21 novembre 2023
PIOGGIA A MILANO NELL’ERA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
A quando una visione idraulica del territorio complessiva?
21 novembre 2023
A quando una visione idraulica del territorio complessiva?
Molti anni orso una società napoletana con ufficio a Roma ben posizionato davanti ai Ministeri che contano, mi chiese di quotare delle stazioni di pompaggio destinate ai sottopassi automobilistici creatisi con il raddoppio della linea in alta velocità per Venezia: la richiesta era accompagnata da una corposa relazione di Italferr, società di ingegneria delle Ferrovie.
Con la dovuta diligenza (condita da una discreta sufficienza milanese per quanto scritto da società romana) mi leggo la relazione tecnica preliminare e scopro per la prima volta le vere regole di progettazione per i pompaggi delle acque piovane, in quanto sin lì ero andato con la pratica cinquantennale passata per via orale, come l’Iliade di Omero.
In realtà Italferr aveva impiegato tre semplici criteri:
I primi due dati servono per dimensionare numero e potenza delle pompe, il terzo per definire le tubazioni.
Ora da quei dati si deriva che nel milanese la maggior quantità d’acqua che cade in modo prolungato è di 40 mm/h, la maggior quantità che cade per brevi periodi è di 80 mm/h mentre una volta al secolo la pioggia qua da noi può arrivare a punte di 100 mm/h.
Questi dati vengono buoni per valutare quanto occorso con l’ultima pioggia milanese che ha provocato i forti disagi degni di cronaca sui giornali: in un’ora sono caduti circa 40 mm di acqua.
Vero che ci siamo trovati nei dintorni dei massimi previsti e che questo massimo è il primo, quello prolungato, ovvero foriero di una quantità d’acqua dallo smaltimento complesso, ma niente di eccezionale o mai visto dalle nostre parti, tanto che i miei committenti romani l’avevano esattamente previsto per non far annegare gli automobilisti nei loro sottopassi: allora perché ci siamo allagati?
Mentre il punto 1 di cui sopra è solo il dato di fatto sancito da un secolo e mezzo di osservazione di Brera da cui dobbiamo partire, i punti 2 e 3 raccontano la vera storia dei problemi milanesi.
I terreni del punto 2, come tutti possiamo immaginare, non hanno la stessa capacità di drenaggio e di scorrimento di fronte alle acque piovane, tanto che esistono apposite tabelle che indicano quant’acqua viene trattenuta dalle varie tipologie di terreno: un tetto laminato non trattiene nemmeno un litro, un’aiuola arriva ad assorbire una discreta parte ed è quindi ovvio che le caditoie stradali e le immissioni in fogna dei pluviali degli edifici devono trovare pronto il punto 3 ovvero un recapito sufficiente: se una strada o un quartiere si allagano prima che un problema climatico c’è un problema di progettazione e/o di manutenzione.
In un bel libriccino che possiedo, Milano nel 1906 edito dal Comune con Sindaco Ettore Ponti, si relaziona della sistemazione giunta in gran parte sino a noi del sistema fognario misto milanese, progetto che impose di rispettare i conti di cui stiamo parlando, sistema che venne integrato nel dopoguerra di fronte alla trasformazione urbanistica della città sino al definitivo allacciamento a Nosedo, per cui, almeno in sede teorica, Milano avrebbe rispettato le regole: allora perché finiamo sott’acqua lo stesso?
I primi problemi arrivano da Nord dove Olona, Seveso e Lambro si sono trasformati loro malgrado in collettori delle piovane respinte dai terreni iperlastricati del Nord Milano; queste acque inviate ai nostri poveri fiumiciattoli diventano esplosive quando il Seveso scompare dalla vista e si interra a Milano in una sezione normalmente idonea a recepire flussi anche intensi ma non quando questi flussi diventano incontrollati, il corso sotterraneo non viene adeguatamente pulito e così pure le caditoie stradali, ovvero quello che è successo l’ultima volta.
Le quali caditoie andrebbero adottate come le piante, perché la brama asfaltatrice milanese, quella spazzatrice dei benemeriti lavaggi stradali e la scarsa propensione dei netturbini per ciò che non è all’immediata vista ne riducono da sempre la capacità di assorbimento.
Da ultimo la sola Milano secondo quanto descritto dal Comune stesso, ha perso nel corso di mezzo secolo oltre 4 mila km di reticolo idrico minore nel suo territorio a causa dell’espansione urbanistica: il RIM (reticolo idrico minore) fornisce una laminazione di soccorso in caso di piogge intense ed è per questo che Regione Lombardia, in modo saggio e lungimirante, sta cercando di appioppare ai gestori del Servizio Idrico Integrato il recupero del perduto RIM urbano per questa funzione di soccorso idraulico: ovviamente, trattandosi di operazione semi-gratuita, Comuni e gestori del SII fanno le dovute resistenze, preferendo i primi incassare gli oneri di urbanizzazione dalle future superfici lastricate e spazzare l’acqua dalle cantine.
Un tempo la pioggia coi suoi danni era data in carico al Governo Ladro, oggi al cambiamento climatico: in realtà basterebbe far di conto e maturare una visione idraulica unitaria del territorio metropolitano e vedere se dobbiamo veramente ricorrere a soluzioni emergenziali in linea con la tropicalizzazione immaginata, oppure se basta solo ragionare sul punto 2 e sul punto 3 di Italferr e trarne, come fecero nel 1906, le opportune conseguenze.
Giuseppe Santagostino
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