23 gennaio 2024

IL NUCLEARE A MILANO

Un problema di scelte


Progetto senza titolo (10)

Salvini non ha tutti i torti nonostante io non sia un suo sostenitore politico ne l’ammiri come personaggio in sé. L’idea di costruire una centrale nucleare, benché l’argomento susciti ilarità se non comicità, poiché richiama Homer Simpson, ha una ragionevolezza e rimanda a quella pragmaticità che un tempo era ad appannaggio dei milanesi, conosciuti da tutti gli italiani come implacabili cittadini con i piedi per terra, maestri del bilancio in positivo e della serietà davanti ad ogni argomento.

Certamente è un argomento oggi molto discusso e rimanda ai temi ecologici (untouchable) oltre alla percezione negativa (incidenti catastrofici), quando invece bisognerebbe affrontare il tema energetico. Ad esempio: quanto costa Milano in termini di consumi elettrici e tecnologici a partire dei consumi della climatizzazione estiva e invernale? Per saperlo, bisognerebbe incrociare le informazioni di Terna e RFI (elettrodotti alta tensione) e A2A (media e bassa tensione).

Evidentemente ad oggi non sarebbe possibile un idea di autonomia gestionale, data la rete di distribuzione davvero molto complessa. Basti vedere la tavola seguente:

Rete di distribuzione elettrica milanese

Rete di distribuzione elettrica milanese

Andiamo intanto a vedere quanto consumiamo a livello pro-capite (media):

Tavola con i consumi energetici delle città campione     

Tavola con i consumi energetici delle città campione

L’argomento è complesso. Che sia auspicabile investire nelle rinnovabili è cosa risaputa quanto difficile da realizzare poiché pensare alle rinnovabili equivale a spostare l’argomento sulle scelte dei cittadini, i quali dovrebbero farsi carico delle spese a fronte di ricadute positive sulle bollette, molto diluite nel tempo, rispetto a spese immediate per le installazioni. Va considerato poi il fattore tecnico e climatico, per cui certe fonti non sono realizzabili (il vento a Milano non c’è).

Il tema, dunque, può essere affrontato con un margine di successo, solo a livello di risparmio energetico, vero baluardo del concetto di ecosostenibilità pro-capite.

Meglio si potrebbe definire l’impronta carbonica pro-capite, dunque quanto inquiniamo e di conseguenza consumiamo? Questo rimanda a un virtuosismo del vivere in un contesto in cui la sostenibilità diventa l’obiettivo principale. Va detto che tutti noi, pur parlandone, non siamo pienamente consapevoli, oltre a tendere alla comodità sulla base di una pigrizia anche mentale, atavica ( quanti di noi osservano scrupolosamente e sempre, le regole dei rifiuti domestici? Quanti di noi lasciano al minimo l’illuminazione nel rispetto della sostenibilità e non del risparmio economico sulla bolletta).

Ma c’è anche un altro elemento di grandissima importanza, i Centri Commerciali e i negozi, da sempre schierati sulla linea della sostenibilità ma giusto per fare marketing, poiché si nota come ci sia un aspetto strategico, nell’accogliere il cliente a porte aperte, con la lama d’aria calda o fresca, all’ingresso, magari profumata.

Dunque, va detto che c’è una necessità individuale, e che questa necessità si traduce in energia consumata pro-capite.

Milano ha un piano di risparmio energetico, visibile a questo link.

Il leggendario PGT Milano 2030. Non si può dire che Milano non abbia fatto i compiti a casa.

Ritornando all’idea di sostenibilità, essa andrebbe meglio trasmessa ai cittadini, spingendo molto sul concetto di produzione pro-capite (rinnovabili), su incentivi veri da erogare direttamente sulle tasse comunali, sul sostegno alle spese per le installazioni rinnovabili, leggi ad-hoc di obbligatorietà che in parte ci sono. Secondo la legislazione vigente, gli edifici ex novo o sottoposti a ristrutturazione rilevante, sulla base di un titolo abilitativo presentato a partire dal 13 giugno 2022, dovranno essere coperti da fonti rinnovabili per almeno il 60%.

Ma non è così semplice. Senza parlare degli incentivi sui quali non siamo ancora riusciti a fare una legge seriamente vocata all’argomento. Su questo fronte, il nostro Paese sta cercando di estendere le aree idonee alla installazione di grandi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e di velocizzare le procedure autorizzative, anche a favore delle Comunità Energetiche, auspicabili; ad esempio,  nei condomini.

Resta la grande e inevitabile legge fisica che limita le rinnovabili: l’intermittenza. Vale dunque un secondo principio fisico che è quello dell’accumulo per gestire la fase intermittente, possibile ma poco sostenibile a causa dei costi e anche dei volumi che gli impianti di accumulo dovrebbero avere a disposizione (immaginiamo un condominio medio di Milano e quante batterie si dovrebbero installare per avere un ragionevole accumulo d’energia elettrica che bastasse per dare energia a tutte le famiglie).

Ritornerei però su concetti di autonomia energetica collettiva, giusto per rientrare nell’argomento che è in questo caso è il nucleare di piccola taglia.

IL Governo, in effetti ha parlato di possibili impianti di piccola taglia, si chiamano Small Modular Reactor. Su questo tema, sono stati stanziati 135 milioni di euro per lo sviluppo e la ricerca, per lo più in ambito Ansaldo Nucleare e sue orbite. Assumiamo che 1 MW di potenza produca 1 MW/h di energia e che funzioni H24, dunque per 8760 ore l’anno. Si assume dunque che produca 8760 MW/h l’anno. Se installassimo una mini-centrale nucleare da 300 MW dunque 300MW/h, in un anno avremmo prodotto 2 628 000 MW/h cioè 2.628 GW/h, dunque più di 1/3 del fabbisogno milanese. Non è poco. Evidentemente, se fosse costruita una centrale convenzionale da 1660 MW, Milano sarebbe autonoma e potrebbe vendere energia agli altri.

Dà A&E Energia:

Gli SMR sono piccoli reattori, sotto i 300 megawatt di potenza, derivati dai motori dei sommergibili e delle navi atomiche (una centrale nucleare tradizionale arriva a 1600 MW). Ne esistono di vari tipi e con varie tecnologie, ma il tratto comune è che sono piccoli e compatti: in pratica, dei cilindri di metallo grandi come un paio di container, che contengono il nocciolo col combustibile e il generatore di vapore. All’interno il calore del nocciolo trasforma l’acqua in vapore, che aziona una turbina esterna e un alternatore che produce energia.

L’acqua, una volta raffreddata, rientra nel mini-reattore e ricomincia il ciclo. I vantaggi rispetto alle centrali tradizionali sono diversi. I cilindri possono essere assemblati in fabbrica e trasportati sul posto, anche in luoghi remoti, riducendo i costi. Possono essere aggiunti più moduli per aumentare la potenza. Date le ridotte dimensioni dei cilindri, l’acqua e il vapore si muovono da soli col calore, e non servono pompe, che possono guastarsi come a Fukushima. Una centrale a moduli occupa il 10% dello spazio di una centrale tradizionale, con costi e impatti ambientali inferiori. Ma soprattutto, i mini-reattori modulari permettono di usare combustibili non convenzionali che durano di più, e quindi riducono la produzione di scorie: il rifornimento va fatto ogni 3-7 anni, contro 1-2 per le centrali tradizionali. Alcuni impianti possono lavorare per 30 anni senza essere riforniti.

Al momento ci sono una ventina di progetti di SMR in fase di realizzazione nel mondo, soprattutto in Cina, Russia, Argentina, Canada, Usa e Gran Bretagna. I primi dovrebbero entrare in funzione per il 2026. Secondo i critici, si tratta comunque di impianti troppo costosi per le compagnie energetiche private, e che possono essere realizzati solo con i fondi statali.

I costi:

Le mini-centrali nucleari sono stimate a un costo di circa 2 miliardi di euro (teniamo in considerazione che la M4, oggi costa 1,8 miliardi di euro). Una centrale nucleare convenzionale costa intorno ai 10 miliardi di euro.

Sull’argomento, va fatto un ragionamento più ampio in virtù di una realtà che, volenti o nolenti, ci vede oggi in una situazione europea, meglio definita dalla cartina seguente:

Punti europei di produzione energia elettrica da nucleare

Punti europei di produzione energia elettrica da nucleare

Va detto che 14 nazioni non producono energia nucleare. Ma andiamo a vedere quali sono: nessuna di esse è tra le super potenze economiche. Come si vede dal PIL del 2019 (tavola seguente), siamo davanti alla Russia, nessuna nazione non produttrice di energia nucleare rientra tra le prime 10. L’unica Nazione con forti contrasti sull’argomento è la Germania, la quale però, ha un piano di produzione da fonti rinnovabili significativo e soprattutto, per ridurre i contrasti politici interni, può permettersi di acquistare energia dai paesi vicini, con i quali riesce a fare accordi economici vantaggiosi.

Prime dieci nazioni europee secondo il PIL

Prime dieci nazioni europee secondo il PIL

Servirebbe così un piano Nazionale e i cambiamenti delle leggi che ad oggi vietano la produzione elettrica da nucleare. L’idea che servano 10/15 anni per costruire una centrale nucleare, non dovrebbe dissuaderci da una ripianificazione generale del comparto energetico, in termini di produzione e sostenibilità, difficilmente coniugabili con le tecnologie a disposizione. Allora che la scienza faccia il suo corso e, al tempo stesso, che noi italiani si prenda atto che non ci sono vie brevi per raggiungere l’obiettivo di produrre sufficientemente energia elettrica a impatto zero. Ritorno al concetto d’apertura: andiamo avanti con le rinnovabili che hanno il difetto dell’intermittenza e apriamo al nucleare che ha il tema delle scorie ma ridurrebbe le emissioni dirette, innescando in breve tempo, un’inversione di tendenza sul piano dell’inquinamento, rivedendo anche le strategie ecologiche che oggi puntano esclusivamente a ridurre i veicoli tout court. Nel mentre, sviluppiamo tecnologie valide per trattare le scorie, attraverso la ricerca, sovvenzionandola fortemente a partire dalle Università.

Gianluca Gennai

 

 

 



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