21 novembre 2023

RIDATECI LE BARUFFE CHIOZZOTTE!

Dove trovare il futuro di Milano?


Copia di Copia di rification (6)

In piena esplosione di creatività artistica e di sensibilità civile nel 1964 Giorgio Strehler mise in scena Le baruffe chiozzotte al Piccolo. Da L’Opera da tre soldi di Brecht al capolavoro di Carlo Goldoni il passaggio era ardito ma di grande coerenza estetica e politica. Il tema era quello, unico, centrale per Milano e l’Italia della ormai consolidata Costituzione antifascista, della Ricostruzione, del riformismo ambrosiano: una società, anche umile e magari dimessa di suo, o resa povera dalle condizioni esterne, acquista coscienza della ricchezza umana che ha in sé. E ne va fiera, cerca di farla valere; di riscattarsi quando venisse messa in pericolo.

A 60 anni da quegli eventi culturali le “baruffe” che vanno in scena a Milano non sono quelle del glorioso Piccolo Teatro delle origini, ma, perso per strada lo splendido ed evocativo attributo di “chiozzotte”, si presentano sotto una forma rissosa ahinoi più consona a tempi bui, tempi che non sembrano aver coscienza piena della posta esistenziale in gioco e ripiegano sulle zuffe.

A Palazzo Marino polemiche Sindaco-aula sugli Ambrogini d’oro; provocazioni continue del socialdipendente Matteo Salvini; tentativi di La Russa fratello (quello del saluto romano) di mettere il cappello su una raccolta di sangue in piazza Duomo (con attacco a Fedez, che, povero lui, la necessità delle trasfusioni per il Sistema Sanitario Nazionale l’ha sperimentata sulla pelle); assessori che nel far proposte o nel gestire le loro competenze non capisci se ci sono o ci fanno; immobiliaristi e fondi d’investimento con sedi in paradisi lontani o comunque all’estero che, nel nome dello sviluppo della città, sono tutte e due le cose insieme; Centro di Produzione Rai che borbotta e mugugna, ma sottovoce, in quanto ha perso i pezzi dopo l’emigrazione su altre reti di Fazio e di Gramellini, ma è preoccupata di perdere eventuali rendite di posizione; poveri, pensionati, periferie che “risparmiano il fiato” (come si dice a Milano): non protestano neanche più avendo capito che nessuno si sogna di prestar loro orecchio.

Piccolo risvolto positivo: finalmente è scesa la sordina sulla gran cassa del “modello Milano”. Un po’ di decenza ha suggerito di ricorrere il meno possibile a un’immagine che già non dava ragione corretta di ciò che effettivamente la città è (cioè un laboratorio, non una smart city alla Dubai!) quando si viveva sulla scia dei successi internazionali di Expo e dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali.

Il problema è che né i più ottimisti, né quelli-a-cui-va-sempre-bene (perché cavarsela è il loro mestiere, aiutati dai continui condoni meloniani) sono riusciti a trovare una formula esortativa, comunque consolatoria che dia motivi per andare avanti con dignità oltreché con impegno.

Ma un terreno su cui far baruffa è stato individuato. Poco politico purtroppo vista la materia, ma molto da talk show, quindi seguito con successo. Beppe Sala ha ancora voglia di fare il Sindaco? S’è stancato? S’è accorto di avere una squadra in cui si recita a soggetto e lui non si diverte più a tappare i buchi (manco fosse stato prima Mandrake)? Ha in testa altri progetti? Si sta preoccupando del proprio futuro piuttosto che di quello di Milano? Ha mire nazionali? Addirittura pensa all’Europa? Sì, ma con chi dopo le oscillazioni tra Verdi, Pd, propria autonomia rivendicata?

È stupefacente, eppure l’argomento sembra appassionare sia a sinistra, sia a destra. I media poi vanno alla ricerca di chi è per il partito de “el s’è stufà” e di chi se lo figura invece come un discepolo di Machiavelli che vorrebbe cadere in piedi: anzi avanzare di carriera. Sport diffuso è ipotizzare chi tra i due schieramenti ha i numeri per prevalere. E Milano?

“Ci vorrebbe un partito” vien da parafrasare il titolo d’una famosa canzone. Il dramma è che non ce ne sono. Ovvero, sulla carta esistono sigle, cariche, organismi: per la carità! Ma se anche fossimo degli scrupolosi e diligenti Diogene credo che non riusciremmo a trovare a sinistra una forza politica capace oggi di parlare con autorevolezza di periferie, sanità territoriale, edilizia residenziale pubblica, salvaguardia dell’ambiente, lavoro, giovani, diritto allo studio, ruolo delle donne (con annessi: retribuzioni pari ai maschi, welfare, servizi sociali affettivi a partire dai nidi), periferie, anziani soggetti attivi e non oggetti eventuali di assistenza o da Rsa; a reperire  esponenti politici dediti a pressare veste Sindaco, giunta, Comune perché Milano sia ancora una volta la città capitale del riformismo.

Perché una maggioranza governa se è espressione di una cultura politica, altrimenti è solo un cartello elettorale. È vero, alcuni di quei temi son rientrati nelle parole d’ordine dell’estate militante di Schlein. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la città. Cioè gli indirizzi, le scelte, le politiche, uomini e donne al servizio del bene comune, capaci di spendersi, di mobilitare le coscienze, di essere credibili, di non limitarsi alla gestione interna e alla salvaguardia degli equilibri interni delle loro case di appartenenza. Quanto al Movimento 5 Stelle, Milano non è casa sua. La città accoglie tutti, ma i grillini qui non hanno avuto fortuna.

A destra? “Non pervenuti”. Salvo la sindrome nazionale dei nipotini del Msi di cercar di soppiantare l’egemonia culturale della sinistra, che – effetto Nemesi – ha portato Geronimo La Russa a piantar la bandierina che fu (o lo è ancora? Non si capisce bene) “fiamma tricolore” sul Piccolo Teatro, nel 1947 figlio del Cln con Apollonio, Grassi, Strehler. E l’altrettale sindrome d’occupazione delle istituzioni appare dalla Lega salviniana che punta tutto sull’autonomia differenziata, senza dar mostra di preoccuparsi delle vere autonomie.

Queste, come insegnò il popolarismo di Sturzo forse anche per questo contrastato dal centralista fascismo, incominciano dai Comuni. Insomma il disegno neanche tanto nascosto del Carroccio sembra essere quello di sperare che la politica dell’accerchiamento assediante di Palazzo Marino faccia cadere la testa di Sala, esponente del centrosinistra fino a prova contraria (che può dare solo lui!) come un frutto sin troppo maturo e liberi la poltrona di Sindaco; vecchia tattica: puntare sugli eventuali demeriti dell’avversario piuttosto che sulle proposte proprio, inconsciamente persuasi della loro fragilità.  Quanto a Forza Italia, il nome del fondatore, padrone e leader incontrastato figura ormai nel Famedio e gli eredi sono alle prese con gli sfratti delle Olgettine.

In scena a Milano sta andando uno spettacolo disarmante, poco ambrosiano, ma molto in sintonia con l’attuale assetto nazionale, che è poi l’onda che ha mandato Meloni a Palazzo Chigi e che rischia di farcela rimanere a lungo. Meloni governa perché una mentalità ormai compenetrata nelle viscere profonde del Paese è quella di attribuire ad altri le colpe di ciò che non va e soprattutto di proiettare sulle presunte orditure di oscuri e sconosciuti congiurati l’incapacità propria di affrontare e risolvere i problemi. Se vengono i brividi anche solo a pensarci, al momento sembra non esserci altra soluzione che farseli passare. A molti, a troppi nel Paese va bene che sia così.

Lucietta chiude il terzo atto de Le baruffe chiozzotte con queste parole: «Quel che l’ha visto e sentìo, xé sta un accidente. Semo donne da ben, e semo donne onorate; ma semo aliegre, e volemo stare aliegre, e volemo balare, e volemo saltare. E volemo che tutti posse dire: e viva le Chiozotte, e viva le Chiozotte!».

Una preghiera: ridateci Le baruffe chiozzotte: Milano e il Paese ne han tanto bisogno. Se del caso: riprendiamocele!

Marco Garzonio



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


23 aprile 2024

IL BOOM DELLA DESIGN WEEK

Gabriele Lussu






19 marzo 2024

STRUZZI, SQUALI E AVVOLTOI

Giuseppe Santagostino



5 marzo 2024

MODELLO MILANO DOVE SEI?

Licia Martelli



20 febbraio 2024

URBANISTICA SOTTO INCHIESTA A MILANO

Ugo Targetti



23 gennaio 2024

QUESTIONE ABITATIVA A MILANO: ALCUNI DATI

Gregorio Praderio


Ultimi commenti