente il voto, espresso con la parola si, oppure no”.

Gli schieramenti sono chiari: per il socialista Luigi Majno, uomo di punta del riformismo socialista milanese, principe del foro che nella sua vita fu prosindaco della città, assessore, rettore della Bocconi, presidente dell’Umanitaria, docente universitario, presidente dell’ordine degli avvocati, membro della commissione di beneficenza della Cassa di Risparmio, “le 150.000 lire il Comune potrà spenderle per altro e più morale intervento… Le spese per spettacoli non si possono ammettere per una questione di principio … nei doveri di un comune moderno non può darsi la prevalenza al teatro”.

Il futuro sindaco Caldara sosteneva in un comizio “il Comune provveda ai bisogni generali della città, piuttosto che favorire un istituzione che forma l’interesse e il godimento di pochi”, e per l’altro futuro sindaco   in un comizio nelle scuole di via Giusti (le scuole erano il luogo principale dei comizi): “alla Scala concorrono il comune, l’esercente e i palchettisti, i primi due perdono il terzo guadagna sempre”.

Ancor più contrari i cattolici. Il comizio del Fascio Cattolico fu sciolto dalla polizia e gli organizzatori (Oliva Luigi e Grossoni Ercole) denunciati per non aver preventivamente avvisato la questura ma poi assolti perché il tribunale ritenne che il referendum potesse essere inserito tra i comizi elettorali per i quali non esisteva procedura autorizzativa. Anche un comizio di Filippo Meda, contrario al contributo, fu sospeso con tafferugli.

Favorevoli al contributo l’associazione industriali e gli esercenti che temevano per l’indotto, così quantificato: “l’indotto delle sartorie teatrali che danno lavoro a 1000 operai ed hanno un giro d’affari superiore al milione, le agenzie teatrali (ne erano 17) con un giro d’affari di 8 milioni, 70 maestri di canto ecc.”, valutando in 1.600.000 lire l’indotto complessivo.

A fronte di previsioni incerte il risultato fu nettissimo: aventi diritto al voto 56.983 i votanti 18.905: si 7.214, no 11.460, bianche 24, nulle 197.

Il referendum di fatto consultivo non risolse la questione che si trascinò per i successivi 20 anni.

I favorevoli al contributo rimarcarono la scarsa partecipazione al voto i contrari festeggiarono ma la giunta cambiò e i moderati di nuovo al governo della città approvarono una nuova convenzione con il teatro che lasciava la gestione ai palchettisti che a fronte di un contributo di 60000 si impegnavano a dare 8 spettacoli a prezzi popolari.

Nel 1902 l’assessore Carabelli avvocato radicale sollecitato ad intervenire per “correggere” le scelte di Toscanini dichiara: “il Comune intende restare estraneo alla gestione, specialmente per quanto riguarda la parte artistica”, dichiarazione che non sarà condivisa nei fatti dalla maggior parte dei sindaci e podestà del secolo scorso.

downloadNel 1910, il passivo raggiungeva le 270000 lire; dopo una analisi pubblica del ragionier Pressi liberale,  per anni sindaco della Scala e per 22 anni consigliere comunale che evidenziava che non vi era nessuna possibilità per il teatro di sopravvivere senza un contributo pubblico essendo tutti gli spettacoli in perdita (gli incassi non coprivano la metà dei costi), il Comune su proposta dei consiglieri Luigi della Porta e Ulisse Gobbi si impegnò di nuovo a versare 150.000 con il voto contrario delle opposizioni.

Il riformista Cesare Sarfatti sostenne che “non è rilevante se la Scala chiuderà”, e ricorda che gli editori di musica impongono delle opere senza valore a costi altissimi per il teatro con paghe altissime per i cantanti, proponendo invece del contributo di dare vita ad una orchestra stabile cittadina trasformando la banda municipale.

Per risolvere definitivamente la questione si nominò una commissione comunale che di fatto in due anni produsse solo una raccomandazione, cioè, continuare con la convenzione (proposta Pressi, venne rinnovata fino al 1916) ma che non incontrò il favore del consiglio che su proposta di Marco Praga consigliere comunale liberale oltre che commediografo, direttore della SIAE, direttore del teatro Manzoni decise di proseguire gli studi affinché gli accordi “non dovessero soggiogare alle mutabili maggioranze consiliari”.

La commissione di studio non riesce peraltro a districarsi “tra un groviglio di rapporti giuridici solennemente confermati dall’autorità giudiziaria”.

Polemiche infinite sul conflitto di interesse accompagnavano la discussione perché molti consiglieri comunali “nobili” erano palchettisti”.

sodalizio-tetroscala-5Dopo le elezioni del 1914 e l’arrivo dei socialisti alla guida della città le cose inizialmente non cambiano talché nel 1915 si nomina una nuova commissione che fa dichiarare a Rodolfo Spotti. “la definizione del problema della Scala è destinata ad essere tramandata ai nostri nipoti”.

Se per l’aspetto economico della gestione Spotti aveva ragione anzi era ottimista dal punto di vista della forma societaria fu proprio la giunta Caldara con il contributo determinante del direttore del Corriere della Sera Albertini a chiudere dopo 60 anni la questione.

Nonostante che  a complicare la faccenda, proprio mentre si avvia a conclusione l’iter per dare il nuovo statuto alla Scala, ci si mise Toscanini figlio di un garibaldino interventista e accreditato di idee socialisteggianti  che nel 1919  si candida alle elezioni nelle liste  del blocco fascista, con lui Guido Podrecca, Filippo Tommaso Marinetti, capolista Mussolini.

Secondo Cesarino Rossi che di fasciamo se ne intendeva, il maestro era stato inserito in lista quasi a sua insaputa grazie ai buoni uffici di Michele Bianchi segretario del sindacato degli orchestrali (già redattore dell’Avanti e in seguito segretario del Partito Nazionale Fascista e ministro dei lavori pubblici).

Il risultato milanese fu un fiasco clamoroso per la lista 1,5%  e per Toscanini che prese oltre ai 4657 voti di lista, 373 voti di preferenza e 84 aggiunti (panachage) risultando sesto, la candidatura gli costò oltretutto 30000 lire di contributo alla campagna elettorale.

Per avere un termine di confronto Mussolini ottenne 4407 voti di preferenza e Turati ne ebbe 28113 oltre i 170000 della lista socialista che in città superò il 53%.

L’esperienza fascista di Toscani, del resto, terminò nel 1931 a Bologna con l’aggressione, gli schiaffoni e le minacce degli squadristi capeggiati da Longanesi; ha sessantaquattro anni e decide di non dirigere più in Italia fino a quando rimarrà al potere il regime fascista, vennero poi l’espatrio e l’impegno antifascista che lo portò ad essere nominato senatore a vita (ma rifiutò) da Einaudi nel 1949.

Il 25 febbraio 1920 il consiglio comunale approva gli accordi intervenuti con i palchettisti per l’istituzione dell’Ente autonomo per la proprietà e l’esercizio del Teatro alla Scala, contemporaneamente Caldara che ne diverrà presidente rende noti i sottoscrittori raccolti da Albertini che versano nelle casse dell’ente 6 milioni di lire (più del necessario) esclusivamente per rifare il palcoscenico, trovare soldi per la gestione, ammette il sindaco è più difficile.

9788874510641_0_536_0_75Nel suo rapporto di fine mandato (Emilio Caldara sei anni di amministrazione socialista, 3 luglio 1914 -3 luglio 1920, Milano, M&B Publishing, 2005)  il sindaco  così scriveva: “la soluzione dell’annoso e difficilissimo problema della Scala doveva per l’amministrazione socialista essere coordinata a tutto il programma di educazione popolare e di coltura superiore oltre che subordinata a quelle provvidenze di ordine sociale che in passato erano poco curate pur mentre si attendeva a questo problema che è soprattutto d’arte” , fin dal 1911 infatti sosteneva: “in un bilancio non si passa a soddisfare bisogni superiori se prima non si sono soddisfatti i bisogni elementari. Ora, quando come in Milano non si pensa all’educazione e si pensa troppo inadeguatamente all’assistenza scolastica …… l’interessamento del Comune nella questione della Scala assume un carattere un po’ troppo proibizionista”, solo dopo che il Comune “spostato il bilancio verso le imposte dirette e volte le maggiori risorse a vantaggio della generalità dei cittadini sviluppava l’assistenza scolastica  in tutte le sue forme, si avviava alla municipalizzazione degli asili infantili, migliorava la coltura popolare e professionale, costituiva in vitali organismi di educazione artistica le Scuole municipali di canto e il corpo municipale di musica, aiutava largamente le manifestazioni del Teatro popolare, importava somme considerevoli e concedeva aree per la casa del Popolo e la casa della Cultura popolare, poteva ben affrontare anche il problema del teatro alla Scala”. Della nuova Scala Toscanini accetta la proposta di “assumere la direzione artistica del teatro e iniziare la costituzione di un’orchestra che dovrà avere carattere di stabilità”.

L’illusione di Caldara era quella di aprire la Scala a un pubblico popolare di avvicinare il proletariato alla cultura “alta”, e poiché Caldara aveva assegnato questo compito al Teatro del Popolo dell’Umanitaria viene imposta una collaborazione tra i due enti.

Come scrive Irene Piazzoni,  “l’impostazione di un programma culturale attento alle esigenze delle classi più povere rappresentò certamente una conditio sine qua non: l’impegno per la sua realizzazione consentì a Caldara di giustificare l’attenzione per un teatro senza dubbio d’élite, ma anche motivo di fama e di prestigio per tutta Milano… Nel nuovo statuto dell’Ente Autonomo venne quindi inserito un articolo, il numero2 che proprio attraverso i rapporti con il Teatro del Popolo assegnava alla Scala una ben precisa responsabilità nei confronti dei ceti popolari”.

Ma l’esperienza del municipalismo socialista è agli sgoccioli, Filippetti viene scacciato da Palazzo Marino e i fascisti governano la città prima con Mangiagalli poi con i podestà.

sodalizio-tetroscala-7Nel 1928 il regio decreto N. 562 autorizza il Comune di Milano a chiedere “l’esproprio per pubblica utilità” dei palchi, l’anno dopo “Il prefetto di Milano è incaricato di emanare i singoli decreti di esproprio con l’indicazione della somma di indennità dovuta a ogni palchettista… Non è ammessa alcuna impugnativa …”.

Con l’arrivo del fascismo il Teatro del Popolo dipese dall’Opera Nazionale dopolavoro ma la collaborazione tra i due enti continuò anche se con una filosofia completamente diversa.

Finita la guerra sull’opportunità di ricostruire la Scala, quasi parafrasando i termini di inizio secolo, fu subito scontro.

L’Unità il 29 maggio 1945 scrisse: “Nella tragica situazione in cui è sommersa la vita del Paese, di fronte alle privazioni e alle rinunzie a cui è costretta la maggior parte della povera gente, è lecito perseverare in una politica spendereccia, che si risolve nel soddisfacimento di un bisogno estetico riservato alla solita esigua minoranza di privilegiati? Non si può sottrarre materiali edilizi alla riparazione di fabbricati di urgente necessità, come case d’abitazione, ospedali, scuole”.

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Solo la determinazione del sindaco Greppi e gli anticipi economici di tasca propria di Ghiringhelli il sovraintendente consentirono al teatro di riaprire l’11 maggio 1946, del resto a sottolineare l’importanza attribuita al teatro il primo numero dell’Avanti milanese di due pagine dopo l’articolo dedicato alla fucilazione di Mussolini aveva un articolo dedicato al teatro popolare a firma Paolo Grassi.

La collaborazione Scala Teatro del popolo si interromperà proprio quando a governare la scena cittadina torneranno i socialisti, Ghiringhelli definì una simpatica tradizione la collaborazione con il Teatro del Popolo ottenendo la piccata risposta di Riccardo Bauer presidente dell’Umanitaria che indispettito gli ricordò che era una disposizione statutaria.

Tutta la vicenda e molto altro è narrato magistralmente da Siel Agugliaro nella sua dissertazione “Ricchi, godete! Teatro alla Scala e promozione culturale nel lungo Sessantotto milanese”.

ghiringhelliSe con Greppi, comunque, la questione culturale e teatrale era centrale per l’amministrazione comunale, l’interesse scemò con il sindaco Ferrari, Ciro Fontana parla di marcata freddezza tant’è che Ghiringhelli rassegnò le dimissioni (respinte) nelle mani del sindaco.

Nel 1959 Ferrari propose di ripianare il deficit della Scala attraverso l’aumento dell’imposta di famiglia ottenendo una generale levata di scudi; i quotidiani fecero articoli infuocati contro i ricchi evasori che volevano farsi pagare dalla città i loro svaghi.

I rapporti migliorarono con Bucalossi, paradossalmente, perché era un sindaco della lesina che tagliava anche i costi del buffet per le delegazioni straniere ricevute a Palazzo Marino ma che come ricorda Gian Paolo Melzi d’Eril nelle sue memorie (Con quattro sindaci a Palazzo Marino) non intervenne con l’accetta sulla Scala.

Non che la Scala avesse recuperato in simpatia presso una parte del mondo politico: nel 1960 il ministro delle finanze Trabucchi emanò un ordine di servizio per controllare il reddito dei possessori di un abbonamento alla Scala tant’è che, come dichiarò Ghiringhelli, non solo diminuirono gli abbonati ma alcuni chiesero una dichiarazione all’ente che certificava il non essere abbonati!

Con la legge 800 del 1967, legge Corona, ministro socialista del turismo e spettacolo e quindi compagno di partito del sovraintendente e del sindaco si pensò che il cronico problema del deficit si potesse risolvere, non fu così e i debiti scaligeri aumentarono, portando il sindacalista Giulio Polotti che sarà poi per decenni assessore a Palazzo Marino a riproporre uno schema come quello di Caldara per consentire al Comune di ripianare il deficit: “più spettacoli, più popolo e meno élite” sottolineando che “se il nostro prodotto rimane patrimonio di una ristretta cerchia di iniziati, se, peggio ancora scade a un fatto meramente mondano diventa di dubbia giustificazione l’intervento pubblico” (la storia di Polotti interlocutore preferito di Grassi e Strehler a palazzo Marino è narrata in Giulio Polotti una storia del sindacalismo riformista).

Troppo lungo sarebbe proseguire cronologicamente veniamo direttamente all’oggi: negli introiti dell’Ente la biglietteria copre il 23% ,  il 36% sono contributi pubblici, il 30% sono sponsor o contributi privati tra cui A2A, Fondazione Cariplo. (trovate tutto qua).

L’ente ha i conti in ordine ma l’intervento pubblico è ancora determinante, il 22 novembre 2022 scrive il Corriere il sindaco Sala che della Scala è presidente, annuncia al termine del cda, il cui ordine del giorno prevedeva l’approvazione del bilancio preventivo 2023 che “Il Comune di Milano proporrà una riduzione del contributo per il prossimo anno, per lo meno a livello di bilancio preventivo. Se poi i conti ce lo permetteranno, rilasceremo qualcosa in più. Sono fiducioso, ma con l’altro mio cappello da sindaco di Milano sono testimone del fatto che siamo in difficoltà. Difficoltà dovute ai minori fondi che ci arriveranno dal governo e all’impatto dei maggiori costi, in particolare quelli energetici e quelli del trasporto pubblico, dal momento che inizieremo a pagare il canone della M4″.

Nell’annuncio è preceduto dalla regione che con la delibera 7366 del Consiglio regionale del 21 novembre 2022 ha deliberato il taglio ai contributi per gli enti di spettacolo come il Teatro alla Scala di Milano che passa da un finanziamento di 3.308.000 euro a 1.838.600, pari a -45%

Entrambi ci ripenseranno.

Regione che nell’ottobre 2023 dichiara in occasione della consegna delle opere di superficie della nuova torre del Teatro alla Scala, realizzata con il contributo dello Stato e della Regione Lombardia e con il supporto della società regionale Aria Spa come stazione appaltante: ““Siamo costantemente vicini al Teatro alla Scala e lo siamo stati, come Regione, anche in occasione di questo intervento straordinario”.

Come nel 1920 i danari per gli investimenti si trovano quelli per la gestione meno.

_505Un anno dopo il 21 novembre 2023 di nuovo Sala dichiara: “La situazione dei conti è buona … Noi continuiamo ad invitare il sovrintendente e la struttura ad aumentare i ricavi”, sottolineando che i ricavi della biglietteria “sono significativi” mentre sugli altri ricavi “come lo streaming, i diritti televisivi e il merchandising, continuiamo a insistere perché riteniamo si possa fare di più: è un’esortazione e c’è da lavorarci”.

Secondo Sala “la vera preoccupazione è sempre relativa ai contributi pubblici. “In questo momento – ha concluso il sindaco – sia Comune sia Regione che lo Stato non hanno ancora approvato il budget. Quindi c’è ancora questo livello di incertezza che c’è tutti gli anni”.

Le preoccupazioni dal sindaco Sala non sono diverse da quelle espresse del sindaco Vigoni nel luglio 1897 quando i palchettisti intentarono causa al Comune, grande coerenza e continuità visto che sono passati 126 anni.

Walter Marossi

 



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