20 dicembre 2022

DELPINI E SHAKESPEARE; IL “DISCORSO ALLA CITTÀ” E QUELLO DI ANTONIO AI FUNERALI DI CESARE

A tre mesi dalla destra al Governo e in vista delle regionali di febbraio


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E gli altri? L’Arcivescovo ha messo un punto interrogativo al titolo del “discorso alla città” per Sant’Ambrogio 2022. Monsignor Delpini l’ha presa dal lato della condivisione di sentimenti e vissuti personali: dobbiamo smetterla di lamentarci, è «irragionevole», ha esortato. Il malumore è lo smog dell’anima, è una cappa che incombe sulla nostra convivenza; gli fa avvertire come «irrespirabile l’aria inquinata di frenesia e di aggressività, di suscettibilità e di risentimento».

Secondo lui «il linguaggio di Milano e di questa nostra terra» è di tutt’altra pasta: «è fierezza di poter affrontare le sfide, è la generosità nell’accogliere e nel condividere, è la saggezza pensosa che di fronte alle domande cerca le risposte, è la franchezza nell’approvare e nel dissentire, è la compassione che non si accontenta di elemosine ma crea soluzioni, stimola a darsi da fare, inventa e mantiene istituzioni per farsi carico dei più fragili».

Essendo Delpini un Pastore che gira molto per le periferie, vede, ascolta, parla coi suoi preti alla prese con disagi, sofferenze, abbandoni, miserie ti saresti potuto aspettare a questo punto un autorevole j’accuse documentato e mirato su individualismo, egoismo, difese identitarie, interessi corporativi che pervadono ormai il tessuto umano di Milano e del Paese e su possibili cause e responsabilità: due anni di Covid prima (con la Lombardia in prima fila nel disastro sanitario); poi l’aggressione di Putin con guerra e crisi energetica; quindi alcune forze politiche che colgono la palla al balzo delle crisi per far saltare il banco, mandare il Paese al voto anticipato, far emergere due realtà.

 La prima, che l’Italia è “a destra”, con una posticcia foglia di fico al centro, Berlusconi/Tajani, e un’altra che spasima per andare in soccorso del vincitore (Calenda e Renzi); la seconda, che la sinistra s’è specializzata nel farsi trovare pronta a “salvare la patria” e gli scranni, ma non sa più leggere i segni tempi, interpretare i bisogni delle persone, pensare ed elaborare idee di futuro. Nemmeno la sinistra dei “cattolici democratici” sembra più in grado di farsi sentire, un po’ perché la Chiesa patisce ancora la devastante stagione ruiniana che mandò a casa Prodi e squalificò le ultime pattuglie dei “liberi e forti” d’ispirazione popolare, un po’ perché tra i cattolici, a cominciare dai giovani, risulta più efficace militare nel volontariato, che non in un sistema di partiti chiuso e ripiegato su se stesso.

Delpini, invece, ha sorpreso ascoltatori e lettori: «voglio condividere l’aspetto promettente di un realismo che custodisce la speranza e che crede nella democrazia e nella vocazione della politica». Tant’è Voglio fare l’elogio dell’inquietudine che a conclusione del discorso a chi fa politica, governa Comuni e Regione, Sanità, Servizi Sociali, Assistenza, Case popolari, Trasporti pubblici, Verde, energia, ambiente così si è rivolto: «Voglio fare l’elogio di voi che affrontate a viso aperto le ingiustizie, le prepotenze, le forme di illegalità, le manifestazioni del vandalismo e vi mettete dalla parte delle vittime. Anche voi avete paura, perché siete gente normale, ma l’affrontate, perché gli altri vi stanno a cuore; gli altri, quelli che sono più deboli, che sono meno rappresentati, anche se non votano».

Voi state dalla parte di coloro che hanno più bisogno delle istituzioni e del loro buon funzionamento. Voglio fare l’elogio di voi, uomini delle istituzioni, onesti, dedicati, responsabili, espressione di una democrazia seria, faticosa e promettente, decisi a far funzionare il servizio che i cittadini vi hanno affidato. Voglio fare l’elogio di voi, che sapete che cos’è il bene comune e lo servite. Faccio il vostro elogio, perché io vi stimo».

Non sono un esegeta del pensiero dell’Arcivescovo e lungi da me il volergli far dire cose che magari non pensa o valuta in modo diverso. Ma da operatore della comunicazione che al lettore si sforza di restituire ciò che vede e da frequentatore di processi psichici profondi cerca di individuare e di mostrare quanto sfugge alla coscienza, sono fortemente tentato da un’associazione: Delpini alla maniera di Shakespeare e il “discorso alla città” 2022 come l’”orazione funebre” di Antonio ai funerali di Cesare.

Mi spiego, semplificando al massimo. Intravedo nelle parole di Delpini un uso della retorica dell’elogio che finisce per mettere ancora meglio in risalto i difetti e le carenze; un ricorso al paradosso, a proposizioni o tesi che per contenuto o forma appaiono contrari all’esperienza quotidiana che l’opinione pubblica fa sulla propria pelle (inadempienze, carenze, campagne e frequentazioni dei social autentiche armi di distrazione di massa) così da suscitare sorpresa, incredulità, fastidio, contrarietà; un investimento sulla maieutica, ossia sull’arte socratica di “far partorire” la verità attraverso l’esercizio del dialogo, vale a dire: io faccio affermazioni, come, ad esempio, enunciare quali dovrebbero essere le virtù ideali dei politici (le parole di Delpini, in proposito, sono esemplari);  tocca a chi ascolta rispondere, dire la sua, misurare la coerenza tra pensieri, enunciazioni, comportamenti.

Dell’Arcivescovo, in dialogo con la città, gli interlocutori sono naturalmente due. Gli uni sono quelli che nelle prime file della Basilica di Sant’Ambrogio accorrono ad ascoltare le parole del Pastore, per loro, soggettivamente ma anche per gli incarichi istituzionali, quindi per conto dell’intera categoria degli amministratori pubblici. Gli altri interlocutori sono i cristiani, ma non si tratta solo di loro: destinatari degli appelli di Delpini sono i cittadini tutti. Il discorso dell’Arcivescovo per tradizione è “alla città” in continuità proprio con Ambrogio. Il Patrono, infatti, è un esempio tra i più peculiari nella Chiesa universale di sintesi tra vangelo e civitas, fede e morale pubblica oltreché privata, doveri dei cittadini e responsabilità dei governanti; milanesi si può diventare proprio in quanto si partecipa del dna impresso da Ambrogio nelle radici e nelle fibre più profonde di questa città.

Chi detiene il potere politico lo sa dai tempi in cui il Santo visse e fece da pastore a un gregge smarrito tra antico mondo che si sfarinava e il nuovo che ancora doveva essere scritto. Per memoria: lo sperimentò Teodosio che pensava di passarla liscia dopo la strage di Tessalonica e invece venne respinto dall’Arcivescovo per il suo peccato. Forse anche per il rigore morale e il rispetto dei diritti e dell’umano contro il disumano Ambrogio è da sempre venerato dalla Chiesa Universale, quindi anche dalla Chiesa Ortodossa: qualcuno dovrebbe ricordarlo al Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, che benedice Putin e i suoi gagliardetti, definendo l’aggressione all’Ucraina una “guerra giusta”.

Se le argomentazioni di Delpini son di natura simile alla tragedia di Shakespeare l’interlocutore dell’Arcivescovo che “fa politica” non potrà non fare un approfondito esame di coscienza. Solleticato dagli elogi rivoltigli dal pulpito, dalla Cattedra di quel Patrono che nel Gonfalone esposto a Palazzo Marino è raffigurato mentre brandisce lo staffile, sarà costretto a mettere a confronto le promesse elettorali che ha speso a man salva con i provvedimenti presi e le realizzazioni messe in atto; non potrà non chiedersi poi se per caso o per volontà è rimasto coinvolto in compromessi e collusioni con portatori di interessi poco trasparenti o addirittura oscuri; nemmeno gli sarà precluso di ritrovare nel profondo di sé il contrario: poter andare a testa alta in ragione del contrasto a lusinghe, minacce, seduzioni corruttive, orgoglioso delle battaglie condotte contro le malapolitica all’interno delle organizzazioni cui  appartiene perché queste siano sempre ispirate a idealità e responsabilità individuali e condivise, fiero delle denunce fatte davanti all’opinione pubblica perché la coscienza democratica sia sempre più consapevole (nel caso in cui non si sia riusciti a correggere dall’interno le storture o addirittura il malaffare).

Veniamo all’altro interlocutore, il cittadino, cristiano o laico. Anche i milanesi sono sollecitati ad un esame di coscienza dalle proposizioni di Delpini: la tragedia, da quella antica al genio di Shakespeare, coinvolge naturalmente il coro oltre ai protagonisti che si esibiscono sulla scena; dal pubblico prevede una risposta di adesione piena alle vicende rappresentate, addirittura di identificazione proiettiva; ma mette in conto pure di suscitare una distanza critica, cioè una presa di coscienza che può portare alla catarsi individuale o ai cambiamenti politici. Antonio, in Shakespeare, mira a far emergere la volubilità della folla, l’indistinto in cui si rischia di essere coinvolti e abbagliati, la disponibilità a lasciarsi attrarre prima da Cesare, poi da Bruto e dagli altri congiurati, quindi dall’arte oratoria proprio di Antonio. Ma adombra anche il possibile riscatto.

E gli altri? titola Delpini. Il vero interrogativo è in realtà: E noi? Il sottotitolo del “discorso” prospetta l’ambiguità di una risposta. Recita “Tra ferite aperte e gemiti inascoltati: forse un grido, o forse un cantico”. Le ferite e i gemiti sono innumerevoli. E suscitano grida. Ad esempio: il Covid non ha insegnato nulla per la sanità pubblica e la prevenzione, visto come la Regione con la riforma Moratti/Fontana e ora la legge di Bilancio affrontano il problema del rapporto col territorio, la carenza delle strutture pubbliche in termini di personale, risorse, ricerca.

Come a niente è servito ricordare quest’anno i 30 anni da Tangentopoli, se Salvini ottiene che il Governo vari un nuovo Codice degli Appalti facendo spallucce delle raccomandazioni dell’Anticorruzione e se proprio a Milano i Magistrati di Bruxelles cercano in sette conti bancari le prove dei reati da addebitare a Panzeri (Segretario Generale della gloriosa Camera del Lavoro una vita fa!). Ma forse anche i cantici sono possibili, se pensiamo a Francesco (Papa della Laudato si’ e della Fratelli tutti), instancabile propugnatore di pace, e al gesto degli artisti iraniani che l’altro giorno si sono presentati con un cappio al collo e gli occhi bendati davanti a Palazzo Reale, per ricordare ad una Milano, ad un’Italia, ad un’Europa preoccupati degli equilibri internazionali che non si può essere uccisi per una ciocca di capelli fuori posto o una manifestazione di piazza e che si deve almeno richiamare gli ambasciatori “per consultazioni”, dare un segnale che la libertà o è di tutti o non è di nessuno.

Alla luce di questi esempi e di quelli che ogni lettore ha in mente perché l’ha patito o l’ha sperato, ribadiamo: E noi? Una prima risposta possiamo darla a breve: il 12 e 13 febbraio, con il voto per la Regione Lombardia.

Marco Garzonio

 



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  1. Cesare MocchiInteressante interpretazione: l'arcivescovo avrebbe elogiato gli amministratori per nascostamente criticarli. C'è anche un'altra interpretazione, più semplice: Delpini ha preso una topica. Conoscerà anche i preti di periferia, ma forse non conosce i dirigenti e gli amministratori comunali, quanto sono incompetenti, arroganti, sfuggenti, interessati solo al loro potere personale e del tutto distratti da ogni discorso generale. E secondo il principio del "rasoio di Occam" la spiegazione più semplice è anche quella che si avvicina di più alla realtà.
    21 dicembre 2022 • 08:34Rispondi
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